Pubblicato da: cri | 28 gennaio 2024

365: 2022-2023

  1. “Tutti possiamo volare: con la testa, con le ali, con il cuore”.
  2. Coppa e formaggio sulla spiaggetta oltre la Lidl. Picnic is always a good idea.
  3. “Mamma, mi dici che parole devo dire per diventare il fidanzato di qualcuno?”. Qualcuno suggerirà: “Lo sai che mio papà guida una Ferrari?!?”
  4. La passeggiata sopra al Passo del Vivione e il bagno nudi in quel lago di montagna. La mia schiena a emergere dall’acqua.
  5. Stesi sul muro della chiesa di Piverone: “Come ti pare l’idea di mettere le scarpe?” “Obbligatoria”. Al ragazzo non mancano lucidità e pragmatismo.
  6. La veterinaria di Iseo e quella di Cunettone di Salò. Ciao, Mici.
  7. Il pranzo al Gherardi e le comiche con la macchina del caffè. Oltre le finestre, sotto un cielo terso, la neve brilla nel sole.
  8. Non siamo ancora partiti e il nonno ha già perso il cappellino. Però ha un binocolo. Forse può usarlo per cercare il cappellino.
  9. Le piastrelle ottanio, la doccia larga.
  10. Sotto il Gardeccia, quel volo all’improvviso. La studentessa di infermeria, una lametta da barba e gli steril-strip. Temo la cicatrice. Non resterà.
  11. Il Lago della Vacca e il Tita Secchi. La birra e gazzosa tornati al passo. La merenda seduti dentro il baule della macchina mentre inizia a piovere.
  12. A Borgonato, alla festa di fine Grest, bandierina genovese. Io a piedi nudi sul prato umido.
  13. Tom sdraiato a PDL per terra in sala. “Cosa fai?”. “Prendo il fresco”.
  14. Il sabato mattina dopo pilates alla croce di Sarnico.
  15. Il sottopasso pieno di melma, uno spritz e la porta del bagno a Borgio Verezzi.
  16. Un cappotto di panno rosso e una cioccolata calda in Paolo Sarpi.
  17. L’ultimo giorno d’asilo per Tom e per tutti noi.
  18. “E se ad Ale per il suo compleanno regalassimo un telefono?”
  19. “Sai che non mi ricordo dov’è Via Meravigli”. Odio perdere pezzi della mia milanesità.
  20. “Le otto montagne” all’Anteo allo spettacolo delle 14.40.
  21. In un giorno in cui annaspo in ogni ambito della mia vita, su una vetrina la scritta: “Respira”. E pazienza se parlano di listelli di legno per parquet di lusso.
  22. Mi sa che sono stanca. Alle 6.00 del mattino cerco di aprire la porta di casa usando le chiavi della macchina.
  23. La tua notte sotto le stelle ad Adrara San Martino. Prove tecniche di sacco a pelo.
  24. I giovedì montani.
  25. La gita in giornata in Irlanda e una Guiness in aeroporto a Dublino. Non avendo nulla da perdere, il nonno viaggia leggero su soluzioni bislacche. No, non risolvono.
  26. Lascio passare un camioncino che esce da un passo carraio. Noto il mio fermarmi, perché mi è diventato inusuale. Non va bene.
  27. “Un esemplare, legatura in catrame zebrato”. Noi catalogatori siamo sempre gente parecchio seria.
  28. Messaggio ad una collega: “Ciao. Ho bisogno di te e di un caffè, nell’ordine che preferisci”.
  29. Sono triste e mortificata. Mi vergogno. Scusate.
  30. A Pont-Saint-Martin una pizza “faccia di vecchia”. Ma che razza di nomi danno alle pizze, i siciliani trapiantati in Val d’Aosta?
  31. Anche solo sei bottigliette d’acqua sanno essere dono. Le trascineremo in giro per ore, e pazienza se sono scomode e pesanti.
  32. Sulle nostre scrivanie due cinquecentine non censite da nessuno. “Vale la pena comprarle?”.
  33. I tuoi 50 anni. La festa che avrebbe dovuto essere a sorpresa, ma alla fine non è stata a sorpresa per nulla.
  34. IVOL: l’ultima frontiera del mio essere una pendolare periferica.
  35. Quel pomeriggio senza figli, una scappata sul monte a guardare la nebbia.
  36. La polentata. Sole, biciclette, sgargie e magliette a maniche corte una domenica di fine ottobre in un corsello box che in teoria è tristissimo, in realtà brilla di luce, risate, bene e amicizia.
  37. Le merendine Kinder che scontate costano 92,79 euro al chilo. Deve esserci uno sbaglio. Non c’è nessuno sbaglio. Costa meno fare merenda con pane e patanegra.
  38. La Wildlife photographer of the year. Ormai è tradizione.
  39. “Sono le 8.10 del mattino, sono su un treno per Milano e sono venti minuti che ho voglia di trippa”. Buongiorno, mondo.
  40. Un Adventskalender montano parte dentro una busta per Torino.
  41. In Grecia in macchina. “Siete pazzi”. Siamo felici.
  42. Tom che mi scrive “AQRI” e scala in un attimo la classifica degli auguri migliori.
  43. Dalla Valeriana, raccontare i miei luoghi e le mie montagne a chi ormai da un po’ cammina con me passi parecchio belli in posti parecchio belli.
  44. Dopo infiniti anni, rivedere una mia compagna di scuola. Arco della Pace e spritz a 12 euro senza neanche una patatina.
  45. Un improvviso temporale all’alba, la salita al Re Alberto, io fradicia fino alle mutande, i tre climber che mi adottano. Oltre le finestre del rifugio, le torri del Vajolet si ergono maestose oltre la nebbia.
  46. Tutto è laccio. Tutto è stretto. Tutto è peso. Tutto è gabbia. Tutto è prigione. Io voglio vivere leggera, niente addosso, la luce negli occhi, la pelle bruciata dal sole.
  47. In tre alla Locanda del Sole. È il pranzo sociale della triade bergamasca. Guai a rinunciarci. Le uova 64 mi aprono un mondo.
  48. Il laghetto Increa e un pranzo a Brugherio.
  49. Stare seduti in un bar della provincia bergamasca il giorno dopo l’arresto di un boss mafioso è un’esperienza da non perdere.
  50. La cena a Pennabilli, la parole del ritrovarsi, il giro in radio insieme al direttore artistico del festival degli artisti di strada.
  51. Un’unica mattina in fondazione Dalmine. Poi passo il lavoro.
  52. In una ruota della C4, un punteruolo di parecchi centimetri. Come ha fatto a infilarsi?
  53. La granita con la vera menta nella gelateria di Rovetta.
  54. L’orientamento, gli open day, la scelta della scuola superiore. Non è facile per nessuno. Non lo è per Ale, non lo è per noi.
  55. Le montagne che si allontanano, i 32 chilometri tra le risaie, una Coca Cola che è doping, il capotreno che saluta, l’allevamento di colombi, una colazione che diventa cena.
  56. Due feste di fine anno di due figli diversi in due posti diversi nella stessa sera. Riesco a esserci comunque.
  57. Incanto di scrittori israeliani.
  58. La variante dei pescetti di Catan.
  59. Il tormentone: “Look at the camping, the sun, the street, the asphalt”.
  60. Una mattina d’estate tornare in Braidense per provare a lavorare su Bibliowin.
  61. Il nonno ricoverato una notte in… pediatria.
  62. Il compleanno di una cugina sulle pendici del pizzo Formico. Picnic, brownies e panna spray. Doline in salsa bergamasca e atmosfera da highlands scozzesi.
  63. “Benvenuto, virus gastrointestinale”. Tom, io e la ciotola arancione sul divano per un Natale decisamente alternativo.
  64. Domenica pomeriggio da Ciobar e panettone al cioccolato.
  65. Tom in piedi davanti allo stereo ad ascoltare musica dalla sua chiavetta.
  66. Arriva da Roma libero, leggero, presente, scanzonato. Una carbonara spaziale, “Non ci resta che piangere” seduti sul divano, le sue labbra inaspettatamente appoggiate sulla pelle della mia mano.
  67. “Mamma, ma l’hai guardata la mia pagella? È online da qualche giorno. Me l’hanno detto i miei amici”. “Ops, no… Me n’ero completamente dimenticata”. Dimmi che è un terzo figlio senza dirmi che è un terzo figlio.
  68. Tre settimane sulla penisola Calcidica. Il mare che c’è e la piazzola vista tramonto.
  69. “Sembri svuotata, mamma”. “È un aggettivo giusto, Ale”.
  70. “Io mi ricordo che una tua zia si chiamava Wanda. E poi ce n’era un’altra con un nome simile. Mi pare Banda”. “Zia Alba, Tom. Non zia Banda”.
  71. “Non è giusto fare confronti”. Non vorrei farli. Mi capitano addosso. Mi crollano addosso.
  72. “Per le superiori per ora vorrei fare la Pastori, ma anche il liceo artistico”. “Forse per ora puoi cominciare a finire la prima elementare”.
  73. “In certi posti la Grecia sembra la Svizzera”. Tom ha delle confusioni geografiche.
  74. Lo scacciapericoli. Non c’era specialità più azzeccata di questa.
  75. Le birre al Cabral di Capriate.
  76. La giornata a Torino. Banksy finalmente. L’ufficio di catalogazione BCT [vedersi vere dopo tutto questo tempo], accasciarsi in un bar, il parco del Valentino, la pizza al padellino.
  77. Prendere spunto dalle I-Rules e scrivere parole.
  78. Punta dell’Orto negli attimi che seguono il tramonto. Noi. Noi selvaggi. Noi vivi. Noi dentro una potenza primordiale e fortissima. Noi immensi. Noi splendidi.
  79. Il Col Collon. Nulla e pietre. Nulla e lago. Nulla e cielo blu. È paradiso.
  80. Da Trapizzino in porta Romana farsi raccontare del carcere da chi ce l’ha dentro gli occhi.
  81. Ognuno ha le sue responsabilità. La nostra è quella di ricominciare ancora. E ancora. E ancora.
  82. Il filmino aziendale. Tu nell’inedito ruolo di film maker e regista. Spielberg può stare tranquillo.
  83. Coca Cola e Spritz alla spiaggetta di Iseo a parlare di lavoro. Sarà una nuova entità? Per ora è appena un’ipotesi.
  84. Muore Berlusconi.
  85. Il pizzino culinario ormai è una tradizione. Quest’anno non ci sono le mele-anziane.
  86. Tu e Ale in Val Codera sulle tracce delle Aquile randagie.
  87. Il rifugio Lissone e la val Adamè. “Putanniss che gamba”. Stare dietro a Tom è parecchio sfidante.
  88. Il primo giorno in prima elementare, il primo giorno in prima media, l’ultimo giorno in terza media.
  89. Lo teorizza pure: “Alla fine basta arrivare alla sufficienza, mamma. Il di più è per chi proprio vuole e proprio se la sente”.
  90. Sulla prima pagina del primo quaderno, un piccolo autoritratto in maglietta gialla che pare un vestitino e scarpette a righine colorate [“Perché sono colorate, Tom?” “Perché sono ciabatte. Non si capisce?”].
  91. La Sicilia con il nonno.
  92. Che senso ha la vita, il mio essere madre, il mio cercare di educare i miei figli? Mi chiedo come faccio a uscire viva dalla loro educazione.
  93. Il Lungo Po quella sera. Ne esco devastata. Sempre viva il Brufen.
  94. La pelle del nonno. Un prurito incoercibile che non molla mai e non molla niente.
  95. Smettere di lavorare per Torino. Ricominciare a lavorare per Torino.
  96. “Hai voglia di grigliare per tutti, muso?”. “Certo”. Salamine e cuginanza.
  97. MCR in macchina: “Ci vorrebbe un paio di scarpe nuove, per partire, per scappare lontano, e poi seguire una traccia sbagliata, perdersi meglio, non tornare più indietro”. Sogno al volante, ad occhi aperti. Sogno forte, anche fortissimo.
  98. The bad guy.
  99. La passione di Tom per il Milan. Ma com’è possibile? Come?
  100. La cena 77/78 trent’anni dopo. Wow.
  101. Con Tom e Michi alla Madonna del Corno partendo a piedi da casa. Tom arriverà a casa strisciando.
  102. La sera sotto al Maniva a dare una mano a gestire preadolescenti, bagagli e sette chilometri di strada preclusa ai pullman. Aria di neve ed attesa.
  103. La prima notte nel campeggio croato. No. No. No.
  104. Ci sopportiamo a stento, è chiaro. Io li annoio chiedendo responsabilità, loro mi costringono ad essere noiosa, e pure si offendono.
  105. Nel sole accanto ad una malga, vengo a sapere della cognata di Marta Bassino. C’era anche lei, quella sera al Questa. La vita sa essere crudele.
  106. Pablo, Neruda e la nazigattara. Le lacrime entrando in casa, i goffi e teneri gesti di consolazione di Michi, i Nutella Biscuits che fanno il loro.
  107. “Ciao mamma”. “Oh, ciao muso”. Da oggi Ale ha il cellulare.
  108. La Francigena dal Gran San Bernardo a Vercelli. Un pezzo con Ale, uno con Michi.
  109. I pranzi di lavoro alla trattoria Caironi, casoncelli e mezzo litro di rosso.
  110. In mansarda, tre ore di formazione su Torino. Quando finisco sono stomacata, non oso pensare le mie discepole.
  111. Ricominciare watertrek.
  112. Il nonno arriva di nuovo a Santiago a piedi. È la sua dodicesima volta.
  113. In un unico inverno il nonno invecchia di dieci anni.
  114. Un vernissage alla fondazione Pomodoro.
  115. Il museo del Risorgimento e la dedica autografa di Garibaldi.
  116. Sul tavolo tre shottini che non dovrebbero esserci. Quando finirà? Quando?
  117. Capo Noli e la Grotta dei Falsari.
  118. L’alba sulle Dolomiti. Ciao, rocce. Ciao, mare che fu. Ciao, incanto fatto pietra.
  119. “Lui è, lei è”. Scrivere il diario della Francigena è una delle cose belle di questo cammino.
  120. In una tarda mattina di inizio gennaio, piccoli vandalismi, un lago gelato e un panino con la mortadella nella zona del Due Mani.
  121. Scendere in Tiraboschi a spiegare Clavis.
  122. L’esame di programmazione e le ore di studio a cui non sei più abituato.
  123. Il femminismo mio e la visione patriarcale del nonno. Una telefonata epica, accesa, feroce nel cortile del Castello Sforzesco.
  124. A Vigo di Fassa, la casa-vacanza delle settimane bianche con l’oratorio.
  125. Cassœula e polenta al ristoro di Premaniga.
  126. In un’enoteca in piazza a Rovato, dei Ringo ripieni di crema alla fragola frizzante. Qualcuno deve pur sacrificarsi.
  127. In dodici ore Pavia, Milano, Bergamo, Brescia. Quattro province da quando mi sono alzata stamattina.
  128. Leggere “Al di qua del fiume” di Alessandra Selmi cercando radici famigliari.
  129. A Brescia, la presentazione di un libro [“Non è solo talento e ispirazione. È anche costanza. È anche decidere di farlo e poi farlo”] e la cena al libanese.
  130. “Un passo, una bestemmia”. Mai definizione migliore per un certo tipo di salite in montagna.
  131. Film al Gemini e pizza surgelata. Sei ore Tom e io soli.
  132. Finché non diventano troppo cari, gli aperitivi al bar Atlantic.
  133. Un piatto pieno di hummus spaccato sul tavolo.
  134. Una sera d’estate torno tardi dal lavoro. “Organizzate picnic?”. Organizzate picnic.
  135. Le seconde colazioni al Leopard.
  136. La street art a Clusane.
  137. “Ti ho fatto benzina anche se non era necessario”. A volte credo che l’amore passi da qui.
  138. La notte in tenda nei Balcani profondi e quella a Belgrado.
  139. Le terre ballerine e i balmetti.
  140. Al baracchino dei calciatori davanti al Castello, i panini con il nonno. L’entusiasmo di Tom per quello “Leao”.
  141. Una scorsa alla guida: “Interminabili strade sterrate”. “Ricordiamoci il primo aggettivo”. “In effetti è difficile dimenticarlo”.
  142. “Com’è stata la riunione?”. “Vibrante”.
  143. Vicenza non conquista.
  144. Dagli avvocati. “C’è tuo figlio appiccicato ai vetri”. “Come fai a sapere che è mio figlio?”. “Siete identici”.
  145. A ranghi ridottissimi da Valcava al Linzone con amici. Ci sarebbe stata una birra.
  146. La Svezia dentro i sogni e una proposta indecente, molto indecente.
  147. Dentro un libro da catalogare, una schedina del totocalcio del 1964.
  148. Le vacanze di carnevale di Ale a Monticiano, una fuga verso la fatica.
  149. Ciao a te, che per anni sei stata la colonna portante della nostra famiglia e adesso sei giustamente diventata grande. Sei stata tanto per noi. Ci mancherai. Lacrime di cucciolo seduto sulle scale.
  150. La mattina del 26 dicembre mi faccio un regalo. Mi sveglio presto e vado a far andare le gambe sul Trentapassi.
  151. “Sono la mamma di Michele”. Ci sono persone che hanno il cuore arido.
  152. Un giro al pronto soccorso per un presunto braccio rotto. È il due gennaio. Cominciamo bene. No, non era rotto. Per fortuna.
  153. Educare i figli mi devasta. La loro indolenza scolastica mi distrugge. Il loro tirare a campare senza assumersi alcuna responsabilità tira fuori il peggio da me.
  154. La valle di Fonteno e le tracce dei partigiani. Tom non la prende bene per nulla.
  155. Il rifugio Principe, il traverso, il lago di Antermoia.
  156. Trent’anni anni da quel 27 marzo. Trenta.
  157. Il dorodango.
  158. La tua prima volta a Premaniga.
  159. Prati Parini, Canto Alto e tensioni dense.
  160. Cene a turni. Faccio compagnia a tutti. Non sono di nessuna compagnia. Appoggio la testa sul tavolo. Potrei addormentarmi. Vorrei addormentarmi.
  161. Il Kungsleden e le Lofoten.
  162. Pizzini a matita per organizzare il lavoro autunnale. “Niente Excel dell’informatico?”. “Quello è implacabile, la grafite per nulla”.
  163. “Panico, panico, panico”. Tom appiccicato in parete e noi nudi dentro l’acqua.
  164. “Per domani ho schiscetta anche per te: cous cous con verdure e un pizzico di curry. Ti interessa?”. Ci sono colleghe che sono speciali.
  165. “Entri in casa e sei già arrabbiata”. “Mi arrabbio appena entro in casa”. È sempre questione di punti di vista.
  166. Quel sabato mattina in cui ero andata a Pavia per lavorare ma poi alla fine sono venuta nel bosco con voi a pulire sterpi e raccogliere legna.
  167. La steam engine della Wilesco sul tavolo in giardino. Entusiasmi maschili.
  168. Dopo la scuola, Ale per due settimane a Monticiano.
  169. Un anno di guerra in Ucraina. E no, non smette ancora. Non smette mai.
  170. Pani câ meusa, pane e panelle, arancine, pasta con le sarde, cannoli, brioche col gelato, brioche col tuppo, granita, pane conzato, birra Messina.
  171. I tre bicchieri fighi sul bordo del lavandino. “Per tre bicchieri”. “Non sono tre bicchieri. È questione di fiducia, di collaborazione, di rispetto”.
  172. Amicizia e gelato sulla Martesana in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere lavorativo e invece non lo è stato.
  173. A Casa Ramen il mio primo ramen.
  174. Un aperitivo al Tramvai.
  175. Dentro un libro degli avvocati, un post-it: “Magistratura comunista”. C’è poca serenità.
  176. Panda rossa, cielo e nuvole, mani sul volante: on the road in Sicilia.
  177. La botta della prima anestesia generale. Ma che magia è?
  178. Il bagno rifatto. Mai più opere in muratura e/o ristrutturazioni. Mai più.
  179. “Con in casa tre maschi che crescono, perderai il controllo di cibo, frigo, dispensa”. In effetti anche solo fare una torta al cioccolato diventa un’impresa sfidante.
  180. Tom a Mantova al museo dei pompieri.
  181. Tutti i sassi a forma di cuore che trovo.
  182. La biblioteca degli avvocati, ma loro la chiamano library. Prende forma con il nostro lavoro.
  183. La cena di Natale dagli zii per la prima volta dopo il Covid. Ci siete tutti. Peccato non esserci.
  184. Ci sono adulti che non la sanno fare. Ci sono professionisti che pensano non sia necessaria. Ale a 13 anni chiede come si fa a fare la è maiuscola accennata su word.
  185. “Mamma, se vuoi puoi usare un asciugamano asciutto. Ce n’è qui uno in bagno”. […] “Ah, no, mamma. Non è un asciugamano. È un tappeto”.
  186. L’amicizia lunga quasi vent’anni e una bimba minuscola a Novafeltria.
  187. La cattedrale di Monreale e la Cappella Palatina. Lasciano senza fiato.
  188. All’improvviso trippa ed amicizia ad un piccolo tavolino pavese.
  189. Gesù Bambino porta un calcetto. Euforia.
  190. Più di un’ora da Gialdini a provare scarpe per me quando avremmo dovuto semplicemente comprare un imbrago per lui. La pazienza con cui mi aspetta Michi è encomiabile.
  191. Il campeggio a Edolo, la notte bianca, pane e salamina sul ciglio della strada, l’improvvisazione come stile di vita.
  192. In un negozietto di Neo Marmaras, un nuovo anello.
  193. Andando a pilates: “Fammi un ripasso della politica coloniale italiana, per favore”.
  194. La spiaggia col relitto.
  195. Una mattina di giugno devastata da furia, rabbia e incomprensione. Quando mollerà?
  196. Il Perucca Vuillermoz, il Prarayer, il Nacamuli. Chi in quattro giorni, chi in due.
  197. “El cielo como bandiera”. Diventerà quadro.
  198. Da quando viene male alle anche? Perché ho male alle anche?
  199. “Gira l’influenza”. “Certo che gira l’influenza. Ma se ieri in montagna si fosse portato la giacca, io adesso avrei meno acredine addosso”.
  200. La nuova sede scout.
  201. In questa vita folle, piena di lavoro e sempre di corsa sto riuscendo a tenere pilates, watertrek e almeno un dislivello a settimana. Bello. Non era scontato.
  202. L’epifania: “Quelle non sono monografie, quello è un periodico”. Un collega morbido, uno perentorio. Io col mal di pancia.
  203. Al Muse di Trento.
  204. Il documentario “The harvest”.
  205. “Fantasmi e spiriti del Giappone” da Tenoha.
  206. Il Magnodeno da Erve e quelle due birrette sedute sui sassi in mezzo al fiume.
  207. Come fai ad avere ancora la pazienza necessaria per starmi accanto?
  208. In giugno in giardino, Tom in mutande e Michi con su un pile peloso ed imbottito. Il nostro inuit.
  209. Ale a Bard non è figlio ma compagno. Per un attimo intravvedo quello che potrebbe diventare.
  210. A volta mi pare di non far altro che lavorare, essere in treno, cucinare, fare accompagnamenti, svenire di stanchezza.
  211. “Posso cominciare a fare il chierichetto?”. “Sei più alto del mio ombelico. Puoi”.
  212. Dal picnic a Punta dell’Orto per creste fino a Pezzolo. Cammino sola. Cammino nel sole. I pensieri volano. I sogni volano più dei pensieri.
  213. Finalborgo quindici anni dopo. Ricordavo una salita, una focaccia, un mazzo di chiavi lanciato oltre un cancello.
  214. “Andrebbe stimolato” diventerà mantra e feroce presa per i fondelli.
  215. Il picnic sopra la metro Sant’Agostino, il Museo della scienza e della tecnica, il Toti da dentro.
  216. Doveva essere la festa delle luci in città per “Bergamo-Brescia capitali della cultura”. Sarà un messicano purtroppo triste.
  217. Monte Vignole e Monte Cunicolo. Di domenica il Trentapassi ormai è Rimini.
  218. Il presepe a Borgonato. Bravo, Ale.
  219. Riunione del gruppo d’acquisto. “Chi siamo? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare?”. Serve tornare alle origini.
  220. A Pavia, un pranzo al ristorante georgiano. Il lobio crea dipendenza.
  221. Sfoglia un libro e trova le parole che stava cercando, quelle giuste, quelle perfette. Dal suo sussidiario di prima elementare, una poesia sui baci. Sciolgono d’amore, asciugano lacrime.
  222. Imbiancare. Il verde, il lilla, l’ocra.
  223. Il gelato a Lovere dopo la firma con gli avvocati. Era promessa, diventa coppa. Immensa.
  224. Le Orobie vent’anni dopo. La pioggia in Val Sanguigno, i denti a battere al Gemelli, i camparini al Curò, il rifugista del Brunone, il carlino Giotto al Coca.
  225. La foto del nonno davanti al Tempio della Concordia: “Antichità varie”.
  226. Noi ci siamo e indichiamo e guidiamo, ma la vita è loro. Faticosa ma necessaria consapevolezza da acquisire.
  227. Le “donne-ansia” e il bel lavoro che ne viene fuori. Non è da tutti avere mariti lavorativi così.
  228. La telefonata di una maestra di Michi salendo sulle Corna una sera d’agosto.
  229. A me a volte pare di sentire di più della media delle persone. E dico di orecchie. E dico di cuore.
  230. La notte ad Aosta ed il McDonald’s oltre lo svincolo delle autostrade.
  231. Un aperitivo da Anima. Piedi nudi sul prato.
  232. Per la terza volta, una delle rivoluzioni copernicane del diventare grandi: Tom impara a leggere.
  233. “Come stai?” “Credo come te ogni mattina. Rincoglionita”.
  234. Le scale di Agrigento dentro la notte siciliana. “Come fanno senza corrimano?”, chiede il nonno.
  235. Gli aperitivi in giardino. Andrebbero fatti più spesso.
  236. La staffetta di triathlon paralimpico sul Lago d’Iseo.
  237. Il calice con la scritta. “Serena”. A me? Sicuri? Proprio a me?
  238. Una foglia di Ginkgo Biloba e “viva la vida”.
  239. Sul lavandino una scatola nuova di Daflon. Altro che fiori, altro che anelli, altro che diamanti. Il Daflon è il vero pegno d’amore.
  240. Quella grigliata sulla quella griglia di Fantecolo. Diventerà epica.
  241. La mia nuova bici. È lei. È proprio come la volevo. Grazie.
  242. I Tre Re a Premana infiniti anni dopo. Quel canto. Quella stella.
  243. “Cosa c’è da fare?” “Adesso niente, Ale. Prima c’era da apparecchiare e tu ti sei defilato”. “No, no. Io non mi sono depilato”.
  244. Un aperitivo biblioteconomico milanese in Corso Garibaldi.
  245. Devastata dalla vita insieme, dalla fatica, dalla tensione perenne. Io qui dentro non sono felice.
  246. Tom inizia il corso di arrampicata.
  247. “Vogliamo dirlo? L’idea che tra dieci minuti sarò seduta in macchina da sola dopo sei giorni di convivenza h24 e metterò la musica a palla e l’aria fredda della sera entrerà dal finestrino aperto non è per nulla male. Ho bisogno di me, di niente, di nessuno”.
  248. Nel parcheggio sotto al Bronzone, una luce morbida, calda, onirica. Fate ed elfi non sono certo lontani.
  249. Erice. Una nebbia che pare novembre in Lomellina, delle affissioni murarie che a lungo sono un mistero.
  250. I muri di Bologna e quelli di Palermo. Parlano.
  251. Dieci calze della befana nella bella casetta di Premana.
  252. Un piumino nero nuovo. Non avevo mai avuto un piumino in tutta la mia vita.
  253. I taroz.
  254. Del lunghissimo disegno di nave su fogli A4 attaccati uno all’altro che ha fatto Ale nel corso degli anni, la prof. di arte dice: “Non stonerebbe certo in una galleria”.
  255. La biblioteca di Bagolino, il tempo da far passare e la guida della Sicilia.
  256. “Torino? Venezia? Bologna?”. Alla fine Bologna. È un 31 dicembre insolito e bellissimo.
  257. Corro. Corro sempre. Non faccio altro che correre. Voglio solo andare a letto, svenire nel sonno, disinteressarmi del mondo.
  258. Griglia rossa della nonna. Lombatello, tagliata, arrosticini la triade perfetta.
  259. Sul Bronzone con il migliore amico di Michi, cavalli liberi e vento gelido.
  260. Riconoscere quale figlio ha fatto il presepe in casa da come sono disposte le pecorelle in mezzo alle altre statuine.
  261. “Non sto bene. Non me la sento di tenere Tom”. Il nonno all’improvviso ha tutti gli anni che ha.
  262. Un sabato pomeriggio in giro per Brescia con Tom e Michi durante un open day della Pastori.
  263. Nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, i tre calchi delle pietà di Michelangelo.
  264. La nuova raccolta dei rifiuti. Guai a produrre indifferenziato.
  265. “Tom, l’altra sera hai detto che sciacquare i piatti ti piace moltissimo”. “Mi piace, Michi, ma non mi piace così tanto che voglio farlo anche stasera”.
  266. Lo stesso indumento fa da maglietta e da pigiama per giorni, e giorni, e giorni. Benedetta adolescenza.
  267. Dei dolcetti sardi in mezzo alle Dolomiti.
  268. La Val Vertova in mattinata e la pizza al bar Roma per pranzo.
  269. Con Tom in treno a Darfo.
  270. Dopo 14 anni in questa casa, finalmente abbiamo un lampadario sopra al tavolo della sala e una porta che chiude il bagno.
  271. Il primo sello sulle credenziali dei figli ha sempre a che fare con la commozione, l’orgoglio, la felicità.
  272. L’acquario di Gardaland.
  273. Le gare di arrampicata a Gandino, a Brembilla, a Brugherio, al Palamonti [quel gelato con la panna].
  274. Alla fine si raccoglie sempre quello che si semina. A me pare che qui si semini e si raccolga solo egoismo, tensione, schifo.
  275. Le tagliatelle della Magnolini e il Monte Colombina.
  276. Il quadro: “Se va piano non è di Milano”.
  277. Gli atti vandalici sulle bici a scuola. La mail di fuoco che scrivo.
  278. A Finale Ligure, due sere di fila gli stessi spaghetti allo scoglio. Non poteva essere altrimenti.
  279. Un pomeriggio d’estate sotto al portico di Solto. Legni laccati, Umberto Bossi imbavagliato sulla copertina di un inserto del Corriere della Sera, una rivista su Bartali.
  280. Un libro in russo con titolo parallelo in uzbeko. Buon lavoro.
  281. Il saggio di flauto delle prime medie: da Brahms agli Abba passando per Grieg e Shakira. A questo dovrebbe servire la scuola. A portare oltre.
  282. A Cividate Camuno la presentazione de: “L’abbraccio selvatico delle Alpi”.
  283. Un caffè in Foro Bonaparte con chi vent’anni fa era la mia responsabile in Braidense.
  284. La tesina sugli scout e gli esami di terza media [“Dai tutto quello che hai da dare. E soprattutto: sappi e ricordati che hai tanto da dare”].
  285. “Perché hai preso una pianta?”. “Per domani, Tom. Per il compleanno di A.”. “È una pianta carnivora?” Ma che domanda è?
  286. Un giro sulla Valeriana con qualche pellegrino, un San Restino prima di Marone, un amico che viene recuperato in stazione.
  287. “Non è che sono stanca di lui. Sono stanca della persona che divento in sua presenza”.
  288. La deragnatura dei corpi illuminanti.
  289. 10 euro in mano a Michi: “Andate in cooperativa e compratevi succhi e biscotti per merenda”. È indubbiamente un upgrade.
  290. 1 gennaio. Siamo svegli da venti minuti e già non ne posso più. Buon anno.
  291. Ci rubano le bocce. E però a me l’origine di quel furto continua a sembrare un’idea brillante.
  292. Il matrimonio a Zuccone.
  293. Pizzo Cerro e Corno Zucco. Non mi ricordo mai come si chiamano.
  294. Il 16 settembre un 4.5 un analisi logica. Un inizio scintillante.
  295. Le lacrime per il venerdì di quaresima.
  296. Al supermercato, Tom vestito da Spiderman, ai piedi le crocs, in mano un gambo di sedano.
  297. Una pizza al bar Roma mangiata al parco per festeggiare la fine della scuola.
  298. A messa Tom canta: “L’offerta a te granita”.
  299. Mi metto lì e scrivo quello che ho imparato nel 2022. Tra tutti: “Che i miei piedi sono più felici se hanno le unghie colorate; che con la schiena piena di pagliuzze di erba, briciole di terra e bocconi di cielo volo di più; a fare la cacio e pepe e mi viene buonissima”.
  300. I giorni di lavoro all’archivio di stato di Bergamo, le birre a fine giornata.
  301. “Ciao, antenati”.
  302. Mi sveglia dolcissimo un profumo inebriante di burro, uova e zucchero. Per colazione Ale prepara i pancake.
  303. Il mare croato, i piedi nudi sulle rocce, la pelle baciata dal sole, i picnic nel parcheggio del super. Zingari dentro.
  304. La mail a Barbero e la sua risposta.
  305. Due anime, un casco, le mura di Città Alta, una pausa pranzo dentro il sole di metà novembre. Quanto si sta bene? Quanto?
  306. Un abito in taffetà blu e quel “Che gnocca, la milanese”.
  307. L’ostello di Ivrea. Le rapide del fiume.
  308. La cena etiope. Zighinì piccante e dita unte.
  309. Ale e Michi fanno discorsi sciallati ma parlano di “contrazioni esomuscolari”. Io a volte mi chiedo come fanno ad essere figli miei.
  310. Un tardo pomeriggio d’estate, da Erbusco a casa in bici Ale e io. “E se ci facessimo così la Francigena?”. “Facciamola”.
  311. “Come hai fatto ad arrivare su quello scoglio? Dove l’hai messo, il piede, Michi?”. “In aderenza, mamma. In aderenza”. “Aderisco il sedere. Mi pare l’unica”.
  312. A votare [più di questo non si può fare]. Vince la destra. Prevedibile. Sconfortante.
  313. Dentro un vagone della metro, cade o fanno cadere una signora. Per terra, in mezzo alla calca, si lamenta gemendo. Milano è diventata una giungla.
  314. Siamo solo in tre. Concedo pizzoccheri. L’umore attorno al tavolo però è plumbeo.
  315. “Non è che dobbiamo ignorarci per statuto”.
  316. La Vello-Toline e la scavatrice immensa: “Wow. Questa sì che è bellissima”.
  317. Il gabinetto precluso, il gabinetto intasato.
  318. In Via Porlezza, i mille gusti delle cialde del caffè, la frutta e la verdura sempre a disposizione [fragole e pomodorini anche in dicembre].
  319. Un aperitivo alla forneria accanto alla palestra di arrampicata.
  320. Un caffè e degli abbracci al bar Centrale su un fuso orario praticamente pavese. Essere amici è non lasciar cadere alcuna occasione.
  321. Da Pisogne a Iseo in battello. Inusualissimi scorci.
  322. A mezzanotte passata, tu, io e il MEPA. Le nuove frontiere dell’erotismo domestico.
  323. Per festeggiare dell’amicizia e un compleanno, una scodella di fuoco con tentacoli [“Di cosa? Di kraken?”] ad un cinese verace in Ponte Seveso. Poi al Reverend.
  324. Un Milano-Rovato in treno con il nonno tornando dal lavoro. Il mio tempo ferroviario è un tempo di nulla, di silenzio, di libri, parole, immagini. Non sono abituata a condividerlo con qualcuno.
  325. I calcinculo a Montjovet e i biscotti di feltro.
  326. Al pub in Città Alta, le Guinness del venerdì sera dopo la Mai.
  327. Dopo anni che ne sente parlare, con una cara amica in cascina alla Pedrocca. Poi Madonna del Corno e croce di Provaglio. Di sera bunet.
  328. I mosaici della Fondazione Bisazza.
  329. Tom stravolto di stanchezza: “Non voglio diventare come un peperone nell’insalata”. Non è dato sapere altro.
  330. Una nuova babysitter. È proprio il caso di dire che giochiamo in casa.
  331. Dopo tutta l’arsura, gocce a bagnarci in una sera d’estate. Carezza d’acqua e benedizione.
  332. Il corso di fumetto e le tavole sulla Costituzione. Ale sceglie l’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”.
  333. Con due amici, una piccola festina per il compleanno di Michi. Pasta al pomodoro, crostata, racconti di Egitto e di piramidi.
  334. Oltre “l’aggressività passiva di chi negando le parole nega l’esistenza dell’interlocutore” [grazie dottoressa Andreoli], io rispondo vivendo fino all’ultimo respiro, il mondo sulla pelle, il sole nello sguardo, il sorriso sulle labbra.
  335. L’audiolibro del Barone Rampante. Per me è sonnifero ogni volta.
  336. Una torta per San Valentino. Sbang. Sei uova rotte tutte insieme. Bel colpo.
  337. “Nell’aula di musica ci sono un sacco di CD. Ce ne sono di Battiato, di Mozart, di Beethoven…”. “Beethoven il cane?”
  338. Sei ancora sveglio. È già domani. Auguri e gelatino.
  339. Carrucole, alberi e caschetti a Montestrutto. C’è chi sprizza entusiasmo da tutti i pori. E chi meno.
  340. “Stamattina Sofia mi ha detto che è la mia morosa. Ma adesso la mia morosa è Sara”. “Scusa. E Sofia?”. “Sofia l’ho già lasciata”. Tom, seconda settimana di prima elementare.
  341. “Sono un po’ stanca”. E se lo dice lei diventa storia.
  342. Il sopralluogo a Pianesse [“Mi avete fatto fare un trekking”] e quello a Fantecolo [“Perfetto, grazie”]
  343. Tornare a lavorare al Castello.
  344. Una partenza per la Svezia, quattro partenze per la Croazia.
  345. Merenda scout sul fuoco svedese.
  346. Di Tom dicono: “Ha l’intelligenza motoria. Va allevato”.
  347. Dopo anni, una grigliata a Pombia. Aria d’estate, adulti che erano ragazzi, ragazzini che erano bambini.
  348. Un bagno a Montisola. E pazienza se non abbiamo i costumi. Sarà il primo di una lunga serie.
  349. Il Passo Campelli, il rifugio Campione, il monte Campioncino. La croce e il libro di vetta. Tom firma, orgoglioso.
  350. La gita al lago di Lova abortita perché nessuno dei figli aveva con sé una giacca. A Borno ci sono 10 gradi.
  351. “Non ne posso più”. “Dai che siamo arrivati”. “Se fossimo arrivati, saremmo sul letto senza scarpe e senza zaino”. Ha della logica, il ragazzino.
  352. Il bar di Sadler e le brioches avanzate.
  353. Tema: “Io e lo smartworking”. Svolgimento: “Piadina al centro commerciale, gelato con i ragazzi, adesso caffè in giardino”. Chiamatemi per altri consigli.
  354. In mutande dentro l’acqua per avvicinarmi almeno un po’ di più alla Scala dei Turchi.
  355. “Quanto è buono anche solo un panino con due fette di formaggio quando hai fame”. Michi impara cose preziose.
  356. La sera che cala lungo l’Adda. Stare e andare. Anime a trovarsi, riconoscersi, tenersi per mano.
  357. Quella pioggia pazza e fortissima dopo la spiaggia nudista. Lava l’anima. Mi lascerei lavare l’anima per ore.
  358. La prima doccia nel bagno nuovo. La prima pipì.
  359. Ale a Milano al Museo della Shoah, ad Assisi, a Trieste.
  360. Le terme di Sirmione e il panino con il crudo davanti al supermercato.
  361. 20 anni in venti minuti. Diventare, essere diventati. Ai margini di Città Alta, un panino con il manzo all’olio e una morbida amicizia ritrovata poco tempo fa.
  362. Ricomporsi dal kebabbaro di Vercelli per un pranzo di Pasqua decisamente alternativo.
  363. Voto otto al ventitreesimo chilometro e voto dieci dopo 1.300 metri di dislivello in discesa mi paiono dei gran voti.
  364. La Riserva dello Zingaro. Più di tutto la Riserva dello Zingaro. Due bagni che amplificano l’esistenza. La mia pelle nuda e quell’acqua gelida. Brivido e libertà.
  365. “Com’è andata?” “Lo rifarei. E dirlo non è poco”.
Pubblicato da: cri | 10 febbraio 2023

365: 2021-2022

  1. Una goccia è una goccia. Una goccia è un inizio di mare. Una goccia è un minuscolo, insostituibile pezzo di mare.
  2. Sfoghi nervoso domestico con un giro in bici fino a Predore.
  3. Al Gemelli. È la tua prima volta. Per me è sempre un tornare a casa.
  4. C’è chi gioca a “Palla asino”. Noi giochiamo a “Palla ornitorinco maggiore della Tasmania”. Ridiamo moltissimo ai margini del quartiere Isola.
  5. Una sera al volo da Gialdini a comprare le scarpette di arrampicata.
  6. Il giro in gondola e la libreria Acqua alta.
  7. Nel B&B di Marcignago. La mia prima trasferta di lavoro. Mela, mandorle e un bagnoschiuma nuovo. Ci sono ampi margini di miglioramento.
  8. A Capriolo: “È la preadolescenza. È un tempo entusiasmante e assolutamente spiacevole”.
  9. Il Thabor in sospeso e la Guglia Rossa sotto i piedi
  10. Un social down dalle 17.00. Scriversi via sms. Pare di essere tornati indietro di 10 anni.
  11. La Dalmine per una volta costeggiata dal lato che non è autostrada. Fumi bianchi e luci arancioni dentro una notte di provincia. Poi Guinness ed amicizia.
  12. La prima polentata dopo il covid. Mancavate da levare il fiato.
  13. “Non è possibile che tu sia così rincoglionito, di prima mattina”. “Non è possibile che il mondo debba sempre girare come vuoi tu”.
  14. Ale torna da scuola con una biscia in mano.
  15. Il lago di Tenno, la sua isola in quella mattina di ottobre, i piedi nudi dentro l’acqua, le mani a tenersi.
  16. Dice la babysitter di sempre: “Non voglio più lavorare con voi. Non ce la faccio più”. Dico ai ragazzi: “Io oggi mi sono vergognata di voi”.
  17. Un Windspiel appeso alla nostra betulla. Si muove nel vento. Di notte riflette la luce del lampione.
  18. Pompei. L’incanto delle parole scritte, quello delle parole lette. Trasportano lì, in quell’allora. Ci lasciamo affabulare.
  19. “Ma giovedì dobbiamo andare a pulire i piedi?” Michi parlando della lavanda dei piedi.
  20. Ale passa in reparto. Quando è diventato un ragazzino grande? Quando?
  21. Tampone negativo. Festeggiamo la ritrovata libertà scambiandoci carinerie del tipo: “Vedi di andartene. Non ti reggo più” e “Vado il prima possibile. Sei insopportabile”.
  22. “Ma anche in Svizzera c’è l’Esselunga? No? E allora cosa mangiano?”
  23. “Sei veleno”. “Siamo veleno”.
  24. “Cos’è quella?” “Una musicassetta, Michi”. Sentirsi preistorici.
  25. Mi crogiolo nel bene voluto e nella bellezza delle mie parole. Cazzo, se so scrivere bene.
  26. “Ha avuto un infarto. È in terapia intensiva e pare essere fuori pericolo”. All’improvviso mi precipita addosso la precarietà della vita.
  27. La Val Grande. Il cielo di un azzurro tersissimo, le rocce rosse, le cime innevate, una fetta di salamino disperso.
  28. “In via di prima acquisizione” nell’interrogazione sull’apparato escretore. “E dille due cagate, Michi”. Becera, ma ci stava.
  29. “Avevi un muso che toccava terra”. “Non avevo altro da dare”.
  30. Un aperitivo in città alta aspettando che atterri un aereo. “A sapere del ritardo, ce ne stava un secondo”.
  31. Macerie. Non solo in bagno.
  32. Voglio solo silenzio. Solo nulla. Solo niente. Solo nessuno. Vorrei essere sola, in un qualunque altrove.
  33. Un paio di orecchini lunghi. Dei pesciolini penzolano dalle mie orecchie fuori dalla mia comfort zone.
  34. Un panino al Put de Fer gronda tensione, rabbia ed amarezza. Però hai ragione tu. In qualche modo siamo ancora qui.
  35. La Via Crucis animata. Una canzone di sempre all’improvviso commuove fino alle lacrime.
  36. “In due giorni ci metti nella condizione di catalogare i nostri libri?”. “Tu in due giorni mi metteresti nelle condizioni di fare il tuo lavoro?”
  37. “E se venissi a non-bere il caffè da te?”. Il pomeriggio di venerdì santo con le cuginette nella casa del bosco.
  38. Il musical “Forza Venite Gente” a Provaglio di Iseo.
  39. “I partigiani erano persone che durante la seconda guerra mondiale combattevano per la libertà”. “Ah. Io pensavo ad un formaggio!”.
  40. Il 20 ottobre esce dal Qubo una bottiglietta di aranciata amara piena a metà comprata a fine luglio, tornando dal Thabor.
  41. In questa ennesima quarantena mi sento circondata, assediata, oppressa. Leggo. Volo in mondi di sogno che sono un altrove disponibile a basso costo.
  42. Imparo a fare la cacio e pepe. Mi viene buonissima.
  43. La casa di Loritto, il tizio improbabile, incensi e candeline “per fare ambient”.
  44. Il pub a Soncino a tema “Signore degli Anelli”. Il ruggito di ratto, la carica barbarica, un’elepoli corazzata.
  45. L’autostop alla fine dei giri in montagna. Funziona sempre.
  46. A chiacchierare tra le rocce, papalina e dolcetti sardi. Che bella che è la vita, senza il mare di mezzo.
  47. Un pranzo alla Trattoria del cacciatore di Rovato. Siamo le uniche donne. A seguire caffè con cannoncino al pistacchio.
  48. Una notte nell’ostello della gioventù a Pavia. Una Guinness media e un panino con coppa, melanzane, acciughe, tabasco.
  49. Calzini e parole come a quindici anni sul lettino della cameretta in via Birolli.
  50. “Ci sta uno spritz?” “Devi dirlo tu”. “Ci sta”. Poi pazienza se tutto diventa una corsa a rotta di collo per arrivare in tempo a shiatsu.
  51. Un ciclamino tra il tombino, il muro del vicino e la terra arida. Dentro il nulla, fiorire.
  52. Cena al bocciodromo con l’associazione “Essi vivono”.
  53. “Tom, hai un alito cattivissimo”. “Spruzzati un po’ di deodorante per ascelle in bocca”.
  54. Per la prima volta e per trenta minuti lasciamo a casa da soli tutti e tre i ragazzi. In qualche modo – assolutamente perfettibile – è un progresso.
  55. Sulle rive del lago mani a tenersi forti e dolcissime, silenzio a dire, degli arancini freddi che hanno fatto Brescia-Polonia-Brescia.
  56. “Buongiorno maestra, purtroppo non ho finito i compiti perché troppe volte durante l’estate quando i miei genitori mi dicevano di farli non mi sono impegnato”.
  57. Coloni di Catan. Mesi che non ci gioco. “Sarà anche arrugginita, la mamma. Ma resta un drago”.
  58. Avere un gabinetto pulito con tre maschi minorenni in casa pare essere un traguardo del tutto irraggiungibile.
  59. Sul pavimento della sala di Paina, notte nei sacchi a pelo. “A lungo vi ho sentito ridere e chiacchierare”.
  60. “Solita domenica di merda”. “Già, solita domenica di merda”.
  61. Il giro dei laghi, la notte al nido d’aquila e lo spritz a quota 2.400.
  62. Cinque pizze d’asporto per festeggiare la fine della quarantena.
  63. Alla Madonna della Neve, il maxischermo per seguire la messa.
  64. Ale nelle mani della mia operatrice shiatsu preferita.
  65. “Mamma, c’è un gigantesco cuscino appoggiato sul letto”. “È un piumino, Michi”.
  66. Prenotare una risonanza magnetica al Civile è un girone dantesco. “Sì, Michi. Certo che ce lo meritiamo, un gelato”.
  67. Tra 21 km c’è Essen. “Io faccio Essen-Francoforte con una stazione”. Le partite a Ticket to ride lasciano il segno.
  68. “Ricordati di me [in moto]. “E tutta la città è bagnata da questo temporale [ci vediamo tra un’ora più o meno]. Alcune richieste di passaggio fino in città alta sono poesia.
  69. Davanti ad un pub, devastarsi il ginocchio. Stavolta non sono i legamenti, grazie al cielo. Ho temuto. Resta una sòla.
  70. Un ristorante cingalese e una mostra sul Covid alla Fabbrica del vapore. Cinque ore insieme a vent’anni dalla Romania.
  71. “Da che parte stiamo?” “Ti direi che sto dalla parte di chi sanguina”.
  72. Il mare campano non ci conquista. San Michele, arriviamo.
  73. Scrivo parole per Michi. Diranno: “Seriamente bello”. Dirò: “Morissi domani, vorrei che questo fosse il mio testamento spirituale”.
  74. Un lunedì sera qualsiasi un picnic in riva al lago.
  75. Il ciclamino eroico. Il ciclamino ammazzato. Piango rabbia e impotenza.
  76. L’abboccamento con gli avvocati. Gli avvocati, poi.
  77. Alle 14.30 siamo seduti al Flora con due spritz. Non c’era altra via.
  78. “Hai capito, Michi? Hai capito che Gesù Bambino non esiste?” “Sono due anni che l’ho capito, mamma”. “E non dicevi niente?” “No, perché avrei dovuto?”.
  79. A far asciugare un piumone in una lavanderia a gettoni la mattina di Santo Stefano. C’è di meglio. Deve esserci di meglio.
  80. Lo scivolo di roccia a Mosnigo.
  81. A Pavia un tramezzino – plastica e tristezza.
  82. Vendiamo la roulotte.
  83. Guardo una mia foto di otto anni fa. Quanto sono più bella oggi. Quanto sono più io oggi. Mi incanta, il mio trasformarmi. Mi incanta il mio diventare la versione migliore di me.
  84. A Lambrate la prima maglietta a mezze maniche della stagione. Zaino, filo degli auricolari, spalla nuda.
  85. La prima gara al Big Wall di Brugherio.
  86. Streetart all’Ortica: “Di chi ti ricordi per sorridere?” e “C’era una voglia di ballare che faceva luce”.
  87. Tom: “Secondo me è tanto che tosso [tossisco, ndr]”.
  88. La lettera di Ale. Le parole scritte con l’inchiostro invisibile. Le lacrime, la fatica, il dolore, l’amore.
  89. “Sei in biblioteca?” “A Lovere”. “Accademia Tadini?” “Bancarella dei pesciolini fritti”.
  90. Mi sveglio insieme a voi: coda in bagno, coda davanti ai fornelli, coda per lo spazzolino elettrico. Svegliarsi alle 5.27 ha i suoi vantaggi.
  91. A metà mattina di un giorno di scuola, un tampone per Ale nella farmacia di Capriolo. Leggermente positivo. Parte il circo. Salta la festa per i novant’anni del nonno.
  92. In piscina seduta per terra nell’atrio, il PC sulle panchine dell’ingresso, sistemo file Excel. Perché non ho salvato prima di spegnere di corsa il PC? Perché?
  93. I dieci minuti di pennica che talvolta mi concedo all’autogrill di Agrate.
  94. Di prima mattina a Pavia una fame strana, sconosciuta, da cammino. Due banane dal fruttivendolo ed un panino dal panettiere.
  95. La facilità, la gentilezza e la solarità con cui Tom conquista il mondo.
  96. “Ciao, papessa”. Saluti epici di colleghi bergamaschi.
  97. Il Martini bianco offerto prima di cena in un rifugio crea una sorta di dipendenza.
  98. Uno spritz tra amici a Sarnico mentre i ragazzi giocano al parco giochi.
  99. I “Piselli in tenda” diventano “Piselli in casa”.
  100. Ale salta da un terrazzino in legno ad un prato oltre il sentiero. Pare volare. Sa essere un augurio.
  101. “Com’è andato il ritiro?”. “Abbiamo mangiato la pizza alla Nutella”. La spiritualità è tutto.
  102. Un colanzo con gli amici per il compleanno di Michi.
  103. “Lasciami giù, per favore”. A piedi dalle Torbiere a casa una domenica che avrebbe potuto essere bella.
  104. Il picnic di Pasqua sopra le piramidi di Zone.
  105. Il privilegio di accompagnare a Venezia qualcuno che la vede per la prima volta. Incanto, magia, stupore all’ennesima potenza.
  106. Tornare a festeggiare il Natale nella casa di Erbusco.
  107. La passione che ha Tom per le camicie. La quota di eleganza familiare se l’è presa tutta lui.
  108. “All’asilo ci sono i pidocchi”. Da quando c’è il Covid, i pidocchi non sono niente.
  109. Seduta sul muretto di una piazzola di sosta dell’A4, aspettare il carro attrezzi.
  110. Sei bicchieri fighi per il vino rosso. “Stai diventando una donna di classe”. “Sono sempre stata una donna di classe”. “In Tonale il tavolo era un’asse appoggiata sui cavalletti”. “Shabby chic”.
  111. “Riusciresti a fare bella anche una discarica, con il tuo sguardo. Eppure, poi, dentro la nostra vita ti perdi”.
  112. Tu sul monte Vignole con un cugino, noi alle Torbiere.
  113. Tranne un unico caso, scrivere torna ad essere solo uno sbrodolare giorni, fatica, gocce di bellezza.
  114. “Non è vero che dalla battaglia o tornerai vivo o non tornerai affatto. Nel caso di un tuo ritorno, tornerai ferito. Come porterai con te la ferita, quanto si infetterà, quanto riuscirà a guarire, quanto ti dannerà, ecco, sarà questa la storia della tua vita” [Sono ancora vivo, di Roberto Saviano].
  115. Una pizzata di classe all’oratorio di Borgonato. Smetterai di essere pesce. Troverai il tuo posto. Sarà tuo. Sarà bello. Sarà leggero. Sarà facile.
  116. Mi sento prigioniera di questa pioggia che non molla mai, di queste quattro mura, di questi figli, di questa famiglia, di questa mia vita. Vivo in apnea. Cerco solo di arrivare a sera.
  117. Il giro capre 2021: le Marittime.
  118. Quella sosta all’autogrill di Padova. Venezia, ce la possiamo fare.
  119. “La strada si trova perdendosi”. Un’intervista a Franco Arminio ascoltata in A4.
  120. Fare il passo del San Gottardo tornando dall’Olanda.
  121. Sole, stanchezza, spritz e piadina sulla piazza di Pisogne.
  122. Alle terme di Milano per festeggiare un compleanno. Una giornata di donne, racconti, acqua calda ed amicizia.
  123. Una pista di pattinaggio in mezzo ad un campo veneziano. Tom: “È strano che qui dove siamo noi non abbia nevicato e in quel recinto sì”.
  124. La prima scansione del Green Pass per entrare in biblioteca non si scorda mai.
  125. Spritz nel giardino della piscina. Dopo i colloqui con i professori di Ale, no other way.
  126. Michi dentro il tubo della risonanza magnetica. Ci sono, muso. Sono qui fuori. Senti la mia mano? Sono qui con te.
  127. La mostra all’Hangar Bicocca. L’artista espone muffe, batteri, delle lanterne fatte di alghe con dentro zanzare animatroniche, una busta fritta in tempura, una borsa di alta moda con dentro gel per capelli e stomaco di vacca.
  128. L’isola di Texel, Baarle-Nassau, le case cubo di Rotterdam, la casetta di Volendam, Anna Frank e Van Gogh.
  129. Non andare al raduno sardo.
  130. Esperimento gourmand: roast di verdure al forno con feta, origano e miele di castagno. Da rifare.
  131. Due papà, due ragazzini che diventano grandi, quattro bici e un weekend a Torino tra panini lunghissimi, scoiattoli e mummie egizie.
  132. Un buco in un muro di cinta. Curiosità bambina. Oltre il cemento, il rosso dei tulipani a brillare splendente di sole. Passa una macchina e mi lava di pozzanghera.
  133. Cercare delle scarpe numero 48 e una carbonara delicatissima.
  134. “Tom, hai preso troppo sole. Ti spelerai tutta la schiena”. “Davvero? Tutta? E mi si vedranno le ossa?”.
  135. Il giro del lago di Roncone, anni dopo. C’era una pancia. Ci sono tre figli.
  136. Super-Dino a lungo nel Qubo.
  137. Degli auguri di Natale: “Fateci caso”.
  138. Guardo Ale mentre racconta dei suoi giorni a Roma. È felice. È felice di una felicità rotonda e bella. Non basta questo?
  139. A Premaniga altalene tra cielo e montagna – leggerezza addosso, libertà sotto i piedi.
  140. La merenda a Capanna 2000. Ci sono nebbie e follie che sono bellissime.
  141. Imparare Torino. Lavorare per Torino. Farlo dalla mansarda con la luce bella.
  142. Tom finisce in pronto soccorso con un pezzo di lego incastrato nel naso. Sono abilità.
  143. Il podcast “Limoni” di Internazionale. Riprecipito in un’estate lontana.
  144. “Caro topolino dei denti, mi è caduto il mio primo dentino però non lo trovo più. Forse è nella mia pancia. Mi dispiace molto. Ti voglio bene”.
  145. Stellina glitter. “Solo tu riesci a fare una foto artistica della galleria del Gottardo”.
  146. “Lei è la mia anima gemella”.
  147. Perdersi a Stadolina. “Sei stato bravo, a uscire da quei budelli”. I complimenti dei montanari in territori ostili sono medaglie al valore.
  148. “Michi, stai fermo e muoviti”. Non è incoerenza.
  149. Una mattina dai carabinieri.
  150. La casa dello studente, anche detta casa della disperazione o della tortura.
  151. Venezia è stupenda sempre. Tranne l’ultimo, i nostri giorni veneziani non sono stati sereni neanche un po’.
  152. “Quando puoi, chiama il mio papà per il tuo ginocchio”. Santo R.
  153. “Mia mamma non sta bene. Ho paura e sono preoccupato. Non sapevo chi chiamare. Ho chiamato te”. Ci sono amicizie che vanno oltre gli anni e ogni lontananza.
  154. Coltiviamo quattro patate, una manciata di zucchine, tre cetrioli.
  155. Tagliata e vino rosso, king ed amicizia.
  156. Un gruppo whatsapp “Preado-taxi”.
  157. Il weekend in Liguria. La banana impegnativa di Rio Maggiore. La discesa da Campiglia a Portovenere. Punta Baffe e Punta Manara. La baia Sestri di Levante.
  158. Cattelan in Bicocca.
  159. Se l’alba brilla anche dal piazzale del metanaio deve proprio splendere di bellezza immensa ed abbacinante.
  160. Tre colleghi. Un bicchiere di rosso, uno di bianco, uno spritz. Una coperta rossa sulle gambe. Le luci di città alta appena prima del Natale.
  161. “Io da grande vorrei fare come il nonno. Avere due case. Ma non ne vorrei avere una a Milano e una a Solto Collina. Io vorrei averne una a Parigi e una a New York”.
  162. “Ho bisogno della tua creatività”. “Feeling cool in Milan” può andare? “Sapevo che ci avresti azzeccato”. Mi viene il nervoso. Perché non faccio soldi con le mie parole?
  163. La ciclabile Taggia-Sanremo, il paese delle streghe, Bussana Vecchia.
  164. Le pause pranzo alla Fumata bianca, le loro pizze sempre leggerissime.
  165. A Düsseldorf, per Tom e per Michi la prima notte in albergo.
  166. Vado a letto. Non ho niente da dirti. Non ho niente da aggiungere a quello che ci siamo detti.
  167. “Dare un occhio a Bibliowin stando sotto al piumone è l’ultima frontiera della sciatteria o il primo scalino del bibliotecario figo?”.
  168. Compilo l’ordine del pesce dai semafori rossi a Bergamo mentre vado al lavoro. Quando mi chiedono: “Ma come fai a fare tutto?”. Così.
  169. “Ci penso io”. Gli spinaci cuociono per oltre un’ora.
  170. Perché non brilliamo, dentro la nostra vita? Perché non abbiamo quegli occhi lì?
  171. L’ortopedico di Ome e la tecnica Lipogems. Anche no.
  172. “Raccontale della tua rabbia”. “Cosa le racconto?” “Perché sei arrabbiato, quanto, con chi”. “Questo è facile, mamma. Sono arrabbiato con tutti”.
  173. Abbracciare Tom che sa di terra, di foglie, di linfa.
  174. Gli scavi di Paestum. I templi e il tuffatore.
  175. “Mi pare di vivere con la carne esposta, ultimamente. E no, non è un bel vivere”.
  176. Sul Becco con anche Ale.
  177. Chiudo Pavia il 30 dicembre. “Se tornando da Pavia accosti un attimo a Bergamo, ti vedo volentieri”.
  178. Chiacchierando, Ale usa la parola “acuminato”. Lo amo.
  179. All’inizio di settembre birra, hamburger, amicizia e racconti dell’estate un sabato a pranzo nella bassa bergamasca.
  180. Noi bloccati in casa, Michi da solo all’Esselunga. “Ma è legale?” “È legale”. Torna con pane fresco e gelato alla crema.
  181. Il mio senso del dovere avrebbe bisogno di convivere con qualcuno che lo mandasse a fare in culo, una volta ogni tanto.
  182. La messa con i cresimandi nel teatro di Cologne. Da lontano uno sguardo durante lo scambio della pace. Basta? Basterà?
  183. I fogli di lucido che non si trovano, i venti euro in tasca. “Prendi il borsellino se no li perdi”. “Non mi serve. Non li perdo”. Infatti.
  184. La fisioterapia in paese e quella a Rovato.
  185. Ale a Roma con i preado. L’incontro con il Papa. I giorni in città.
  186. Un sabato mattina un terremoto con epicentro a Bonate Sotto.
  187. “Davvero non hai mai fatto la pulizia del viso?” “Davvero”. “Devi farla”. “Facciamola”.
  188. Sono qui. Funziono. Eppure no. Non sono qui. Sono altrove.
  189. Comunione di Michi. “Piangi di tristezza o di felicità, mamma?”. Neanche lo so. Per certo piango il mio lasciar andare i miei figli, la speranza di avere seminato abbastanza e abbastanza bene, il futuro che è solo loro, nelle loro mani.
  190. Entro nel bar. Sono senza mascherina. Dopo mesi per la prima volta rimetto piede in un bar a viso scoperto.
  191. Il pellegrinaggio laico nei luoghi del nonno. Il toast in riva al lago, quella coppa di goduria porcosa nella gelateria di Lovere.
  192. “Lo sapete che l’Italia ha vinto due ori? Due ori. Alle olimpiadi. In atletica. Ci pensate? In atletica”. Tornare a valle.
  193. “Sei una splendida donna legno”. Gratitudine infinita a chi mi dà le parole per dirmi, per capirmi, per accogliermi.
  194. “Se avessi accettato te ne saresti pentita ancora prima di cominciare”. Quando i colleghi mi conoscono molto bene.
  195. La vista da quell’ottavo piano sopra San Babila.
  196. “È la prima volta che salgo a San Defendente senza due denti”.
  197. Seridò dopo gli anni di Covid.
  198. “Grazie che mi hai insegnato i podcast. Aprono infiniti mondi”.
  199. Tre ore per arrivare a Pavia. Urgono alternative.
  200. “E se domani andassimo in Valle del Fumo?”. Invitare il nonno.
  201. Direttamente dalla trincea, formare una nuova catalogatrice.
  202. Un venerdì sera di ottobre a recuperare un amico che arriva a Orio. Poi birre al pub, parole, vite diverse ed amicizia.
  203. La bellezza di Ale e J. che rifanno insieme il fazzolettone: cugini di sangue e fratelli sulla strada.
  204. M. e la sua mamma sante subito.
  205. “Io vorrei una fetta di crostata con l’oliva, mamma”. “Sono acini di uva, Tom”.
  206. Rifacciamo il bagno? Rifacciamo il bagno. Sarà un’agonia [mai più lavori in muratura in casa, mai più], tu un’archistar.
  207. Girare la frittata con una padella senza manico non è cosa, si sappia.
  208. Provare ad andare a Pavia in treno. Funziona.
  209. Una foto a dei fiori rosa che incrocio sul marciapiede. È primavera. Finalmente è primavera.
  210. L’ultimo dell’anno arrabbiati e torvi. Neanche un bacio a mezzanotte. Buon 2022.
  211. Una Honda Hornett gialla. “Per mille euro è tua”. E se?
  212. Un funerale a Milano, l’associazione Cri-du-chat al Solive, quarant’anni abbondanti in Brianza. Sabati primaverili densissimi di vita.
  213. Sento disegnare vita sulla mia pelle.
  214. Le tredici vite e mezzo del capitano Orso Blu.
  215. La nostra pennica randagia, vagabonda e zingara in un parco giochi di Vezza d’Oglio. Sole sulla pelle, in bocca una caramella al limone.
  216. Hotel Ticino a Carbonara Ticino. La desolazione più totale. Il calorifero del bagno va a gas.
  217. L’Olanda e il lipocotto.
  218. Due spritz prima di mettersi in macchina su una strada di montagna: ci sono idee migliori.
  219. Per quante volte si può ricucire? Per quante volte è giusto ricucire? Per quante volte è concesso ricucire?
  220. Il mio primo manga. Potrebbe diventare un tunnel.
  221. Lo streching dei meridiani. Mi si apre un mondo.
  222. All’asilo la colazione per le mamme. Negli occhi mi porto delusione, in bocca parecchio amaro.
  223. Il tuo giro in macchina tra Crocedomini, Maniva e Baremone.
  224. “Che scarpe metto?” e “Dopo guardiamo la cartina”: tormentoni marittimi.
  225. Focaccia dal panettiere. “Alta & morbida o bassa & croccante?”. “Alta & morbida e bassa & croccante”.
  226. Da sola è troppo poco. In cinque è subito troppo.
  227. “Hanno invaso”. La Russia ha invaso l’Ucraina. C’è una guerra. A 2000 chilometri da noi.
  228. “Sono qui”. Appoggiato alla colonna in marmo bianco della biblioteca, casco in uno zainetto, giacca in pelle su una spalla. Perdersi in quell’abbraccio.
  229. “Michi stanotte ha vomitato tre volte. L’ultima ha vomitato anche il suo apparecchio. L’ho trovato dopo averci fatto pipì sopra e aver anche tirato l’acqua.” “Bene che hai tirato l’acqua. Così si è lavato.” L’amicizia tra mamme.
  230. Quelle ore in ufficio con me, il campetto delle Piccole Orme lungo il Brembo, un balletto di voglia e timidezza che so e ricordo benissimo.
  231. La passione di Tom per “Bella ciao”.
  232. I fori imperiali alle due del pomeriggio, il colpo di cannone sul Gianicolo, la cupola di San Pietro, le catacombe di San Callisto.
  233. Nella piscina del campeggio di Roma Tom sta a galla per la prima volta.
  234. “Ma questa cosa bianca si mangia? Davvero? Non è cotone?”. Tom e lo zucchero filato.
  235. Un pranzo “Al sole” in Piazza Vecchia. Un Lugana fresco e prospettive altre sui muri di sempre.
  236. Il Colosseo all’inizio della notte, la via Appia dentro il caldo del mezzogiorno.
  237. “Dolce maniera”, l’unico posto dove per andare in paradiso bisogna scendere.
  238. La festa per gli ottant’anni dello zio bil.
  239. Dopo anni, un sabato pomeriggio al castello di Brescia. Stessa foto nello stesso buco.
  240. Un video per un cinquantesimo di matrimonio. Tom è in mutande, ma lo copre il divano. Io non diventerò per certo una youtuber.
  241. Tom alla recita di Natale è bravo. Siamo bravi anche noi. Quest’anno abbiamo guardato il bambino giusto.
  242. Tornare a Premana dopo infiniti anni.
  243. Cosa mi piace fotografare: i riflessi, le geometrie, la bellezza a portata di vista di chiunque eppure non vista, i giochi tra luci e ombre, le scritte sui muri, lo squallore, ma reso bello, ed artistico. Poi certo, i paesaggi ampi; ma questo è facile.
  244. “Oggi all’asilo è venuto il sindaco per farci gli auguri di Natale. Ma non era il vero sindaco. Perché il vero sindaco si chiama Mattarella ed è un maschio”. C’è della confusione sulle cariche istituzionali.
  245. Creo un cluster. Mica è da tutti.
  246. Io alla fine tra noi vorrei solo della dolcezza.
  247. Mi mancheresti tu, il tuo accogliermi caldo anche quando io non sopporto niente, neanche me stessa, il tuo abbracciarmi forte per ricompormi in unità, il tuo rimettermi insieme, quando vado a pezzi mangiata dalla stanchezza e dalla vita.
  248. Il centrino di pizzo del dentista devastato da Tom con un paio di forbici. Ma come gli viene in mente?
  249. Watertrek. Figata.
  250. Entriamo nel negozio di piastrelle pensando di prendere una cosa pratica, robusta, economica, usciamo con delle piastrelle fichissime, trendy, color blu oltremare.
  251. Insieme alla zucca mi taglio due dita. “Un altro attentato?” “Meno riuscito di quello del 2004”. Mi concedo un giro in pronto soccorso.
  252. Parti da casa a piedi e in due giorni arrivi a Darfo. Acqua, passi, nuvole basse e notte nell’ostello di Zone.
  253. Quell’idea all’improvviso: “E se in Grecia ci andassimo in macchina?”
  254. Degli amici a cena nella nostra casetta veneziana.
  255. Un biglietto per Michi nella valigia per il Cavallino. Lascio parole, tracce, bene voluto.
  256. Tom, sangue del mio sangue: “Milano mi piace ma la mia città preferita è Roma”. Piccolo traditore.
  257. Il lavoro in Val Imagna. “Dopodomani in valle?” “Mi vuoi? Mi vogliono?” “Tutti ti vogliono”.
  258. “Cos’è quello?” “Torcello”. “Ha una chiesa grande”. “È un’abbazia”. “Puoi tenere in mano una carta in più”.
  259. Un gelato a Lovere con un amico che non vedo mai. Le cose vanno fatte quando si può. La vita va vissuta subito, sempre, a morsi.
  260. I Vetusta Morla e Finisterre.
  261. La mia mamma diceva: “Non bere acqua fredda quando mangi le ciliege. Fa venire il mal di pancia”. Una mattina all’alba a Rovato all’improvviso capisco.
  262. “Settimana prossima è l’ultima settimana che vengo”. Alcuni addii sono una benedizione.
  263. “Ti porto nel mio posto nel bosco. È qui che vengo a giocare quando esco da solo in bici”.
  264. Il cineforum di Provaglio 15 anni dopo. Peccato non decolli.
  265. La festa dei remigini di Tom. Dopo undici anni di feste dell’asilo, questa è davvero l’ultima.
  266. Mi scortico un dito della mano sinistra stringendo gli scarponi nuovi. Solo io.
  267. A spasso per Milano con amici marchigiani. La cripta della Fontana. “Davvero non ti avevo mai portato?” Due passi sui Navigli. Anni che non ci venivo.
  268. “Abbiamo questa cintura, non so se va bene con il vostro outfit”. “Secondo lei noi siamo gente che ha un’outfit?”.
  269. In panne appena fuori Pavia. Innafiatoio arancione ed eterne statali a passo d’uomo.
  270. A chi mi chiede come stiamo. “Tutti sani. Tutti isterici. Ah. Guido ha l’otite. Per differenziarsi”.
  271. In via Palermo, una macchinetta fa la pizza senza presenza umana. Merita una gita.
  272. “Crescere non è semplice. Diventare grandi non è semplice. Essere genitori non è semplice. Essere figlio non è semplice. Fare del nostro meglio non è semplice. Stiamo vicini. Stiamo insieme. Teniamoci per mano.”
  273. Educare ragazzi e farne uomini mi devasta. Mi pare di seminare nel deserto. Mi pare di raccogliere sabbia.
  274. Tom trova una bandana. “Guarda, papà, ho trovato una tovaglia da uno”.
  275. Di bullismo, di fiducia, di delusioni, di responsabilità, del diventare grandi.
  276. Una cena in terza corsia e moscerini spiaccicati come se piovesse. Moncalieri, arriviamo.
  277. Ciao, mamma di E. Ti ricorderò a Pombia – lamponi, gatti, giorni d’estate. E noi ragazzi, a diventare grandi sotto i cieli azzurri.
  278. Il Covid noi due e la vita dei ragazzi che va avanti. È un massacro. Ne usciamo a pezzi.
  279. Una cena a Ranica. Casoncelli, burro fuso e amicizia di mille vite fa.
  280. Un fiore giallo, il prato verde, il lago lontano. Alcune foto sono falsissime.
  281. La lampada nuova per il tavolo in giardino.
  282. Abbracci, chiacchiere, gelato e amicizia dentro l’Orio Center prima di un volo per la Sicilia. Fuori dalla vetrate un autunno a brillare d’oro in un mood nipponico.
  283. Tra Chiuduno e Chiari, far vaccinare i ragazzi.
  284. L’arancione dello spritz del Frik contro quell’azzurro pungente di cielo terso è un bel modo per chiudere l’anno.
  285. Tom: “Cos’è la moda?”.
  286. In Liguria con il vasetto di pesto comprato all’Esselunga. “Mitici. È come andare con l’hamburger da McDonald’s o con la birra all’Oktoberfest”.
  287. “Il mio mal di gola, santo Brufen e io tra poco usciremo di casa per venire in biblioteca per disquisire di Calmann, indecenti proposte milanesi, fare colazione al bar con anche una brioche. Incidentalmente catalogherò qualche libro. Ma pochi.”
  288. In città alta un sabato mattina d’inverno cielo azzurro tra perfezione geometrica di palazzi antichi. Cercare il cielo sempre.
  289. Fragole d’ottobre, foglie gialle d’autunno. Inediti accostamenti.
  290. La festa per i 90 anni del nonno tra Solto Collina e Montisola.
  291. “Ti invidio il piacere che hai di stare dentro la vita che hai costruito”.
  292. La pizza a Edolo da Pio e Johnny.
  293. Una dose di vaccino in mezzo ad una grigliata. Tre scatole di Baci Perugina per volontari, medici ed infermieri.
  294. Tu e D. a ricalcare passi.
  295. Badiucao a Brescia.
  296. Un panino nell’Orto botanico di Brera.
  297. Michi: “Tom è strano. Non mangia le patate al forno, ma mangia tutto quello che è fatto di patate, per esempio il purè, la maionese…”.
  298. Al Viandante di Provaglio con una nipote che diventa grande.
  299. Da Premana a casa con in braccio la bacinella bianca. La ruggine su una serranda dopo una rotonda nella periferia di Lecco. Buon primo gennaio.
  300. “Venuto al mondo solo per far letame”. Contumelie settecentesche.
  301. Ale e Michi una domenica a lavorare per il Mato Grosso.
  302. Pane ai cereali e mix di noci. Dentro questo pranzo in macchina alle quattro del pomeriggio trovo il nostro noi più puro, più bello, più integro, più splendente.
  303. Tu e Max in Polonia. Portate in Italia due donne con due bambini che scappano dalla guerra in Ucraina.
  304. La settimana prima della cresima di Michi. Non so come faccio, ma ne esco viva. Non era scontato.
  305. “No, non vi ho neanche salutato. Perché dovrei portare rispetto a chi non rispetta niente e nessuno?”.
  306. “Cosa hai pensato, M.?”. “Ho pensato che torno”. Evviva.
  307. Roma. Incanta sempre. Vorrei viverci almeno sei mesi.
  308. Mi si apre la borraccia nella borsa. Annego le chiavi della macchina.
  309. Uno spritz all’ex-mercato coperto di Piazzale Lagosta.
  310. I salti mortali per gestire i ragazzi, ora che non c’è più la nostra babysitter.
  311. Da quando sono diventata una che sfaretta in terza corsia?
  312. Arrampicata: Michi passa all’agonismo.
  313. Lasciare il bancomat sul cruscotto della macchina parcheggiata per tre giorni accanto ad una stazione? Fatto.
  314. Girare per Venezia con quattro astemi proprio non è cosa. Per fortuna esistono gli spritz d’asporto.
  315. Le installazioni nel parco della Fondazione Rossini a Briosco.
  316. Ale in gita una domenica mattina al parco delle conifere di Ome.
  317. Da Tezenis un dolcevita in lana termica. Passa il freddo che ho addosso, non quello che ho dentro.
  318. Tu e Ale sulla Punta Almana.
  319. “Quando sono passati i carabinieri ho avuto paura che mi dessero la multa”. “Perché la multa, Tom?” “Perché avevo le mani nere e perché non avevo obbedito al papà”
  320. In 23 minuti dal parcheggio dall’ufficio alla Don Gnocchi di Rovato. Pareva impossibile. Ce l’ho fatta.
  321. Per una notte, una camera delle ragazze in questa casa a predominanza maschile.
  322. Sul cartellone Algida: “Vinci mille zainetti”. Michi: “Cosa te ne fai di mille zainetti?”
  323. Due tappe di Valeriana con il gruppino. Un’inedita prospettiva su una valle che mi pareva di conoscere e invece non conoscevo per niente. L’hamburger della sera, la colazione del mattino.
  324. Tornare a Pavia, ancora una volta.
  325. Una sera d’estate in casa da sola. Pizza, birra, Internazionale. E niente. E nessuno.
  326. “Lenta e controllata” della fisioterapista is the new “Carini e coccolosi”.
  327. Il corso di classificazione su Meet. Fatto da Mozzo diverte di più.
  328. Mandano in vacca tutto. Fanno passare la voglia di fare qualsiasi cosa. Fanno passare la voglia di portarli in giro, condividere il bello, scoprire il mondo. Poi passa. Ma che fatica.
  329. Quando riusciremo ad uscire dalle dinamiche che ci rendono la peggiore versione di noi?
  330. Una scatoletta con dentro birre e salatini. “Si fotta il Covid. Che viva l’amicizia”. Consegna in bicicletta.
  331. Venti euro nella custodia del telefono, venti sotto l’aletta parasole del Qubo. Sono una garanzia.
  332. “Complimenti alla mamma e al papà che ancora si tengono per mano”. Sapessero le burrasche attraverso cui siamo passati. Sapessero la fatica di questi anni, anche solo di oggi.
  333. Un piatto di trippa sul sagrato della chiesa di Colombaro.
  334. “20 ore settimanali per 12 mesi di lavoro. Catalogazione del deposito legale. Vieni?”. Rifiuto. È quel periodo dell’anno in cui noi catalogatori freelance scommettiamo sul futuro senza avere nulla in mano.
  335. Tom corre fuori dall’asilo. Diventare grandi. Correre incontro alla vita.
  336. “Eppure le tue braccia sono l’unico posto dove vorrei essere adesso”.
  337. La grattachecca della Sora Maria, la pizza rossa nel quartiere Monti e la crostata di visciole che viene in metro con noi.
  338. Accoglienza di Tom in prima elementare. Riceve il quaderno che ha disegnato Michi. È un caso. È un caso bellissimo.
  339. A Rovato ruota a terra e batteria scarica. Tutto in 12 ore. Bella doppietta.
  340. Il concerto della Mannoia davanti al tempio di Paestum.
  341. Sono stanca. Sono stanca anche solo di parlare. Di sviscerare tutto ancora, e ancora, e ancora.
  342. Un cartello in un ristorante all’Isola: “Girl just wanna have carbs”.
  343. La Madonna del Corno. Il nuovo sentiero per scendere. Tom in panama bianco.
  344. “Ragazzi, se gli avvocati milanesi mi danno il lavoro, vi porto a Lovere e investiamo 40 euro in gelati”.
  345. Tornare a camminare sul monte dopo mesi in cui sono stata ferma per colpa del ginocchio.
  346. Dirà: “Quando non c’eri stavo così bene”. Dirò: “Quando non c’eri stavo così bene”.
  347. Uno spritz al bar della piscina. I ragazzi in vasca. “Tu a galleggiare in un bicchiere di felicità”,
  348. Un phon leopardato dentro un cassetto di un mobile in esposizione all’Ikea. Ogni volta che torniamo controlliamo che ci sia ancora.
  349. Una sera all’improvviso. Una casetta a Taggia per il weekend di carnevale.
  350. Mi scrivi una lettera. Di nuovo piango al lavoro. Non faccio altro ormai. Piangere. Lavorare. Dormire. Sopravvivere.
  351. “Io mi sento così impotente”. “Siamo impotenti. L’unica cosa ha possiamo e dobbiamo fare è continuare a fare il poco, consapevoli che è niente eppure tutto”.
  352. “Grazie Gesù che oggi sono andato a nuoto così per una settimana non ci penso più”.
  353. Una cena in cui imparo cose sulle adolescenze, sulle adolescenze femminili, sulle adolescenze femminili milanesi.
  354. La festa in giardino ad Erbusco per la cresima di Michi.
  355. Tornare a pilates. Mi era mancato immensamente.
  356. “Guarda, Tom. In questo mosaico ci sono Maria e Gesù Bambino. “Ma la Madonna e Gesù Bambino non erano a quadretti, vero?”.
  357. Ale discetta con apparente cognizione di causa dei tilacoidi. Io non so neanche cosa siano.
  358. Le asimine, anche dette banane di montagna.
  359. La prima volta di P. sulle Alpi. “Sono marmotte, quelle che senti fischiare”.
  360. “Te la senti di tornare da solo?” “Certo, perché no?”. A undici anni a piedi alle dieci di sera per il paese.
  361. “Vorrei abitare in un eremo”. “In un remo, mamma?”
  362. “Non fai mai niente. Stai sempre col culo appoggiato sul letto”. Le gioie della maternità con il Covid addosso.
  363. Il panorama incendiato di blu ed arancione nel riflesso sulla portiera del Qubo.
  364. I cannoncini di Gallizioli a Collebeato, la Valsugana, il lago di Levico, Artesella bianca di neve.
  365. “È questo che bisogna fare: suscitare un putiferio, cogliere tutti di sorpresa, incantare”. [Poesie da spiaggia, a cura di Jovanotti e Nicola Crocetti]

alla sera del sabato sono andata a letto che erano le due della domenica mattina.
no, non ho dormito.
non riuscivo.
non potevo.
ho ascoltato il cuore, pensato molto, anche pianto.
poi mi sono messa a leggere.
ancora una volta.
parole, su parole, su parole.
a cercare risposte che no, non sono arrivate.

ero già a letto da un po’.
è arrivato un whatsapp.
era un punto su una cartina, la condivisione della posizione della nostra macchina.
50°01’44.6″N – 22°36’51.4″E.
era un minuscolo sputo dentro un nulla del tutto ignoto.
un confine a scorrere poco lontano, al di qua nomi ignoti in polacco e caratteri latini, al di là nomi ignoti in ucraino e caratteri cirillici.
ho dovuto rimpicciolirla parecchio, la cartina, prima di trovare nomi a cui aggrapparmi.
cracovia.
lublino.
leopoli.
il resto non erano altre che molte consonanti e poche vocali gettate a caso sul verde dei campi.

per tutto il sabato ho pensato a guido e a suo fratello.
fino a vienna li ho seguito bene con la fantasia.
riuscivo a immaginare dove erano, su che strade viaggiavano, attraverso che paesaggi si lasciavano alle spalle chilometri e asfalto.
adesso no.
non li immagino più.
non ho riferimenti.
non ho punti fermi.
mi chiedo dove sono finiti.
in che paesaggio si sono mossi.
dove hanno parcheggiato la macchina per passarci la notte.

mi chiedo dove sono intanto arrivate le ragazze con i bambini.
come stanno affrontando queste ore, questa notte, questo viaggio.
quanto amore c’è, dentro quel loro abitacolo?
quanta vita c’è, a rendere palpitanti i loro cuori?

“siamo in un area di servizio in mezzo al nulla.
non c’è nessuno in giro, solo ogni tanto passa qualche macchina.
non c’è niente che faccia immaginare di essere a pochi chilometri da una tragedia umanitaria.
dormiamo mentre aspettiamo notizie”.

riesco ad immaginarmeli.
eppure no.

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quando dopo le quattro finalmente chiudo gli occhi, dormo per poche ore un sonno malsano ed inquieto.
quando mi sveglio trovo infiniti messaggi di guido.

ci trasferiamo alla frontiera indicata.
sui cartelli dell’autostrada ci sono scritte in polacco. a lettere luminose si legge “solidarietà all’ucraina”.
alla nostra destra le prime luci dell’alba si fanno strada soffuse attraverso il grigiore.
ogni tanto compaiono dei paesini minuscoli in mezzo al nulla.
ovunque si srotola una campagna ondulata a tratti coltivata, a tratti con boschi (pure coltivati)
viaggiamo su strade più o meno parallele al confine di stato con l’ucraina, a circa 20-30 chilometri di distanza dalla linea di demarcazione.
ai margini dei villaggi si scorgono prati piene di tombe. sono chiaramente cimiteri. non hanno nessun muro e nessun recinto a fargli da confine.
c’è poco traffico. eppure, se si fa mente locale sul posto in cui siamo, la percezione cambia. all’improvviso sembrano essere tantissime macchine. vista l’ora, sono ovviamente tutti nostri colleghi. le targhe sono quasi tutte polacche. ora ad esempio sono le 6.30 del mattino e davanti a noi c’è una colonna di vari furgoncini polacchi. sono quattro o cinque. sembra stiano per fare assistenza logistica.
alle ore 6:33 c’è luce piena. il cielo è grigio. il termometro della macchina segna -1 grado.
c’è molto vischio sugli alberi a bordo strada.
negli spazi aperti ti immagini gli avvenimenti storici passati. non sarebbe strano vedere spuntare uno squadrone di cavalleria cosacca o una truppa napoleonica.
stiamo per arrivare a sabaudia. si chiama così. perchè c’è un posto in polonia che si chiama sabaudia?
dopo sabaudia la campagna è appena appena più ondulata. siamo a 280 metri sul livello del mare.
alcune case sono fatte di legno. sono vecchie. altre sono fatte di prismi di cemento grezzo.
pare di essere dentro uno di quei libri tedeschi per bambini che parlano di fattorie, crauti, mucche e trattori.
dove siamo adesso non c’è più in giro anima viva.
sono scomparse le macchine, sono scomparsi i pulmini. in questa zona non ci sono valichi di frontiera. il prossimo è il nostro, ma è a 30 chilometri da qui.
in fondo ad un campo c’è una casa semidistrutta, sembrerebbe un triste lascito della seconda guerra mondiale.
i paesi sono molto ampi. anche se piccoli, le case hanno quasi tutte un giardino e un orto. accanto alla strada principale corre sempre una ciclabile separata. spazio ne hanno a volontà.
ci lasciamo alle spalle l’ultimo paese polacco.
si vedono pullman e centri di accoglienza.
siamo in coda per la frontiera. mancheranno un paio di chilometri.
adesso vediamo la dogana.
siamo fermi in coda dietro ad una macchina lettone.
cade qualche sparuto fiocco di neve. non crea alcun disagio.
a pochi metri dalla macchina c’è un punto di accoglienza.
chi ha qualcosa da lasciare per chi arriva, può farlo.
lasciamo delle bottiglie d’acqua e la scatola di peluches.
tra i peluches che lasciamo mi pare ci sia anche quello che avevano regalato ad ale in ospedale, in quella dura settimana di 11 anni fa.
c’è silenzio. c’è molto silenzio.
tutto viene vissuto sotto voce, tutto accade dentro un’atmosfera ovattata.
ci avviamo a piedi verso la dogana.
ci avviamo a piedi verso il punto di accoglienza.
c’è del cibo caldo, dei vestiti che si possono prendere, dei pannolini che si possono usare, una stufa.
ci sono anche degli sci. sci? sci. una cinquantina di sci da discesa. cosa ci fanno qui?
ogni tanto lasciano passare qualche sporadica macchina ucraina. una è così lercia che quasi non si capisce di che colore sia. cosa ne ha passate per arrivare qui? eppure è un macchinone enorme. una roba da sessantamila euro almeno.
ovunque c’è silenzio e compostezza.
qualcuno ha montato una cucina da campo su un carrello da auto. sul fuoco c’è una pentola. nella pentola della zuppa fumante. è una soluzione degna di g.
che pensieri ha chi guida le auto ucraine che arrivano qui? ci sono solo donne, bambini, un vecchio, un cane.
nella zona doganale si innalzano quattro tendoni per l’accoglienza.
diversi pulmini fanno la spola tra i tendoni ed un altrove.
immagino portino chi arriva presso un qualche centro d’accoglienza in una qualche città più grande di questo buco di posto.
passa un grosso blindato polacco. fa impressione.
passa anche un’ambulanza.
lontane, si sentono delle sirene.
nessuno porta la mascherina. gli spazi sono molto ampi e in effetti siamo all’aperto. eppure il covid sembra essere lontano mille ere geologiche.
c’è un bambino piccolo che piange lontano. è il primo che sentiamo da quando siamo qui.
c’è molta dignità in chi si lascia una vita intera alle spalle.
passa un furgone carico di sacchi a pelo, diretto verso la dogana. andrà in ucraina o si fermerà ai tendoni?
la dogana è in mezzo al nulla.
dall’ucraina ogni tanto escono auto con targa tedesca. sulla carrozzeria hanno una croce rossa o bianca fatta di scotch da pacco. immagino siano mezzi di soccorso internazionale improvvisati.
passa un bus.
il freddo si fa sentire.
passano dei furgoni. chissà cosa contengono. forse anche armi. da qualche parte devono pur passare.
i profughi che ci vengono incontro sono silenziosi, stralunati. eppure non ci sono scene di disperazione.
una signora ci chiede un passaggio per venezia. bologna o ravenna. dove si riesce.
un volontario ci allunga un piatto di minestra.
facciamo colazione con la zuppa calda.
è densa, ricca e buonissima.

ha dentro patate, fagioli, ceci e pezzetti di carne.
il volontario ha addosso un sorriso sereno.

==========

per parte della tarda serata e per tutta la mattina, si sono susseguiti messaggi da una parte all’altra del confine.

“siamo fermi in un posto strategico. vi aspettiamo”.
“qui le strade sono ancora molto brutte”.
“non sappiamo ancora da che punto usciremo”
“appena lo capite, fatecelo sapere che vi raggiungiamo”.
“riposerò quando abbraccerò i miei piccolini”.
“fanno passare solo a piedi. noi non possiamo passare”.
“saremo alla frontiera tra circa 50 minuti”.
“guarda, una talpa”.
“cerchiamo acqua su marte e abbiamo il mondo che va a rotoli”.
“abbiamo attraversato italia, austria, repubblica ceca, polonia, ma questa è il primo posto di polizia doganale che vediamo. vi rendete conto che siamo i primi a godere di questo privilegio dopo la caduta dell’impero romano?”.
“ancora 24 minuti”.
“siamo pronti. vi aspettiamo”.
“non esiste prezzo per gesto simile”.
“è vero. si fa e basta”.
“hanno la carta verde per il triciclo?” [per un unico istante è serpeggiato del panico vero, ma quei fratelli sono così, con quell’umorismo lì, così loro, così sempre].
“le mamme hanno la stessa età dei nostri figli”. “dubito abbiano la stessa età dei miei”.
“ci sono tende dell’accoglienza in territorio polacco. paiono essere gestite a livello statale”
“probabilmente finisce lì chi non ha nessuno fuori che lo aspetti”.
“c’è molta gente attorno a quei tendoni. è l’ultimo passo prima dell’ultima sbarra”.
“no, no, quella che pare essere la bandiera ungherese vuole essere il nostro tricolore”.
“se quella a cui è attaccata la bulgara bandiera italiana è una paletta schiacciamosche? certo. schiaccia-mosca. è profetico, no?”.
“il freddo mi è entrato nelle ossa. forse è emozione”.
“un ragazzo offre cioccolata e forse una coperta a chi arriva”.
“we are here”. “we are in the same place”. “ah, ma l’avevi scritto tu il messaggio, fratello g.? per quello che eravamo nello stesso posto”.
“eccole”.

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eccole.
eccole.

gira una foto, di quel momento in cui si sono visti.
c’è un cielo plumbeo.
la tettoia di una struttura di confine.
la scritta: przejscie graniczne dolhobyczow.
due cartelli stradali: limite di velocità 10 km/h.
una riga di mezzaria tratteggiata, uno spartitraffico in vernice bianca.
un furgoncino della polizia.
un uomo con una giacca a vento rossa imbottita che si avvicina al posto di guardia.
tre persone che parlano insieme, una ha su un giubbotto catarifrangente giallo.
due semafori rossi.
due sbarre abbassate.

e poi.
poi ci sono loro.
poi c’è i.
poi c’è p.
poi ci sono i loro bambini su di un triciclo ciascuno.
le mamme li spingono con una mano sola.
hanno tutti un capello sulla testa.
le ragazze hanno delle borse addosso, alcune anche nella mano libera.

eccole.
eccole.

sono qui.
sono fuori.
sono fuori dalla guerra.
sono dentro una nuova vita.
sono dentro un mondo libero.
[che possiate al più presto tornare nella vostra terra].

addosso hanno un sorriso che è una risata, addirittura.
e è un sorriso così largo che pare quasi stonato.
eppure è bellissimo.
eppure è vero.
infinitamente, meravigliosamente vero.
lo legge giusto m., che era lì ad accoglierlo, quel sorriso.
ed era lì ad accogliere la vita, il dolore, la speranza e la gratitudine che quel sorriso si porta addosso.
lo legge giusto lui.
scriverà: “quando il sorriso sulla bocca è più forte della guerra da cui si scappa”.

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poi.

poi ci sono state i bagagli caricati, anche i tricicli.
poi c’è stato un primo pezzo di strada fatto.
poi c’è stata una prima sosta, un pezzettino di formaggio e una fetta di pane.
poi ci sono state le pause carburante calcolate al millimetro, per farne il meno possibile e così disturbare il meno possibile i bambini che sono stati i veri eroi di questo viaggio attraverso mezza europa.
poi c’era la fretta di tutti di allontanarsi, di andare via, di arrivare in un posto che fosse di nuovo in qualche modo casa.
poi c’è stata la coda attorno a cracovia – macchine dei gitanti della domenica che si mischiavano a quelle piene di fuggitivi.
poi c’è stata la battuta sulla repubblica ceca: “anche al ritorno, come all’andata, arriveremo nella repubblica ceca al buio. ora capisco perché si chiama così.”
poi c’è stata una foto in cui i. sorrideva. e il suo bambino anche. e quei sorrisi lenivano i cuori.
poi c’è stata una frase molto, molto saggia: “la felicità di un momento non cancella il dolore, ma aiuta ad affrontarlo. il dolore di un momento non cancella la felicità, ma aiuta ad apprezzarla”.
poi c’è stata una frase che nessuna madre vorrebbe mai dover scrivere, eppure anche sì: “abbraccio forte tutti voi da miei figli v. e i., e infinite gratitudine, loro tornano in ucraina per combattere per futuro di suoi figli, per nostra ucraina, per tutto mondo!!!”
poi c’è stata un’altra frase che ha fatto ridere: “abbiamo fatto una sosta di una mezz’ora circa dopo vienna per cambiare i bambini (per chiarezza, nel senso del pannolino, non del lasciar giù questi e prenderne altri)”.
poi c’è stata una frase che ognuno di noi spera in fondo al proprio cuore: “quanto più bello sarà il giorno, speriamo prossimo, in cui potremo vederli tornare nelle loro case!”
poi c’è stata la frase: “chi salva una vita salva un mondo intero”.
poi a fargli da controcanto c’è stato: “l’avrebbe fatto chiunque”.
poi c’è stato: “è stato un piacere e un onore, ma ora è anche una responsabilità. non possiamo più dire di non sapere”.

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alle undici porto i ragazzi a messa.
fosse per me, non ci andrei.
usciamo di casa tardi.
entriamo che la messa è già iniziata da qualche minuto.
ci muoviamo silenziosi.
cerchiamo di disturbare il meno possibile.
lì davanti c’è una panca vuota.
ci infiliamo nel banco.
parte la chitarra.

signore, signore pietà.
cristo, cristo pietà.

lacrime.
lacrime.
lacrime.
un dolore che mi mangia il cuore.
un dolore che mi mangia l’anima.

signore, signore pietà.
cristo, cristo pietà.

pietà per le bombe.
pietà per i corpi dilaniati.
pietà per le città sventrate.
pietà per le famiglie distrutte.
pietà per i bambini morti.
pietà per gli ospedali lasciati senza corrente.
pietà per i ragazzi costretti a fare la guerra.
pietà per i morti per strada.
pietà per i lenzuoli fradici di sangue.
pietà per i vecchi che non hanno scelta.
pietà per le sirene che suonano in continuazione.
pietà per il fuoco che non purifica ma devasta.
pietà per le donne che imbracciano armi invece di cullare figli.
pietà per gli uomini che sparano colpi invece di baciare labbra.
pietà per le ferite inferte ai corpi e alle anime.
pietà per i cuori fatti a pezzi.
pietà per l’orrore che diventa aria e riempie ogni ovunque.
pietà per il non aver capito.
pietà per il non aver visto.
pietà per il non aver voluto vedere.

pietà per la nostra disumanità.
pietà per la nostra umanità.

signore, signore pietà.
cristo, cristo pietà.

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salgono in macchina le ragazze ed i bambini.
salgono in macchina anche i due autisti.
chiave nel blocchetto dell’accensione.

“it will be a long journey”.
“yes, but it’s safe”.

è un viaggio lungo.
una volta arrivate a casa di v. – un letto e delle braccia piene di amore ad aspettarle con trepidante attesa – le ragazze e i bambini [due anni emezzo, ricordiamocelo] avranno avuto addosso 46 ore filate di macchina.
i due fratelli che si sono dati il cambio al volante solo 41, di cui 32 passate guidando.

è un viaggio lungo.
è un viaggio che segna un prima e un dopo.
per loro.
per noi.
per molti.

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piango.
ancora.
anche oggi.

piango per tutto.
piango per ogni niente.
piango ovunque.
piango in macchina.
sul divano.
camminando.
piango pensando.
immaginando.
maledicendo.
piango guardando il telefono.
i miei figli.
la nostra vita agiata [e anche solo un letto su cui riposare e una coperta calda da tirarsi addosso sulle spalle quando viene la notte oggi sono “una vita agiata”].

piango un pianto che viene da un cuore lacerato, graffiato, ferito, mutilato, fatto a pezzi.

piango un pianto che non piangevo così da anni.
piango un pianto che non piangevo così dal 2018.

quando b. mi allunga una cipolla dicendomi: “tagliata tu. tanto in questi giorni sei abituata a piangere” finalmente sorrido.

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sono in macchina.
ho portato michi a p.
va con i suoi compagni di arrampicata in una nuova palestra a provare nuove vie.
torno a casa.
autoradio.
chiavetta.
musica random.

zucchero, overdose d’amore.

c’è bisogno d’amore, sai zio
da tutto quanto il mondo

c’è bisogno d’amore, sai zio
in tutto quanto il mondo
.

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una donna saggia che stimo moltissimo mi scrive questo:

la storia non ci evita, ci passa vicino, si ripete, ci divora.
l’uomo ha il male dentro di sé.
imparare a governarlo è quello che proviamo a insegnare ai nostri figli.

un’altra mi cita Levinas, filosofo di origine ebraica.

“il male della sofferenza è l’inassumibile, il non integrabile nell’unità di un ordine o di un senso”.
mi ricorda anche che “Il male scandalizza. Gesù figlio di Dio sulla croce pure”.

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f. – ci lega a noi due un bene lungo e largo 40 anni – mi manda una poesia.
lei è convinta di avermela già mandata.
io non l’ho mai letta.
si chiama “bambina mia” e l’ha scritta mariangela gualtieri
dice:

bambina mia,
per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
tutto il regno per te.
e invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
ira nelle periferie della specie.
e al centro, ira.
ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. lo fa perchè è facile farlo.
noi siamo solo confusi, credi.
ma sentiamo. sentiamo ancora.
sentiamo ancora. siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
ancora proviamo pietà.
tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
c’è splendore in ogni cosa. io l’ho visto.
io ora lo vedo di piu’.
c’è splendore. non avere paura.
ciao faccia bella,
gioia piu’ grande.
l’amore è il tuo destino.
sempre. nient’altro.
nient’altro. nient’altro.

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vado a dormire.
non dormo niente.
guido entra in casa alle 5.00.
addosso ha molta, moltissima vita.
attorno agli occhi, cerchi di stanchezza.
nel cuore infinita gratitudine.
racconta.
poi crolla.

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io sono sveglia.
per il giorno della memoria avevo preso in biblioteca un libro per ale.
l’ha scritto r. j. palacio, quella che ha scritto wonder & co.
questo è un fumetto.
si chiama “mai più”.
lo trovo in giro stamattina alle sei.
lo leggo.

inizia così, con una citazione da muriel rukeyser, quarta elegia: i rifugiati.

“sono bambini. hanno i loro giochi.
[…]
abbandonano i loro giochi e vanno.”

nel testo ci sono queste due frasi.

“perchè ci odiano?
perchè non vedono la nostra luce.
però non possiamo estinguerla.
finchè brillerà, avremo vinto.
per questo ci odiano.
perchè non riusciranno mai ad estinguere la nostra luce.”

e anche

“non ho mai scordato la loro gentilezza.
puoi scordare molte cose, in vita tua, ma la gentilezza mai.
come l’amore, resta con te per sempre”.

in gennaio avevo preso il libro perché ale potesse conoscere il passato e fare memoria.
in marzo diventa un libro che spiega l’oggi, il nostro mondo, l’umanità tutta – quella delle tenebre, quella della luce.

non avrei mai pensato.

========

quando sveglio i ragazzi dico loro che il papà è tornato.
dice tom: ha salvato l’ucraina?
no, muso, no.
non ha salvato l’ucraina.
chissà chi la salverà, l’ucraina.
chissà se si salverà, l’ucraina.
chissà se si salverà questo nostro mondo.
chissà se si salverà questa nostra umanità.

secondo il corriere della sera, venerdì sono uscite dall’ucraina 100.000 persone.
sabato ne sono uscite 129.000.
in undici giorni un milione e mezzo.
loro ne avevano quattro in macchina.
quattro persone in macchina non sono niente.
quattro persone in macchina sono solo due donne e due bambini.
eppure, per chi vuole loro bene, per chi le porta appoggiate al cuore, sono tutto.
sono due donne e due bambini, sono un tutto che adesso è al sicuro.

non è niente.
è qualcosa.
incredibile come la stessa cosa possa essere tutto e il contrario di tutto.

“cavolo se è qualcosa, è più di qualcosa. è aver dato a quattro persone la certezza di sopravvivere”.
“una goccia di rosa in un mare di nero! sembra niente ma invece è tanta, tantissima roba!

non lo so.
non sono sicura.
davanti a questo immenso orrore questo poco mi pare nulla.

“domandalo un po’ ai diretti interessati, se è tanto o nulla. adotterò senza esitazioni la risposta che loro ti offriranno”.

===================

tra le dieci e le undici stamattina crollo sul divano.
dormo un’ora.
in quell’ora mi sono svegliata tre volte.
poi mi sono alzata.

sono salita.

ho guardato guido dormire.
è qui.

ma il resto del mondo?
i. e p., quando si svegliano e pensano ai loro uomini laggiù?
i. e p., quando potranno riposare davvero?
gli ucraini, quando potranno riposare davvero?
i ragazzini russi mandati al fronte come carne da macello, quando potranno riposare davvero?
questa nostra umanità, quando potrà riposare davvero?
le nostre coscienza, quando potranno riposare davvero?

quando, d.?
quando?

================

avevo fatto delle domande, in fondo al mio scritto.
cercavo consolazione.
l’avevo detto a chiare lettere.

dimmi che almeno tu hai speranza.
dimmi che posso stare tranquilla.
dimmi che finirà.
dimmi che è un brutto sogno.
dimmi che ci sveglieremo.
dimmi che vincerà la vita.
dimmi che vincerà l’amore.
dimmi che vincerà la pace.

l’ho trovata, la consolazione.
l’ho trovata dentro le parole dette e anche nei silenzi di chi davanti a questo baratro non sapeva dire più niente.
ne ho trovate molta.
ve ne sono grata.
immensamente.

e però.
e però quando poi ho letto questa risposta ho capito che non era consolazione quella che cercavo.
cercavo altro, più o meno consapevole.
l’altro – l’altro di cui avevo una disperata sete senza neanche saperlo – era questa risposta.

la guerra non è altro che sangue, e merda.
bisogna farci i conti, capire il sangue e la merda, e, dopo, rifarceli. per molto, molto tempo.

ho pensato che no.
che per certo si era sbagliato a scrivere.
che non si può capire – capire, gente, capire. non accogliere, non accettare, non sopportare. capire – sangue e merda.
che forse chi aveva scritto voleva dire capire la storia, la politica, la mente umana e mandare giù sangue e merda.

ma poi ho pensato a chi ha scritto queste righe.
e chi ha scritto queste righe è uno che le parole le usa bene e anche benissimo.
no.
non si era sbagliato.
se aveva scritto “bisogna capire sangue e merda” voleva dire che bisogna “capire sangue e merda”.
da lì non si scappa.
non ci sono altre interpretazioni possibili.

chi ha scritto quella risposta è uno così.
uno che in mezzo a tutto il cuore e la vita e la poesia che dona poi ti piazza lì quelle tre parole che SBAM.
calcio nei denti, pugno in faccia, cazzotto in bocca.
è uno che con quel calcio, quel pugno, quel cazzotto e quel cuore costringere ad andare in un altrove che non sapevi neanche esistesse.
forza a stare in posti scomodi e anche scomodissimi in cui non ti ci saresti messo mai e poi mai.
obbliga a mettere le mani nel fango e nella miseria, anche quella che abita dentro di te e che è così comodo non sapere, non volere, non vedere.

e però.
e però quando ti riprendi, quando smetti di essere tramortito, quando torni a respirare, quando sputi fuori dalla bocca l’ultimo bolo di fango marcio rimasticato per l’ennesima volta, allora poi.
in quel poi tu sei per sempre diverso.
in qualche modo – in qualche modo, crudele e diamantino – anche migliore.

===============

all’una tom aveva appuntamento dalla logopedista.
l’abbiamo accompagnato insieme guido ed io.
tra la macchina e l’ospedale, gli abbiamo tenuto le mani, il suo papà una, io l’altra.
all’improvviso quel gesto era un privilegio.

è entrato nello studio medico, tom.
è entrato da solo, come sempre.
siamo scesi.
proprio davanti all’ingresso si stende il lago.
ci siamo seduti su una panchina.
c’era il sole.
l’acqua era calma.
abbiamo mangiato degli arancini freddi che avevano fatto brescia-polonia-brescia [lo sanno tutti che agli arancini fa sempre bene cambiare aria ogni tanto].
abbiamo bevuto dell’acqua.
siamo stati lì.
abbiamo provato a calmare il cuore.
mi sono ricordata delle parole di m.
“vedi, alla fine ancora si sta qui in piedi, e si cammina, sempre, alla fine è quello che va fatto, e lo si fa col sorriso. sennò non ha senso nemmeno muovere un passo”.
ho provato a sorridere.
avevo il sole negli occhi.
ci sono riuscita.
mi è venuta in mente quella splendida frase di nomadland.

“smiling tears away”.

quando siamo tornati a casa abbiamo preparato una scatola di lego duplo.
un mese fa avevamo detto a tom: “lo mettiamo via, tom. sei grande, ormai, per giocare a duplo”.
aveva detto: “no, non voglio. è mio”.
oggi ha detto: “certo che glielo possiamo dare, il lego, ai due bambini nuovi. glielo possiamo anche regalare tutto”.

forse alla fine il barlume di speranza sta tutto qua.



ps.: stasera dopo fisioterapia ho fatto un salto dalla badante v.
avevo nel baule della macchina il lego da darle.
quando l’ho vista l’ho abbracciata.
l’ho stretta forte.
mi sono aggrappata a lei.
le ho pianto nel collo della lacrime che erano felicità, sollievo, gratitudine, speranza, un resto di tristezza.

quando ho sollevato lo sguardo ho visto i. e p.
erano alle sue spalle.
sono giovanissime.
sembrano due ragazzine.
sono due mamme, splendono di dolcezza e di forza.

mi è venuto incontro uno dei bambini.
pareva caricato a molla.
non faceva altro che ridere.
ha sparato fuori una raffica di “ciao”.
mi hanno detto: non sa dire una parola, ma “ciao” l’ha imparato subito.

quando sono tornata in macchina ho fatto un respiro profondo, mi sono asciugata l’ennesima lacrima e ho sorriso.

Pubblicato da: cri | 6 marzo 2022

di treni, di confini, di gocce, di domande

scrivo.
scrivo perché è l’unica cosa che so fare.
scrivo perché non so fare altro.
scrivo perché non posso fare altro.
scrivo perché è l’unica attività che mi fa stare bene in questo momento.
scrivo perché mi serve.
scrivo perché me lo impongo.
scrivo perché ho bisogno di fare ordine dentro il cuore ed i pensieri.
scrivo perché resti traccia.
scrivo perché partendo da qui, da questi appunti sparsi, si possa fare memoria, in un poi.

scrivo su ogni superficie possibile.
il cuore.
gli occhi.
un blocchetto di carta.
un keep del telefono.
un txt sul pc.
il file word sempre aperto.
ogni tanto rubo attimi alla vita, mi siedo e prendo appunti.

scrivo e credo condividerò.
credo che serve che si sappia.
che si sappia che no, non c’è solo il male.
no, non c’è solo follia.
no, non c’è solo la perdita di ogni umanità.
non c’è solo buio.
non c’è solo notte.
non c’è solo gelo.

scrivo.
voi, se volete, leggete.
sarà lunga.
saranno parole rovesciate.
saranno così, vomitate fuori, appuntate al volo, scritte di getto.
saranno senza costrutto, senza fili logici, senza maestria, senza arte.

sarò io.
sarà il mio cuore.
sarò nuda.

non è certo la prima volta.

=================

questa ha una storia che ha molti incipit.
il primo è un incipit lontanissimo.
è un incipit lontano quindici anni fa, ormai.
era un martedì.
era giugno.
era il 2006.
ero su un treno che da torino andava a milano.
c’era un caldo fottuto.
ai piedi avevo delle improbabili flip flop piene di perline comprate da una bancarella sull’angolo di un mercato.

scrivevo questo:


sono con d.
nel nostro scompartimento entrano due uomini.
hanno circa sessant’anni.
hanno la barba lunga e uno zaino sulle spalle.
da uno dei lacci pende una conchiglia di santiago.
si siedono.
li raggiungiamo.
per certo sono pellegrini.
siamo stati pellegrini anche noi.
non vogliamo certo lasciarceli scappare.
iniziamo a parlare.
uno è di milano.
sembra cipputi.
ha un cappello sulla testa, la montatura degli occhiali rossa, dei calzini a righe colorate, i pantaloni da lavoro blu officina.
l’altro viene da modena.
ha un portamento serio, dei pantaloni tecnici, dei sandali ai piedi e uno sguardo che brilla.
stanno tornando dalla francigena.

perché hai deciso di partire, la prima volta”.​

“ero appena tornato da auschwitz. quell’orrore mi era rimasto appiccicato addosso. avevo bisogno di ritrovare fiducia nell’uomo. ho percorso quell’antica via per ritrovarla, la fiducia nell’umanità. alla fine l’ho ritrovata”.​

io alle sette del mattino di giovedì scorso – mio marito guido che entra in cucina e mi dice: “hanno invaso. i russi sono entrati in ucraina” – ho pensato:

non è servito a niente andare ad auschwitz.
non è servito a niente camminare quel cammino.
non è servito a niente cercare di nuovo la fiducia nell’uomo.
non è servito a niente ritrovare di nuovo la fiducia nel genere umano.

niente.
niente serve a niente.

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il secondo incipit è questo.

mio marito guido ha due fratelli e una sorella.
uno dei fratelli si chiama m.
m. ha una suocera.
si chiama nonna f.
nonna f. ha una badante.
la badante si chiama v.
v. viene dall’ucraina.
la badante v. ha due figli, due nuore, due nipotini maschi di due anni e mezzo.
una delle due nuore di v. ha sorella.
questa sorella non ha figli.

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il terzo incipit è questo.

ieri mattina sono tornata a lavorare a pavia.
ci sono tornata dopo due mesi di pausa.
tornare a lavorare a pavia è come tornare a casa, infilarsi delle ciabatte logore e accasciarsi sul divano.
la casa, le ciabatte e il divano hanno già la tua forma.
la sensazione di benessere e felicità è totale.

============

questi sono gli incipit.
adesso inizia la storia.

ieri sera – i polpastrelli veloci sulla tastiera, che ci sono delle volte che le parole scappano più veloci delle mani – ho scritto questo:

doveva essere una giornata in cui essere felice per il ritorno a pavia.​
i sorrisi ampi.​
la bellezza del rivedersi.​
la gioia con cui mi hanno accolto.​
le chiacchiere a raccontarsi il lasso di tempo passato.​

e invece.

==============

e invece ieri pomeriggio a pavia sono le 15.21.
sono seduta alla mia scrivania.
nell’ampio stanzone entra quella luce dorata lì.
sono alle prese con un lavoro certosino su ventiquattro volumi di un dizionario enciclopedico della francia del settecento.
vedo arrivare sullo schermo del pc un messaggio whatsapp.

“mio fratrello m. mi propone di andare con lui in Polonia a prendere la famiglia di v.; partenza domani”.
“vai”.
“vado”.

non c’è stato bisogno di chiedere niente.
non c’è stato bisogno di pensare niente.
non c’è stato bisogno di respirare niente.
vai.
che altro vuoi dire, quando la vita chiama?
che altro vuoi fare, se non rispondere?

e no.
non è eroismo.
è essere per caso e per ventura nel posto giusto al momento giusto.
qui per esempio la ventura è che noi abbiamo una macchina a otto posti.
e se devi potare via tre donne e due bambini una macchina che ha solo cinque posti non basta.
quindi questo.
la dimensione della macchina.
non l’eroismo.

qualcuno mi ha scritto: “in questi casi mi sento più inutile del solito, incapace di fare qualsiasi cosa”.
invece no.
io di una cosa sono certa.
ognuno di noi – ognuno di noi – nella stessa posizione avrebbe fatto la stessa cosa.
ognuno di noi avrebbe detto “vai”.
ognuno di noi avrebbe detto “vado”.
ognuno di noi sarebbe andato.
ognuno di noi avrebbe lasciato andare.

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avanza il pomeriggio.

messaggi.
telefonate.
messaggi.
telefonate.
nostro figlio tom dimenticato alla scuola materna [chi aveva la testa per ricordarsi che proprio oggi la babysitter aveva detto che non ci sarebbe stata?]
telefonate.
messaggi.
è una macchina.
è un’organizzazione.
si è messa in modo.

in tutto questo in qualche modo serve anche finire questa giornata lavorativa.
uscire da questi ventiquattro volumi stesi sulla mia scrivania.
ne esco.
in qualche modo ne esco.
ho la testa e il cuore per aria, sono stordita, altrove, tramortita.
non mi concentro niente.
non penso niente.
penso tanto.
penso tutto.
immagino tutto.

immagino queste due donne.
con che cuore li salutano, i loro uomini?
con che cuore si salutano un uomo e una donna che si amano e che si separano, dio non voglia che sia per sempre?
che occhi hai, quando baci ancora una volta l’uomo che ami – labbra sulle labbra, occhi negli occhi, lacrime a mischiarsi alle lacrime, sale a condire ogni istante – e tu vai per salvare la vita che insieme avete messo al mondo e lui sta, in una città in macerie, presenti o prossime?
cosa ti si appoggia sulla pelle, a pensarlo lì – i cartelli crivellati, le finestre a brandelli, i muri squarciati, il fumo nel cielo, le sirene nelle orecchie, il pericolo addosso, le macerie ovunque, i rottami che diventano paesaggio urbano – a tirare molotov fatte in casa addosso a chi ha la mano appoggiata sul pulsante della guerra nucleare?
davide contro golia – e davide e golia non erano niente, a confronto.


come fai ad andartene?
come fai a lasciare?
come fai a decidere?
come fai a pesare i piatti della bilancia?
cosa ti porti via?
come fai ad abbandonare tutto?
i libri, i diari, le foto, i ricordi.
la tua vita., il tuo amore, la tua casa, il tuo mondo, il tuo paese.
come fai?
forse ti stringi addosso ai tuoi figli.
forse loro sono l’unico salvagente possibile.
e però insieme mi chiedo che mondo è quello che condanna i figli a morire sotto le bombe, a soffrire dolori che neanche si possono dire, a essere salvagente essendo solo bambino.

penso che quando arriverò a casa dovremo spiegare ai nostri tre ragazzi cosa sta succedendo.
e no.
non l’avrei mai immaginato.
non avrei mai immaginato di dover spiegare ai miei figli che sì, il papà parte.
va in polonia.
quando?
forse stanotte.
forse domani mattina.
forse domani pomeriggio.
va a prendere tre donne e due bambini che hanno questa via di fuga.
va a prenderli perché se no rischiano di rimanere lì, miseri tra i miseri.
va a prenderli perché se no rischiano di restare lì, a farsi uccidere dalle bombe.
va a prenderli perché serve fare qualcosa.
serve metterci il corpo e la faccia, le mani sul volante e il culo sul sedile, la pelle tesa ed il cuore aperto.


soprattutto questo.
serve metterci il cuore aperto.
ognuno per come può.
ognuno per come sa.
serve aprire il cuore.
serve che più gente possibile apra il cuore.
serve che tutti si apra il cuore.

penso che noi esseri umani facciamo ridere, dentro la nostra incoerenza.
eppure siamo splendidi, nei nostri slanci fragili e preziosi.
un mese fa sono venuti a cena degli amici di sempre.
un attimo prima che entrassero, sulla porta di casa c’è stato un attimo di imbarazzo.
ci abbracciamo o non ci abbracciamo?
poi sì, chiaro che ci siamo abbracciati.
vi pare che io possa fare a meno di un abbraccio?

eppure neanche un mese fa e per più di due anni questo era il mood.
si evitino i contatti.
ci si stia alla larga.
meglio da soli.
solo in pochi.
solo tra conosciuti.

e oggi.
oggi si parte per caricare in macchina – respirarsi addosso dentro un abitacolo vita, lacrime, alito, dolore, speranza – cinque persone di cui non sai niente.


per fortuna che non siamo tutti di un pezzo.
per fortuna che non siamo coerenti.
per fortuna che si cambia.
per fortuna che si resta umani.

=========

è il pomeriggio di  venerdì 4 marzo 2022.
nella testa ho questi pensieri e mille altri.
intanto faccio cose.
faccio cose di sempre.
faccio cose di niente.
faccio cose della quotidianità che è mia e di chiunque.

in biblioteca, uscendo, chiacchiero del più e del meno con i commessi all’ingresso.
guido verso casa.
faccio metano.
ascolto il benzinaio lamentarsi per i prezzi del gasolio.
faccio un salto al centro commerciale.
era lì pronto da un mese, oggi recupero il cinturino dell’orologio di mi figlio ale che si era rotto a fine dicembre.
mi meraviglio che il centro commerciale resti aperto fino alle 22.00.
chi ci va a quell’ora?
in assoluto, con questa tragedia addosso, chi va a fare a fare shopping?

entro in casa.
passano quelli del gruppo d’acquisto a recuperare le loro cassette di verdure, voci di spicciole solite vite oltre la finestra della cucina.
mi appoggio al bancone in legno per almeno leggere i titoli del corriere della sera.
ci sono i ragazzi da portare ad arrampicata, la cena da preparare, le verdure da mettere via in frigorifero.
tra una carota ed un porro si parla di corridoi umanitari, possibili passaporti svizzeri, punti di raccolta dei profughi, frontiere da attraversare, chilometri in un altrove.

apro il cassetto della cucina.
tiro fuori la mia fede.
l’infermiere del pronto soccorso me l’aveva fatta togliere mercoledì sera.
“sempre, quando ti fai male ad un dito. togliere gli anelli è la prima cosa da fare”.
non l’avevo più rimessa.
siamo lì in piedi in cucina.
la passo a guido.
lui ha le mani gelate.
io ho il cuore consapevole.
ancora.
avanti.
“camminiamo insieme mano nella mano”.
questo c’è scritto nei nostro anelli.
questo ci diciamo ancora una volta.
questo ci diciamo ancora oggi, senza dirci neanche niente.

per una volta stavolta in prima linea c’è lui.
io sto dietro, a coprirgli le spalle, a tenere, a dare supporto, a esserci nelle retrovie.

===============

in settembre mi sono avvicinata alla pratica shiatsu.
ho conosciuto l., un’operatrice di questa disciplina.
la prima volta che mi ha vista, le mani sul mio corpo, le dita a sciogliere parti di me che neanche sapevo potessero essere sciolte, mi ha detto: “tu sei una splendida donna legno”.
poi mi ha spiegato.
nella disciplina shiatsu ci sono varie morfotipologie.
ci sono persone acqua, terra, fuoco, legno, metallo.
è stata un’illuminazione.
all’improvviso avevo in mano il termine con cui dirmi [cosa preziosa avere i termini con cui potersi sapere e potersi dire].

oggi le ho scritto.
“oggi sono legno al massimo della sua potenza. radicata. e protesa”.


sono io.
questa sono io.
questa sono io sempre.
questa sono io oggi.

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mettiamo in tavola la cena.
diciamo ai bambini.
spieghiamo.
ascoltano.
chiedono.
piango.
mi sforzo di non farlo.
non riesco a non farlo.

piango ma non sono in pensiero.
piango ma non sono spaventata.

sono triste.
sono infinitamente, mortalmente triste.

“piangi perchè sei preoccupata per il papà, mamma?”

 “rischia qualcosa, il papà, ad andare in polonia?”

no, musi, no.
il papà non rischia niente.

non piango per lui.

piango per me, per voi, per loro.
non doveva succedere.
questo orrore non doveva succedere.
piango per questo misero mondo.
piango per questo povero genere umano.
piango di rabbia e tristezza e dolore per questa guerra inutile e ingiusta.
piango di furia per la pazzia del genere umano [umano?].
piango di disperazione per la mia impotenza.

piango per le preghiere immorali che avrei voluto fare.
piango perchè non avrei mai pensato di dover spiegare a voi, musi belli, in questo nostro tempo, in questo nostro marzo del 2022, la genesi, la crudeltà e la follia di una terza guerra mondiale”.



mettiamo a letto i bambini.
noi siamo sopraffatti dalle ore.
non è che fino a ieri la guerra in ucarina – in qualche modo una guerra ad un passo da casa nostra che in una maniera o nell’altra ci coinvolge tutti e ci chiama tutti – non fosse vera, o reale, o cruda, e viva, e mortale, e crudele, e disperata, e aberrante.
lo era.
certo che loro era.
lo era, ma lo era essendo articolo sul giornale, podcast nell’autoradio, video su youtube, stories su instagram.

oggi SBAM.

oggi lo è di più.
oggi è vera dentro le lattine di coca cola in macchina, dentro gli abbracci, dentro il pacchetto di noci, dentro una scorta di fazzoletti, dentro i respiri condivisi in una macchina che va e se ne va.


oggi lo è di più.
lo è sempre quando le cose ti toccano da vicino.
da giovedì la sentivo vicina, l’ucraina.
da giovedì la sentivamo vicina tutti.
da giovedì scorso gli ucraini sono diventati un pezzo di ognuno di noi.


eppure.
eppure da ieri alle 15.21 la sento infinitamente di più.
li sento infinitamente di più.
mi battono addosso.
mi battono ovunque.

===============

per tutta la sera facciamo cose.

c’è da gestire l’iscrizione in mensa dei ragazzi, il piedibus di tom per l’anno prossimo, il consuntivo di fine mese da scrivere.
io devo preparare una mia breve biografia per un lavoro in un posto figo.
la butto giù al volo.
la legge la mia collega c.
dirà: “come sempre sei incisiva e, bellissimo, fotografica”.
io mi chiedo come faccio a scrivere bene anche stasera, che non ho testa né cuore.

per tutta la sera facciamo cose.
ogni tanto diciamo parole, chiediamo inezie.
ma per lo più facciamo cose.
per lo più facciamo qualcosa che ci tenga impegnati.
sappiamo tutti e due che l’alternativa sarebbe stato pensare, dire, immergersi, sviscerare.
e no, non ne abbiamo la forza.
nessuno di noi due ne ha la forza.

dalla dispensa tiro su delle lattine di coca cola.
le appoggio sul bancone della cucina.
mi chiedo se sono abbastanza.

su whatsapp gira una cartina di google maps.
una linea azzurra ad attraversare mezza europa.
dipende dalle strade.
1.563 chilometri.
1.600.
1.527.
senza soste, più o meno sedici ore.
come andare e tornare dalla puglia, però in un’unica tirata.

domani.
guido e suo fratello andranno domani.
guido e suo fratello andranno domani in polonia.
guido e suo fratello andranno domani in polonia a recuperare tre donne e due bambini.

qualcuno dirà “che avventura”.
non sarà un’avventura.

sarà cercare di garantire un minimo – un minimo – di serenità a chi addosso e attorno e vicino, troppo vicino ha morte, devastazione, dolore e infinito nulla.
sarà solo offrire un tetto sicuro sopra la testa.
sarà solo provare a dare una nuova, diversa, possibilità di vita.
sarà solo un niente a dimostrare che sì, ci sono ancora cuori dentro questa nostra umanità.
sarà solo un nulla a dire che serve restare umani e che siamo restati umani.


prima di dormire ci siamo abbracciati.
siamo stati lì, pelle su pelle, occhi negli occhi.
a non dire niente.
cosa vuoi dire?
non c’era niente da dire.
era già stato detto tutto.
poche, dense, scarne parole.
ci sono bastate.

all’una di notte ho spento la luce.
ho provato a dormire.
mi sono appisolata un attimo e risvegliata di soprassalto.
ho ripreso in mano “internazionale” che avevo abbandonato accanto al letto.
ho letto vorace.
famelica.
attenta.
ho letto come se la storia di oggi e di ottant’anni fa non la conoscessi davvero, non la sapessi del tutto, non la ricordassi più.
ho letto come se l’ennesima lettura, altre parole, differenti attenzioni potessero far capire meglio, conoscere di più, spiegare l’inspiegabile, fare luce sul futuro.
ho letto.
letto.
letto.
ho bevuto parole, politica, preoccupazione, povertà.
ho respirato un mondo fatto a pezzi, un’umanità fatta a pezzi.
ero a pezzi anche io.
sono crollata.

avevo messo la sveglia presto.
mi sono alzata con il torcicollo.
ho pensato: “devo aver dormito in una posizione scomoda”.
so cosa mi direbbe l.: “il torcicollo è il peso di quello che ti porti addosso”.
ho pensato che potrebbe avere ragione.
ho pensato che l’umanità pare essere condannata ad avere addosso a lungo un torcicollo infinito e doloroso.

per tutta la mattina ho fatto cose da niente.
ho letto parole di un amico che raccontava passi in terra francese. mi hanno lasciato addosso un velo di tranquillità.
ho scaldato un pentolino di latte.
ho bevuto il caffè.
ho portato i bambini in biblioteca, sistemato prestiti scaduti, riconsegnato libri, rinnovato iscrizioni obsolete.
vivevo un normale sabato.
e però di normale non c’era più niente.

mio papà ha 90 anni.
mio papà è nato nel 1932.
mio papà la seconda guerra mondiale l’ha vissuta sulla sua pelle, l’ha vista con i suoi occhi, l’ha sentita dentro il suo cuore.
ed erano pelle, occhi e cuore di bambino.
mi sono chiesta se era il caso di sentirlo.
di chiamarlo e raccontargli quello che stava succedendo.
ho deciso che no.
perché preoccuparlo?

in queste mattina con il mio papà ci sentiamo, come sempre.​
non ha mai fatto cenno alla guerra.​
lui zitto, io zitta.​
della guerra non si dice.​
della guerra non si chiede.​
della guerra non si parla.​
non si dice, non si chiede, non si parla perché forse così non si ricorda.​
o non si ricorda troppo.​

l’essere sfollato solo nell’emiliano perchè milano era troppo pericolosa e lui era solo un bambino.​
quel fratello morto sotto il disumano bombardamento di gorla.​
la paura per l’altro fratello – disertore – nascosto chissà dove, che tornare al fronte voleva dire morire, e lui, che di anni ne aveva venti o forse meno a morire non ci voleva andare.​

sono tornata a casa.
intanto si erano mosse delle cose.

“stiamo per partire?”​
“quando?”​
“il prima possibile. appena sono pronto”.​

intanto si erano mosse delle cose.


erano saltati fuori due seggiolini della misura giusta per i due bambini ucraini, un portapacchi da agganciare al telaio della macchina.
non era più una cosa solo nostra, della famiglia anche allargata.
stava diventando una cosa di tanti.


erano saltate fuori persone che erano venute a sapere.
c’erano persone che scrivevano, chiedevano, davano contribuiti per il carburante, promettevano preghiere, incitavano, sostenevano, telefonavano, chiedevano, si facevano raccontare.
erano saltate fuori stima, disponibilità gratitudine, infinita solidarietà.
hanno scaldato il cuore.
dentro il gelo di questa immensità, questo bene voluto a gente che neanche noi sappiamo chi sia, questo farsi in mille per loro, questo portarli addosso, nel cuore, nei pensieri, nelle preghiere è una cosa che commuove e scalda il cuore.

=============

eppure.
eppure mi sono di nuovo interrogata sulle gocce.

ieri ho messo un post sullo stato di whatsapp e di instagram.
foto di repertorio e scritta che dice:

una goccia è una goccia.​
una goccia è un inizio di mare.​
una goccia è un minuscolo, insostituibile pezzo di mare.​


e ci credo.
e l’ho scritto.
e lo vivo e lo viviamo e sono sicura che ognuno di noi lo sta vivendo.

eppure mi chiedo: basta?
eppure mi chiedo: e poi?

dicono la speranza.
dicono la solidarietà.
dicono il non cedere.
dicono il non arretrare.
dicono il poco per arrivare al tanto.

io non lo so.
io non lo so proprio.
io che sono un’inguaribile ottimista sempre mi chiedo: e se non basta?
io che vedo sempre il bello mi dico: questo serve, ma stavolta non credo che basti.
chi ha in mano quello che basta?
c’è qualcuno che ha in mano il potere di quello che basta?

a me a volte pare che questa cosa è talmente ed infinitamente così più grande di noi che a questo giro essere gocce del mare non ha neanche più senso.

intorno ribadiscono tutti che invece di senso ne ha.
e anche tanto.
voglio provare a fidarmi.
non c’è altro da fare.

==========

entro in cucina.
faccio una foto.

le tue chiavi della macchina – in primo piano il portachiavi con la concha di santiago, la vernice scrostata dopo tanti anni di utilizzo.
il mio anello “milano sulle dita”.
due lattine di coca cola, il rosso a brillare.
sono oggetti qualunque, appoggiati sul bancone della cucina.

non faccio foto a caso.
faccio foto per fissare ricordi, fermare bellezza, raccontare storie, condividere vita.
questa di oggi è una foto che racconta una storia diversa da tutta le altre.
questa di oggi come quasi tutte le mie foto è una foto lascia solo intuire, eppure dice tutto quello che c’è da dire.
questa foto oggi dice cura, promessa, tanta strada, un orizzonte lontano, un mondo ignoto, l’esserci, il prendere dentro il cuore.
eppure non dice niente.
sono un anello di metallo, delle lattine rosse, le chiavi di una macchina abbandonate su un laminato bianco.


=============

guido parte con poco bagaglio.

in macchina ha un sacco a pelo pesante.
due mutande e due paia di calze raccattate al volo dallo stendibiancheria e infilate nella tasca della giacca.
un cappellino in lana.
degli scarponi.
una scatola zeppa di peluches.
un sacchetto di noci.
un pacco di fette biscottare.
una scatola di fazzoletti.
un pacco di biscotti “abbracci”, che erano lì per caso [non li compriamo quasi mai; qui sono i pan di stelle, ad andare per la maggiore], eppure sono profetici nella loro burrosa dolcezza.
un cassa di bottiglie d’acqua.
la maglietta termica che di solito ci contendiamo il nonno ed io ma sarebbe di guido.

so che a casa del fratello di guido hanno caricato altra roba.
non so cosa.

cosa serve a chi non ha più niente?
cosa serve a chi ha bisogno di tutto?

==========

[della scatola di peluches]

mi arriva il messaggio di f.
sua figlia a. sta iniziando ad andare in bicicletta.
sua figlia a. sta iniziando ad andare in bicicletta con la bici che era stata dei nostri figli – di ale, poi di michi, poi di tom – poi della prima figlia di f.
quella bicicletta è alla quinta mano.
mi chiedo in che manine finiranno i peluches che abbiamo infilato in macchina.

nella scatola piena di peluches c’è anche un robot di plastica.
lo vede tom.
ci ha giocato anche lui, con quel robot.

– speriamo che non glielo distrugge, questo robot.
– chi, tom? il papà in macchina?
– no, mamma. la guerra.

la consapevolezza che ha tom a sei anni di questa cosa enorme, la naturalezza con cui già ne parla mi ghiaccia il cuore.

===============

un attimo prima di sedersi in macchina, guido mi allunga una credenziale, che sarebbe un passaporto per pellegrini.
oggi?
oggi mi allunga una credenziale?
la prendo in mano.
la guardo.
cammino di celestino.
dice: “l’ho trovata sotto un sedile della macchina. era finita lì quest’estate dopo l’abruzzo e nessuno l’aveva più trovata”

oggi – oggi – ho una credenziale tra le mani.
voglio pensare che sia di buon auspicio.
voglio pensare che si possa tornare a camminare cammini.
a cercare fiducia nell’umanità.
a trovare fiducia nell’umanità.

ci sarà bisogno.
di umanità e di fiducia.

==================

dopo pranzo.
c’è un nuovo gruppo whatsapp.
adesso che scrivo siamo dentro in 46.
si chiama MIR, questo gruppo.
MIR in ucraino vuol dire pace.
l’immagine è una bandiera della pace.
l’ha disegnata stamattina mio figlio michele con i pennarelli, preciso ed accurato come solo lui sa essere.

apro la chat.
leggo i primi messaggi.
c’è una foto dei due bambini.
biondissimi tutti e due, maglietta gialla e pantaloni gialli tutte e due, giocano con torri di anelli e duplo.
sono in una cameretta che potrebbe essere dei nostri figli.
loro potrebbero essere i nostri figli.

non è giusto.
non è giusto.
non è giusto.
non è giusto quello che gli sta capitando:
non è giusto quello che gli stanno facendo.
non è gousto quello a cui li stanno condannando.

piango.
così.
un click.
e sono fiumi di lacrime.

non scriverò niente, in questa chat.
leggerò caratteri in cirillico.
traduzioni.
italiano sgangherato e anche no.
aggiornamenti sugli spostamenti, al di qui e al di là del confine ucraino.
gratitudine e riconoscenza.
prezzi del gasolio di mezza europa.

starò zitta.
non riesco a fare altro.
cerco solo di non piangere davanti ai bambini.

dice d.: “è straziante anche quello. continuare a vivere la nostra vita col sorriso per i nostri figli”.

sulla scrivania da cui sto scrivendo c’è un pacchetto di coriandoli aperto.
ale in camera sta preparando il suo zaino per l’uscita scout.
quando scende mi dice: “la prima verdura che voglio piantare nel mio orto sono i ravanelli”.
lo guardo e sorrido.
lo so che si è accorto che ho gli occhi lucidi.

==============

ad un certo punto del pomeriggio sono così stremata – così esausta di distrazione, parole, silenzi, pensieri, lacrime e immaginarsi – che mi sono fermata.
ale e michi erano via con gli scout.
ho mandato tom in cortile.
ho sperato con tutto il cuore che ci fosse giù a., il suo amico.
credo ci fosse.
tom comunque per una buona oretta non si è fatto più vedere.


ho preso in mano un libro.
l’ho tirato su stamattina dal banco novità della biblioteca.
si chiama “lettare di un (quasi) fratello a una (quasi sorella)”; l’hanno scritto lisa e margherita riccardi; l’ha illustrato michele bosco.
è una storia minuscola, poetica e profonda.

spiega la vita.​​

dice che d’estate si va al mare e d’inverno si va in montagna.​
dice che sotto il divano ci si nasconde e ci si diverte perché il sotto del divano è una caverna, ma sicura.​
dice che ci sono dei kit per curare ogni ferita: i baci della mamma, i giornalino, la cioccolata ed i cerotti.​

​mi sono chiesta se i nostri figli andranno ancora al mare d’estate, in montagna d’inverno, se si potrà ancora fare questa cosa che si chiama vedere il mondo e fare vacanza.​
mi sono chiesta se sotto il divano ci si infilerà ancora solo per piacere, fino ad uscire sporchi di polvere, magia e sogni, e non per proteggersi, non per non finire dilaniati da schegge.​
mi chiedo se questi kit per le ferite vanno bene anche per le ferite del cuore dei grandi.​

​e sì.​
ho sperato che la risposta ad ogni mia domanda fosse:
sì.​
sì.​
sì.​

==================

per tutto il giorno mi muovo scomposta.
ho pensieri che vanno.
domande che ronzano.
risposte che vorrei.

a chiunque mi capita a tiro vorrei chiedere:

ma tu, tu hai idea di come ne usciremo?​
se ne usciremo?​
come ne usciremo?​​

a chi mi capita a tiro vorrei dire:

parlami.​
raccontami.​
come ti senti.​
che sentimenti abitano il tuo cuore.​
dimmi.​
dimmi che almeno tu hai speranza.​
dimmi che posso stare tranquilla.​
dimmi che finirà.​
dimmi che è un brutto sogno.​
dimmi che ci sveglieremo.​
dimmi che vincerà la vita.​
dimmi che vincerà l’amore.​
dimmi che vincerà la pace.​

mi sono sempre chiesta che mondo lasceremo ai nostri figli.
in questi giorni mi chiedo se lo lasceremo, un mondo.

============

e quindi alla fine eccoci.
eccoci a noi.
ecco il perché di queste mie infinte parole sbrodolate.

ditemelo voi, amici del mio cuore.
ditemelo voi, che mi siete amati e fratelli.
ditemelo voi, che siete arrivati a leggere qui facendo chissà quali strade.
voi, che avete tanti passi nelle scarpe.
voi, che avete visto mille continenti.
voi, che sapete tante cose, magari anche come gira il mondo.
voi, che dentro la vita siete più sgamati e meno ingenui di me.
voi, che avete le spalle larghe e il cuore immenso.

d., che della tua leggerezza profonda e salvifica hai fatto anima e pelle.​
p., che ti illumina un sorriso e una speranza che assomigliano così tanto alle [ex?]-mie.​
r., che hai il mondo come dimora, e dove posi la testa per dormire di notte, lì sei a casa.
p., che come nessun altro ricomponi i pezzi di me dentro un abbraccio di madre e sorella.​
v., che sei radice forte e volo sicuro.​
m., che della lotta al marcio hai fatto la tua ragione di vita e vivi per portare gisutizia.​
l., che hai pensieri retti e piedi per terra.​
e., che sei saggia ed inquieta.​
v., che come mio papà hai vissuto anche la prima metà del secolo scorso, e quella prima metà del secolo scorso ti ha fatta e ti ha plasmata.​
f., che condividi con me la responsabilità dell’avere figli e il peso non sempre leggero di un’anima vagabonda.​
e., che sai sempre cosa serve fare.​
e., che sei schivo e silenzioso, ma hai occhi attenti e cuore che vede oltre.​
r., che sei buono e non concepisci cattiveria.​
c., che hai una mente frizzante e la formazione che viene dalla strada.​
c., che sei così credente, così affidato.​
c., che inventi un mondo magico in cui ognuno può accocolarsi.​
f., che a voltare le spalle al mondo, hai idea di quante ore dovremmo stare chini su quel lavandino basso a lavare piatti.​
h., che eri il mio prof. di storia e per spiegare questa guerra hai usato tre sostantivi precisi ed inusuali.
d., che la storia la devi spiegare ai tuoi studenti, e cerchi le parole giuste per dire bene e dire tutto.
s, che ci vuole la maglietta. adesso. subito. e non per la montagna. per la vita.​
l., che adesso mi alzo da qui e vado a infilare un cucchiaio dentro un tuo vasetto di marmellata.​

tu.
tu che leggi le mie parole, che ti sei bevuto i miei pensieri, i miei sentimenti, le mie emozioni.


dimmelo tu.
ditemelo voi.

che mondo lasceremo ai nostri figli?
glielo lasceremo un mondo?
finirà questo orrore?
c’è una via di fuga?
usciremo da questo stallo?
si salverà l’umanità?


vi abbraccio.
sa Dio quanto vorrei abbracciarvi davvero.
farmi stringere da voi di amore e di speranza.

cri

Pubblicato da: cri | 21 gennaio 2022

365: 2020-2021

  1. Bastano queste gocce di bellezza a farci resistere? Non so, non sono sicura. Continuo a cercarle. Le fotografo e le scrivo.
  2. Tornare in Braidense vent’anni dopo. Chiacchiere in piedi nel Salone Teresiano. Anni di conoscenza e stima reciproca.
  3. Dopo mesi di smartworking che ti abbruttisce corpo e anima, torni in ufficio.
  4. Tom: “Esistono le stelle cadenti? Dove atterrano?”.
  5. La torta della montagna. Altro che doping.
  6. Le gole di Fara San Martino e la nostra guida preferita.
  7. Quel pomeriggio con gli scout a pescare sull’Oglio.
  8. “Un solo particolare davvero necessario: una porta che siete disposti a chiudere alle vostre spalle”. Adesso ce l’ho quella porta.
  9. Edera a spuntare dalle fessure di un muro. Lì dove niente pare lasciare spazio alla vita, crescere.
  10. Gli arrosticini, la porchetta, il caciocavallo [ma di maggio], l’anguria mangiata a morsi.
  11. “Cosa ci fanno quattro paia di forbici appoggiate sul davanzale della finestra del bagno?” “Sono simboli di virtù”. Non resta che prenderne atto.
  12. “Spritz al Conicchio?” Spritz sia. C’è sempre una prima volta.
  13. “Vuoi sapere quando sono stata felice l’ultima volta?”.
  14. A Milano al mattino all’Anteo a vedere Nomadland in lingua originale. Wow, wow, wow.
  15. “Le orecchie di suo figlio sono perfette. 50 euro, grazie”. Nervoso.
  16. Alle mie spalle, chiudo a chiave la porta di casa. Non so da quanto non mi capitava. Per mesi in casa restava sempre qualcuno.
  17. L’onninescente capromante.
  18. In bici fino alla collina dietro il laghetto di Giussano. Tramonto sulla Brianza.
  19. Sogno un monolocale. Io, un letto, una sedia, un tavolo, una poltrona. Questo. Y nada más.
  20. L’anello “Milano” della collezione “Città sulle dita”.
  21. Incertezza davanti alle assi del gabinetto esposte al Brico. Come faccio a scegliere tra 50 modelli?
  22. Torno a casa ogni sera e faccio del mio meglio, ma non ho voglia.
  23. “Prof, non posso suonare perché la mamma dorme”. No, non faccio un lavoro che preveda turni di notte. Era solo pigrizia.
  24. Ciao, zia. Ciao, Battiato.
  25. Con gli occhiali verdi, Michi ha un faccino nuovo, da bimbo d’erba.
  26. Una mattina di dicembre in Val Vertova con Michi e con Tom.
  27. Per Ale il primo giorno alle medie.
  28. “Sono nate. Sono nate tantissime”. “Tantissime cosa, Tom?” “Tantissime lumache di Ale”. Aveva un allevamento clandestino in fondo al giardino.
  29. Dieci minuti dopo aver messo la tovaglia in frigorifero, ci infilo anche la caffettiera pronta. Credo di aver bisogno di dormire.
  30. “Come stai?” “Otto ore al lavoro e due ore in macchina. Mai stata così bene da febbraio”.
  31. Quel mezzogiorno in cui una macchina ha quasi investito Michi. Il tutto si risolve con uno spavento. Grande, però.
  32. Faccio cose che non avrei mai pensato di fare. Anche dei piercing. Anche un tatuaggio. Anche aprire un profilo Instagram.
  33. La lettera motivazionale per il bando ministeriale. Scrivo di getto, decisamente fuori dalle righe. “Solo tu, Cri. Solo tu”. Arriverò prima.
  34. “Topo, la tua pancia la voglio vedere e la voglio toccare”. 300 chilometri di musica e solitudine per 24 ore di amicizia e bene voluto sui colli alle spalle di Rimini.
  35. Il corso online sulla soggettazione. Intanto preparo il ragù.
  36. Le domeniche a pranzo allo Strafess. Molto, molto british.
  37. Scorre tutto. Umore così. Mai felice.
  38. Mi imbuco all’Anteo in un’anteprima per giornalisti. Starbucks a precedere, indiano a seguire.
  39. I giri tamponi nel parcheggio del Sassabanek.
  40. “Hai gli orecchini nuovi?” “Sì, vi piacciono?” “Fai impressione”. Sul fare i complimenti c’è ancora parecchio lavoro da fare.
  41. Smiling tears away.
  42. Il gruppino sul Triangolo Lariano.
  43. “Devi crederci”. “Lo sai che io in me non credo mai”.
  44. “Ho finito adesso il mio primo giorno di lavoro in un posto nuovo”. “I tre seggiolini che hai sui sedili dietro dicono che tu per oggi non hai certo finito di lavorare”. Standing-ovation per il metanaio di Agrate.
  45. Prima in graduatoria per il posto del MIC a Pavia. “Oh ca**o. E adesso?”.
  46. Il pomeriggio in cascina a Rodengo Saiano. A volte Tom mi ricorda che sono la mamma di un bimbo di 5 anni.
  47. “Smarrirsi è l’unico posto dove vale la pena andare” [Tiziano Scarpa].
  48. “Alessandro! Ah bello de’ prof!” La DAD riserva risate.
  49. Funziono. Faccio quel che devo. Non provo alcun piacere.
  50. “Se quando poi sarà l’ora ti rapissi per un cappuccio come si deve al tavolino del bar sono una brutta persona?” “Sì, ma è proprio questo che mi piace di te”. Ci sono colleghi che si fanno strada nel cuore.
  51. Sul monte per la prima volta tutti e cinque ognuno sulle sue gambe. Tom ci era già stato quando abitava la mia pancia.
  52. La prima confessione di Michi in zona rossa. Vi aspettiamo a casa.
  53. In un pomeriggio di maggio, studiare le vacanze di luglio davanti ad una canonica bagnata di sole.
  54. Sono a pezzi per la stanchezza e sono a pezzi per la mia inadeguatezza. Ci sono delle sere che sono un inferno.
  55. “Ci sono ancora crostini?” “No, Michi. Sono finiti”. “Posso mettere la mousse di olive sopra una fetta di burro?”.
  56. “Sono riuscita a rigare il Qubo con la scatola delle uova”. “Notevole”. “Vero? Sapevo saresti stato fiero di me”.
  57. La prima della Scala. Teatro chiuso e pubblico assente. Davanti alla TV ci riempiamo gli occhi di arte e bellezza.
  58. Tenersi insieme così – così diversi, così molteplici – non è sempre facile.
  59. Il circolo della sicurezza a Iseo. Mani pronte, mani tese.
  60. Dopo cena una sorpresa e del cioccolato per chi domani partirà per il Cammino Materano.
  61. Al Frida dopo anni. “Da quanto siamo amiche, noi due?” “Sono già vent’anni, Cri”.
  62. “Jingle gel, jingle gel, jingle gel”. Ogni volta ridiamo fino alle lacrime.
  63. Non so da quanto non facevo colazione a letto. Te li ricordi, i nostri primi anni? Quante colazioni a letto? Quanta pelle e briciole tra lenzuola e labbra?
  64. “Perché il macchinista di quel treno disegnato non ha la mascherina?” “Perché una volta non si portavano, Tom”. Il Covid segna in modo indelebile l’immaginario delle nuove generazioni.
  65. A Piagù. Amicizia, aria aperta, condivisione. Quel crocifisso appoggiato dolce in bilico sopra la valle.
  66. #corrocolguanto.
  67. “Il più grande spettacolo dopo il big bang” al flauto. È reiterato supplizio.
  68. Una mattina di rabbia a mangiarsi ogni orizzonte. Un diavolo per capello e l’infelicità su ogni mia pelle. Ti trovo alla rupe del leone. Passi insieme e cielo azzurro.
  69. Internazionale, volantino dell’Esselunga e Nescaffè. La pace dei sensi.
  70. Quei giorni di zona rossa in Lombardia. Benedico le scuole aperte fino alla prima media compresa e la possibilità di andare al lavoro.
  71. “Mangerai anche in macchina alle quattro del pomeriggio, ma le tue schiscette sono sempre di gran classe”.
  72. Avere finalmente tempo di fare una cosa. Avere in teoria voglia di farla. Non avere davvero voglia di farla. O almeno non così tanta voglia da abbattere l’inerzia. Quindi non farla. E però arrabbiarsi perché non la si è fatta, ora che si avrebbe finalmente avuto il tempo di farla.
  73. “Ciao, sono la Cri. Ti ricordi di me?” “Sciocca che non sei altro. Come potrei dimenticarmi di te?”.
  74. “Vomiti sempre rabbia”. “Sono così. Esasperata e furente. Se non ti sta bene, quella è la porta”.
  75. “Non è Natale senza le lasagne ai funghi della zia”.
  76. Tom umarell. Ore in piedi davanti al cantiere dell’asilo nuovo.
  77. Pennabilli e Tonino Guerra.
  78. Non ci sono spazi per parole che non siano feroci accuse e vane difese.
  79. Anche la birra alla spina ci ha tolto, ‘sto maledetto virus.
  80. Lo sguardo oltre.
  81. Abbraccio stretta un albero. È un bel posto dove stare.
  82. “Non create assembramenti. Nel concreto non abbracciatevi e non limonate”.
  83. La signora Liliana.
  84. “È la prima volta”. “La prima volta di cosa, Ale?”. “La prima volta che apro una lattina”. Ha undici anni. Stiamo crescendo dei figli disadattati.
  85. “Cazzo se sei brava”.
  86. “Metti il culo sulla sedia e scrivi, che sei nata per quello, tu.”
  87. Quella sera che avrei voluto mollare tutto e tutti e andare a Milano. Al volo. All’improvviso.
  88. Passa in strada un Ciao. Tom: “Una motobici!”. Pensieri per il mio Ciao negli anni dell’università.
  89. Con Ale e Michi al Curò. Simone Moro, il lago artificiale del Barbellino, quello naturale.
  90. Finché non ci bloccano, ci muoviamo. Prudenti al massimo, ma non chiusi in casa.
  91. “Sono Valentino Rosso”. “Io Valentino Giallo”. Giochi in cortile con i bambini dei vicini.
  92. Un sabato tutti insieme all’Alpe Corte. Stiamo. Di solito si passa e si va.
  93. Una cartina stesa sul pavimento, le spalle abbronzate a sostenere, le dita ad inseguire sentieri, strade, sogni.
  94. “Non so neanche come sto”. “Cri. Stai come il fiore. Resisti e attendi”.
  95. “Se mangio la carta muoio?”. “Che carta hai mangiato, Tom?” “Il bigliettino del Bacio Perugina”.
  96. Davanti alla scheda di una seicentina. “Hai controllato tutto?” “Cosa intendi con tutto?” “Hai scorso con la rotella fino in fondo alla pagina?”.
  97. La 1°B scrive un racconto collettivo. Vengono citate anche “le verruche del destino”. Intrigante.
  98. “Hanno messo l’acqua sulla testa di N.”. Il battesimo visto da Tom.
  99. Tu ed il cugino sul Trentapassi in un’uggiosa domenica d’autunno. Quando tornate, pasta al sugo tra pranzo e merenda.
  100. Prima che ci lascino solo la possibilità di fare cose necessarie ed indispensabili, ne voglio fare una del tutto inutile e per niente indispensabile: un nuovo piercing.
  101. Pc davanti alla solita finestra in soffitta a Bergamo. Vista sui tetti, sui colli, sulle montagne lontane.
  102. Capita che faccia la milanese imbruttita anche dal panettiere. Sono doti.
  103. Il lavoro a Pavia, l’incanto della sala teresiana.
  104. Ci sono canali di comunicazione pieni di cazzate e di bugie. Come si fa a crescere un uomo che sia poi un uomo onesto?
  105. Vendiamo il Berlingo.
  106. “Se devo tifare qualcuno, tifo la palla”.
  107. “Tommaso è qui da noi a fare merenda”. È un esserino autonomo e randagio. A volte scompare. A volte nessuno si accorge che è scomparso. A volte ci sono dei vicini che sono dei tesori.
  108. Aperitivo a No-Lo. Da quando a Milano c’è un quartiere che si chiama No-Lo?
  109. Quel the giapponese con sentore di riso tostato.
  110. San Nicola. I Grittibänz come li faceva la mia mamma.
  111. Tom, infilando un nocciolino di ciliegia dentro la terra: “Sto piantando un albero così poi avremo due alberi e potremo attaccare l’amaca”. Essere ottimisti è un dono grande. Non perderlo, muso. Non perderlo mai.
  112. “Gli specchietti si possono sempre piegare. O abbattere”. “Abbattere anche no”. “Sei sempre così conservativo”.
  113. La mia rabbia, un cellulare rotto, un cellulare nuovo una domenica di lockdown. Prendo quello che c’è, me ne innamoro in fretta. Fa foto bellissime.
  114. Cerchi un varco. Non ci sono varchi.
  115. “Si potrà vedere Siena alla ca**o?” “Why not?”. [Silenzio] “Parliamo di cose serie. Ci sarà la finocchiona?”
  116. “È morto Diego Maradona”. Michi: “Chi è, un tuo amico?”.
  117. Chiacchiere con R. dalle 8.00 alle 8.30 del mattino. Ci sono amicizie che hanno orari bizzarri, ma sono bellissime.
  118. Il mio “Cammino 2007” scritto durante la quarantena adesso è impaginato, stampato e rilegato come si deve. Dono prezioso, emozione fortissima.
  119. “Sono scelte. Io scelgo lo spritz”.
  120. Tom in lacrime davanti al cavolfiore. “Mi arrendo”.
  121. Dentro un libro del settecento, una stella alpina. Da dove arriva? Chi l’ha messa?
  122. Alla fine della zona rossa, la bellezza di un caffè nella tazzina di porcellana al bancone del bar.
  123. Nell’ultima domenica di libertà autunnale, una gita abortita quando eravamo già in macchina. Quella domanda innocente: “Hai finito tutti i compiti, vero?”. Quella risposta: “Ehm. No”.
  124. Il metanaio di Nichelino e quella frase che deve essere amicizia: “Hai la faccia come il culo, Cri”.
  125. In due ore da maglietta lisa a tubino nero. Mi piace quando sono così versatile.
  126. In piedi sulla collina davanti al Giacoletti, il sole a sorgere. Sono minuscola. Sono immensa.
  127. “Hai qualcosa in ordine da mettere per la Cresima di tuo figlio?” “Definisci in ordine”.
  128. In una mattina di gennaio, due amiche e sei bambini. Il tiramisù aiuta.
  129. Considero l’ordinare carne via Instagram un inequivocabile segno di gioventù.
  130. “Tom, smettila di leccare tutti i confetti. Fanno schifo, i confetti leccati”. “Se volete allora li mangio io”.
  131. Dalla moka rossa a quella gialla.
  132. La Val Borlezza con Tom ed il nonno.
  133. Un Virgilio del 1522 stampato dai Giunta sul tavolo del nostro soggiorno.
  134. Quante volte si può ricomporre un cuore, una vita, una coppia e una famiglia prima che nessuna colla sia più in grado di tenerla insieme? Incolliamo ancora. Come tanti. Come tutti.
  135. Uno dei migliori amici di Michi torna in Croazia.
  136. Nella fredda notte milanese, il nonno sul gradino del portone, noi in piedi sul marciapiede. Ci è concesso solo questo. Mi si stringe il cuore.
  137. Mi sento sola. Mi sento accerchiata. Vado a letto.
  138. “Cos’è un bijoux?” “Un gioiello”. “Ah. Ho sempre pensato che fossero involtini di farina”.
  139. Degli amici tornano dopo un anno di volontariato in Veneto. Bello riavervi qui.
  140. Un piccolo di talpa nei campi dietro Timoline.
  141. “Mi casa es tu casa”. Ci sono bicchieri che toccano il cuore.
  142. La mano sul volante, il braccio teso. La mia pelle abbronzata, un anello, due braccialetti di metallo e spago. Via. Si va.
  143. Le cugine. Il Monviso e le Langhe.
  144. La fatica improba di disfare zaini e riporre sogni.
  145. “Perché non parti per Santiago, pa’?” “Dici?” “Dico”. Il nonno sul cammino per l’undicesima volta.
  146. Preparare il corredino per i bambini dell’asilo è una tortura. Preparare il materiale di arte e tecnologia con un ragazzino riottoso che inizia la prima media è parecchio peggio.
  147. Mi sento sempre in trincea. Mi sento sempre esposta.
  148. “Sei contento di tornare a scuola mercoledì?” “Io sì, ma la mamma di più”. Benedetta onestà.
  149. Michi prepara panini per l’uscita scout. Canticchia: “Che bello ritorniamo. Che bello ritorniamo”.
  150. Tom, lingua fuori dalla bocca mentre disegna: “Non mi sto impegnando. Sto solo facendo tutto con tutto il mio cervello”.
  151. Diciamo esasperazione, atavica stanchezza, infinitamente ripetuto, mancanza di prospettive, carenza di aiuti, inutili polemiche, animi esacerbati.
  152. “È il tuo collaboratore?” Risate e birretta dal panettiere.
  153. “Tom, stai un po’ zitto. Sembra che quando dormi ti mangi il vocabolario e anche la radio. Poi di giorno usi tutte quelle parole lì, quelle che di notte hai messo dentro la tua testa”.
  154. Il gelato di fine anno della 1°B viene sommerso in piazza da una pioggia monsonica.
  155. Finalmente lavoro a Bergamo d’estate. Non era mai successo. In sandali e maglietta sulle mura di Città Alta.
  156. Davanti all’asilo: “Sei come la madonna. Ogni tanto appari”. Per certo ci sono mamme più presenti di quando non lo sia io.
  157. A metà luglio, dopo cinque mesi esatti, per dieci minuti stiamo a casa da soli noi due adulti, senza nessun basso in giro. Era da febbraio che non capitava più.
  158. Un libro per bambini tra le cose della nonna. Lo diamo a Tom. Esce dal box e urla: “Grazie nonna”. “Perché urli?” “Così mi sente dal cielo”.
  159. Il peggio pareva essere il passaggio da freelance a desperate housewife. E invece. Da desperate housewife a madre blindata in casa con tre figli blindati a casa con lei sa essere parecchio peggio.
  160. Non mi capacito di come si possa vivere senza usare spesso la locuzione “Non mi capacito”.
  161. Francese e inglese con Ale. Ore di strazio auricolare.
  162. Non ho altro da dare se non il mio impegno, il mio senso del dovere, la mia responsabilità, il mio resistere, il mio stare.
  163. Non sempre so come essere madre. Non sempre so come essere una brava madre. A volte non neanche come essere una madre almeno passabile.
  164. Intestazione della nota spese del meccanico: Qubo del papà di Tommasino.
  165. Una domenica mattina screenshot della schermata di lavoro. “Io e il mio dannato di senso del dovere”. “Lo siento muchissimo, hermana”. “Se mi scrivi in spagnolo, mi sciolgo. Sappilo”. “Non scioglierti. Servi allo stato solido per fare le correzioni”.
  166. Mi rimproveri rabbia, io assenza. Ti rinfaccio indolenza, mi suggerisci distacco. Siamo due medaglie. Siamo il loro rovescio.
  167. Sentire due frane. Un rombo sordo si infila dentro le viscere e lì resta.
  168. “Le risposte ti pioveranno addosso come grandine”. “A me piovono addosso come grandine anche le domande”.
  169. “Patente e libretto” a 5 minuti dall’arrivo. Sì, stiamo violando il coprifuoco. No, non avremmo voluto.
  170. Vivo alla giornata perché più in là non riesco a guardare. È faticoso, ma non troppo. Si sta dentro l’oggi e lo si rende bello. Al momento va bene così.
  171. Ale per la prima volta non trova nessuno a casa quando torna da scuola e mangia da solo. Dirà: “Sono stato contento. Mi sono sentito grande”
  172. “Perché alla gente piace fare shopping?”.
  173. “Sei la donna più antierotica che abbia mai conosciuto”. “Davvero? Non sembra. Parti di te contraddicono vivaci la tua affermazione”.
  174. “Sai che in ospedale hanno i termoscanner?” “Li hanno anche in biblioteca da mesi. Dove vivi?” “In cantina”.
  175. Un nuovo spazio tutto mio. Pc e scrivania in camera. Un sogno.
  176. Quella mattina di vacanza improvvisa. Noi due insieme sul Monte Alto.
  177. Una bottiglia di Santa Cristina e una tovaglia in plastica con dei limoni.
  178. Andare a Comano, stare a Comano, tornare da Comano
  179. Quei giorni di ottobre in sala studio a Rovato. Scrivo, scrivo, scrivo. Non faccio altro. Vivo in un universo parallelo fatto di parole, immagini, sogni.
  180. Dal registro elettronico di Michi: “Attività motorie e sportive. Esecuzione di una semplice coreografia gam-gam style”. Quando uno ha i figli trendy.
  181. “Torna subito che abbiamo due ore per fare i fidanzati”. Trentapassi. Gelato e spritz sul lungolago.
  182. A Brescia in stazione a recuperare Michi alla fine della sua settimana di vacanza da solo al Cavallino. Il suo sorriso bello e timido. La sua piccola valigia ed una bottiglietta d’acqua. Bentornato, muso.
  183. “Tom, lavati le mani”. “Se uso le posate per mangiare, perché devo lavarmi le mani?”
  184. Al Barzaghin. Prosecco. Cassöla e polenta. Una millefoglie da urlo.
  185. Il castello di Rossena e quello di Canossa. Finalmente qualcosa di nuovo dentro gli occhi.
  186. Anche i catalogatori sbagliano. “Meglio che i cialtroni come noi restino a catalogare, a salvare il mondo ci pensino altri”.
  187. Per essere più trendy e più pronto Ale si è lavato con la mia crema idratante. Ha detto: “Mi sembrava strana. Non faceva schiuma”.
  188. Vacca noia.
  189. Zona rossa in Piazza Vecchia a Bergamo. Atmosfera surreale. Serrande abbassate, bar chiusi, radi passanti. Su un’improvvisata mensola di legno il caffè dentro un bicchierino di carta.
  190. “Trunnn. Cara panna. Ti suono con la cedra”.
  191. L’abbonamento a Internazionale.
  192. Trattare contratti di lavoro in canottiera, pantaloncini e ciabatte uscendo da un supermercato abruzzese con in mano pane e pomodori.
  193. Voglio di più, per me. Voglio sempre di più. “Siamo fatti per ben altro. Per ben oltre” [Alessandro d’Avenia].
  194. A volte serve fingere che vada tutto bene. Serve andare avanti con la vita, le fatiche accantonate, le difficoltà occultate nelle pieghe di un quotidiano anche bello.
  195. “Fate buchi all’orecchio?” “Dipende dove”. “Qui”. “Ah, no. Lì no. Lì è un piercing”. Un piercing? Non so se ce la posso fare. Ce la farò, ben più di una volta.
  196. Salta la polentata. Maledetto Covid.
  197. Delle macchinine a propulsione costruite con carta ed elastici. Viaggiano, anche.
  198. Con un libro in mano nella radura del bosco, Ale intanto sistema la sua capanna.
  199. Unorthodox, Shtisel, Suburra.
  200. Dopo “Scendi il cane che lo piscio” qui oggi si è sentito: “Il papà mi ha uscito dal castigo”. Vai, Tom.
  201. “Prendi un libro, aprilo a pagina 50. La prima frase descrive la tua vita amorosa”. “100 grammi di squacquerone”. C’è di che riflettere.
  202. “La Terra è l’unico pianeta in cui è possibile la vita”. Tom: “Gli altri allora a cosa servono?”.
  203. Tom e il pettine: “Cos’è questa cosa qua?”. Sì, ha quattro anni. No, non l’abbiamo mai pettinato. No, nessuno di noi si pettina mai.
  204. Una merenda nel cortile di una signorile casa a Adro.
  205. “Mi sono un po’ disabituata a te”.
  206. Tom, in piena zona rossa, ha una socialità indefessa. È l’unico, di noi cinque.
  207. La vigilia di Natale senza nonno non è vera vigilia.
  208. Era un’utente, diventa amica. Passi sul monte di Rovato in una mattina di aprile che pare novembre.
  209. Quella vignetta che girava durante il lockdown. “Mi dà fastidio anche il modo che hai di respirare”. Ecco.
  210. Nel primo pomeriggio di un giorno di sole, a piedi attraverso le Ex-Varesine. Per la prima volta nella mia vita mi pare di non essere all’altezza della mia città.
  211. “I piatti alla fine vanno lavati. A me piace farlo con te, Cri”.
  212. Il nonno a proposito del mio tatuaggio: “Hai dovuto pagare, per fartelo fare?”.
  213. Dal Qubo della nonna esce di tutto: anche un Tuttocittà del 1989.
  214. Ale e Michi da soli in bici fino al Grest di Borgonato passando per i campi.
  215. Si rompe la pianta grassa che avevo da quando andavo in terza media. Vorrei solo piangere. Verrà salvata, ancora una volta.
  216. Quella mattina su Whatsapp a cercare di concatenare passi sulle Marittime. Sogni, ma stavolta li appoggiamo sulla carta.
  217. Nel prato davanti ad una canonica toscana, una festa per un anniversario di matrimonio. Per tutta la sera e tutta la notte nel cielo non smettono di saettare fulmini.
  218. Mi sveglio alle 9.30. Alle 9.32 sono già arrabbiata. Quando impareranno a tirare l’acqua del water?
  219. Devo – ma proprio devo – comprarmi sette paia di calzini del buonumore.
  220. Cronologia della ricerca Google: “Istruzioni per fare l’aeroplanino più veloce del mondo”.
  221. Il Lago della Pellegrina, il Coulour del Porc, il Sentiero del Postino, il Buco di Viso, il Dado di Vallanta. Diventano epica e bellezza dentro il cuore.
  222. Sono inquieta. Sono ancora e sempre in ricerca. Non mi so mai e non mi so ancora del tutto e fino in fondo.
  223. Una partita a air hockey con Ale mi fa brillare gli occhi.
  224. Non riesco a farmi scivolare addosso niente. Come fossi carta moschicida, mi rimane appiccicato addosso tutto.
  225. Il disegno sulla pace che ha fatto Ale arriva primo al concorso regionale. Bravo, muso.
  226. La bottiglia di Amaro del Capo rotta nel sacco con dentro 90 euro di materiale scolastico. Sta per venirmi una crisi isterica. Qualcuno suggerisce: “Avresti potuto iniziare a leccare l’amaro”.
  227. Non combino niente, se non basso cabotaggio di mera sussistenza. Traccheggio. Non è un bel modo di arrivare a sera.
  228. Lea Perrins, che sarebbe la salsa Worcestershire. Un mai più senza.
  229. Un adesivo su un cestino dei rifiuti tra panettiere e biblioteca: “Guarda il cielo”.
  230. Ancora pulci, ancora dermatologa. Cortisone e antistaminici.
  231. Colloqui di fine quadrimestre in macchina in vivavoce. Anche mentre facciamo metano. Il diretto interessato ride.
  232. Le persi pien in una casetta piemontese.
  233. Sveglio i bimbi con i muffin appena sfornati. Profumano di cocco e cioccolato. Sanno di lockdown.
  234. Inseguimento ed arresto nella nostra via. Un tir pieno di agrumi davanti al cancello della nostra vicina. Non si dica che non succede mai niente, qui.
  235. Una birra a Trezzo. Amicizia a dirsi e bauli che sono metafore.
  236. Arriva un momento – ed è questo – in cui anche basta. Vorrei la solitudine più completa, il silenzio ad avvolgermi, possibilmente un bicchiere di rosso.
  237. Il Valico della Forchetta e l’Altopiano delle Cinque Miglia. Io qui voglio tornarci a camminare.
  238. Bergamo, scrivania della Mai. 144 giorni dopo quel “Dai, questi li faccio domani”.
  239. Il nonno davanti alla casa in via Carta. Racconta pesci e forchette, infanzia ed anni lontani.
  240. In piedi accanto alla scrivania pavese, racconto di Santiago. “Mi fai venire la pelle d’oca”. “Mi viene la pelle d’oca”.
  241. “Ho trovato un uovo di Pasqua sotto al pisello”. “Sono due, Tom”. “Ah già, sono due”. Alla scoperta del corpo umano.
  242. I cannoncini del Caprice di Rovato. La pasta sfoglia che è davvero sfoglia.
  243. Con Ale in montagna, ma quella vera. Tonolini, Laghi Gelati, Passo del Gatto, Gnutti, Scale del Miller.
  244. Crollo dentro uno sfinimento malato. Quando mi sveglio, mi abitano i miei demoni.
  245. “Michi, puoi per favore lavarti i denti senza abbaiare?”. Perché uno deve ridursi a porre questo tipo di domande? Perché?
  246. In cucina con ago e filo alle 23.00 di una sabato sera. “Quando avevamo 20 anni dopo il pub non si tornava a casa a cucire distintivi scout sulle uniformi”.
  247. Stesi su un prato tra Nigoline ed il golf. Un ciliegio in fiore sopra la testa, il primo sole della primavera a scaldare la pelle.
  248. A Lodi di notte a recuperare amici rimasti a piedi.
  249. “Se ho detto di no a te, Ale, perché dovrei dire di sì a lui?” “Perché lui ha una levatura sociale più importante della mia”.
  250. “Cosa è lecito cercare al di fuori del matrimonio?”.
  251. Ale in quarantena preventiva. Impossibile isolarlo in casa. Solo, riceve una stanza tutta per sé. Pare contento. Quando è il momento di andare a dormire ha un faccino malinconico.
  252. Ci sono ex-maestre dei figli che diventano amiche. Passi, caffè ed amicizia in una mattina tersa a Iseo.
  253. Il morso di Rocky e le 50 sfumature di viola.
  254. Ho bisogno di pienezza, di cuore a battere, di vita a pulsare, di spessore dentro cui stare.
  255. L’entità e la mezza entità. Ci sono colleghi che sono di più.
  256. Le fragoline sul ciglio della strada andando all’outlet dei dolci.
  257. Taranta Peligna e i giorni abruzzesi.
  258. Alla bocciofila di Bergamo, la prima birra alla spina dopo la zona rossa. “È quasi commovente”. “Togli il quasi”.
  259. Quei sabati mattina a Milano a trovare il nonno. Prima che chiudano Milano. Prima che chiudano l’Italia.
  260. A Monticiano con gli amici di una vita. Tende nella notte, vita brada, entusiasmo minorile e non solo.
  261. Riva e la Rispoli. Mia e Magic.
  262. Non c’è nessuno in casa. Mangio sola. Non succedeva da mesi.
  263. Limone, fiammiferi, monetina da un cent. Sul tavolo il maialino portafortuna del primo gennaio come lo faceva la mia mamma.
  264. Dopo infiniti tira-e-molla, in cinque verso la Toscana. Sentiremo Ale piangere. Dirà: “Sono lacrime di felicità. Mi volete così bene”.
  265. Tom: “Il mento è il marito della menta?”
  266. “A Gesù Bambino l’anno prossimo chiederò delle medicine per te. Per farti passare il male alla mano”.
  267. “Dovrebbe essere un anniversario felice. Pare un funerale”.
  268. “Quello che cantava la canzone di Spirit era Sale?” “No, Tom. Non si chiama Sale. Si chiama Zucchero”.
  269. Mi alzo prestissimo, guido la macchina, lavoro-lavoro-lavoro, guido la macchina, faccio il carabiniere, invento una cena, metto a letto i bambini, svengo. Deve esserci di meglio.
  270. Mezza teglia di cannelloni agli spinaci come merenda. Alcune zie sono speciali.
  271. La comunione e la cresima di Ale. Commozione in chiesa, arrosticini sulla griglia.
  272. Sbaglio colonna sul file Excel. Invece di una testa d’aglio ne compro un chilo. Bagna cauda mon amour.
  273. “Come state?” “Siamo stanchi, stanchissimi”.
  274. Una cartina aperta sul tavolino del campeggio. Con le dita inventarsi passaggi e sognare mete.
  275. Le Cascate del Vò, 30 anni dopo.
  276. Tom: “Ma si possono fare i sogni ad occhi aperti?”. Eh, figliolo. Eh.
  277. “Cos’è l’anima?” “Come è nato l’uomo? L’ha creato Dio o viene dalle scimmie?”. Domande da niente viaggiando verso Firenze.
  278. Tre giorni al Celim.
  279. Siamo in Francia. Pensa te. Nell’anno 2020 di nostra vita siamo in Francia. Dentro la lunga Covid-primavera non ci avrei scommesso niente.
  280. Tom: “Cazpita”. Che è caspita. Ma quella zeta iniziale che potrebbe preannunciare altro provoca sempre la perdita di un respiro.
  281. Ognuno nel suo guscio. Stiamo lì, in attesa di chissà cosa. Umore ammuffito. Passerà. Passa sempre.
  282. A mollo nell’acqua fredda, immersi in un altrove selvaggio e senza tempo, ci lasciamo fluire addosso un placido fiume toscano.
  283. Il Bronzone, il Monte Altissimo, San Defendente, Fenili Musna, verso il Lago d’Arno. Tutti quei passi da sola. Tutto quel cercare cieli, sudore, orizzonte, radici.
  284. Sono selvaggi, precari, splendenti e sereni. Sono anni che non ci vediamo. Ci fanno una sorpresa una domenica pomeriggio. Gli occhi di lei brillano come allora, ma un po’ di più.
  285. All’Isola, cotolette sbagliate e frasi memorabili sui muri della toilette.
  286. Zona arancione rafforzata. Precipito dentro un’incertezza appiccicosa. Ho paura. A questo giro ho paura. Quando la finiremo di portare via il futuro ai nostri ragazzi?
  287. Una nuova cartella: “Via da qui”.
  288. Una sera Strafess da asporto. “Abbiamo una pils che ti può piacere”. Eterna gratitudine a quelli che sanno cosa bevo.
  289. Lo specchietto retrovisore coperto da gocce d’acqua di condensa sulla salita di Sant’Afra. Alle spalle splende il sole appena sorto. Mi chiedono: “Ma sei una fotografa?”.
  290. Per la prima volta in 20 anni di lavoro, litigo con un’interna. Mi dava del tu, adesso mi chiama “signora”. “La signora del punk”, scherza ME.
  291. La vostra casa di famiglia torna a vivere di vita nuova.
  292. I giorni nelle Marche. Mare e amicizia storica.
  293. “On writing” di Stephen King.
  294. Mi dice: “Tu mi confondi”. Io il mio potere sui maschi non so riconoscerlo mai, meno che meno valutarlo.
  295. In quattro su cinque leggiamo o rileggiamo Harry Potter.
  296. Mangiare a colazione un panino al salame prima di andare a camminare in montagna non è un’idea brillante. Si sappia.
  297. La bellezza di Punta Aderci mi si incastra dentro gli occhi, Sulmona è da dimenticare.
  298. Due di notte. Chi è già sveglio, chi è ancora sveglio. “E se portassimo ora il Qubo dal meccanico?”. Detto, fatto. Quando si dice ottimizzare i tempi.
  299. In piena zona rossa accompagnare Tom in pronto soccorso per due dita micro-fratturate è un brivido di esotismo e socialità. Ci contendiamo il privilegio.
  300. “Non ci fosse la pandemia, me ne andrei in cammino fino a che senza di voi non riuscirei più a respirare. Voi qui mi soffocate”.
  301. Da Instagram: “Con me l’anatomia ha perso la testa. Sono tutto cuore. Mi batte dappertutto”.
  302. Mi stringe Ale da una parte, mi abbraccia Michi dall’altra. Arriva Tom: “Ecco. Non ti posso abbracciare. Sei tutta occupata”.
  303. Con Ale picnic a Pianesse in un giorno di scuola.
  304. Il colanzo. Che poi sarebbe un brunch, ma declinato in italiano. Spaziale. Da rifare.
  305. I Gattini Esplosivi, il Patagatto peloso, Ticket to ride, i Coloni da due, Scotland Yard.
  306. Whatsapp da una stanza all’altra: “Se non perdi il filo del lavoro, hai voglia di una pausa sigaretta senza sigaretta e caffé senza bar in piazza vecchia?”. Ci troviamo in cucina.
  307. Un picnic accanto al Salto degli Sposi.
  308. “A noi due cosa ci tiene insieme?”. “Intendi oggi? Intendi adesso? Un mutuo”. Capita che si litighi feroci.
  309. Mi regalo un dizionario dei sinonimi e dei contrari.
  310. Le calze indecenti nel reparto scarpe della Decathlon. Ci sarebbe da vergognarsi. Ridiamo.
  311. Le chiappe argute e l’occhio interiore: doti materne.
  312. Vedo dei bambini con la cartella sulle spalle. Stanno andando a scuola. Mille vite fa era immagine scontata. Non lo è più. Commuovono.
  313. Cerco bellezze. Quando mi ritrovo a fare foto ad un collo di bottiglia rotto capisco di aver toccato il fondo. Deve esserci di meglio. Ho bisogno di meglio, ho bisogno di altro. In questo nulla soffoco.
  314. Domenica in Val Paghera. Picnic accanto alla macchina e formaggio d’alpeggio.
  315. Io posso andare dal parrucchiere e dall’estetista. Domani migliaia di ragazzi non potranno entrare a scuola. Serve esplicitare pensieri?
  316. Il Monviso vent’anni dopo. Lo avvicinerò lenta. Gli danzerò attorno, leggera e solida. Mi entrerà dentro gli occhi, dentro i piedi, dentro i passi, dentro il cuore. Lì resterà, insieme alle cose più preziose, ai ricordi più belli, alle conquiste più dolci.
  317. Un POC ed il frigo passa a miglior vita. Non va bene annegarlo innaffiando piante.
  318. Ikea, cibo giapponese, Gallizioli, Vello-Toline. Un martedì di vacanza dalla vita.
  319. La neve in Città Alta. Incanto di trine.
  320. La prima dose di vaccino Pfizer.
  321. Una C4 al posto della Dacia.
  322. “Goditi un po’ di pacifico nulla!” “Dentro il nulla mi perdo e mi abbruttisco”. “Calvinista pura”. “Maledetti cromosomi materni”.
  323. Racconterai, ma poco. Orrenda sensazione di doverti cavare le parole di bocca con le pinze.
  324. Sulla Martesana nutrie ovunque. La wilderness milanese.
  325. In 12 mesi faccio 23.000 km col Qubo. Una volta ero una che andava in giro solo in bici.
  326. Per cena riso bollito e Oki. Invidiabile sabato sera.
  327. “Sento qualcosa di insoddisfatto nel mio cuore. Sempre.” [Francesco Petrarca].
  328. Non vorremmo dormire mai. Ridiamo come mi pare non ridessimo più da molto.
  329. “Figlio, figlio, figlio” di Vecchioni sulla strada verso Siena. Non la conoscevi. Brividi e quasi lacrime.
  330. “Mi passate il marito della carta igienica?”. Tom e lo Scottex da cucina.
  331. La bruma del mattino avvolge Pianesse. Ho tre brioche nello zaino. Dormite ancora.
  332. Il 25 aprile leghiamo mazzetti di fiori ai cartelli delle via intestate ai partigiani. Raccontiamo il passato perché resti vivo.
  333. Inside out. Era ieri che guardava Peppa Pig.
  334. C. e la sua tamarra tatuata a pranzo da noi. Splendono di amore nuovo.
  335. La capanna nel bosco.
  336. “Mamma, ci sei? Riavvia il sistema”.
  337. Scrivo di getto i miei cinque motivi per cui vale la pena vivere. I cieli ed orizzonti infiniti dentro gli occhi; i baci, gli abbracci, gli occhi, la pelle ed i sorrisi che dicono tutto quello che non dicono le parole; le parole scritte bene [leggerle e scriverle]; la pasta al forno della nonna Giovanna; i sogni che bruciano cuore e piedi.
  338. Ale: “Perché le stesse cose sugli alberi si chiamano rami e quando sono per terra si chiamano bastoni?”.
  339. Mi perdo scendendo su Borno. Finisco in un nulla di rovi e scarpate. Cerco di non fare stupidate. Quando finalmente arrivo in una zona sicura, mi siedo. Aspetto che si plachino i battiti del cuore.
  340. Due giorni a Bologna. Quel panino alla mortadella, il museo per la memoria di Ustica, una ribolla gialla, l’infinita amicizia.
  341. All’Eleven, pranzo ed amicizia in un giorno di gennaio assolato.
  342. Catalogo: “I fatti di Milano al contrasto della peste, over Pestifero contagio del 1578”. Probabilmente attualissimo.
  343. Un pruno piantato, mani e manine sporche di terra.
  344. “Io però vorrei anche un po’ vivere senza patate”.
  345. In una mattina di sole, parcheggiata sul ciglio della strada con lo sguardo a spaziare sulla pianura srotolata ai miei piedi, l’ultimo incontro con la bergamasca dalle mani forti.
  346. “Oggi ho scoperto un vantaggio del lavorare in camera dei bambini. Mentre sono in call, posso giocare a Lego”.
  347. “Adesso basta. Devi fare il bravo e dormire. Tom, se non stai zitto e fermo, ti tolgo dalla cameretta dei bambini e ti sposto in cucina”. “Va bene, mamma. Allora spostami in cucina”.
  348. Spaghetti con agretti, feta, pomodori secchi e scorza di limone.
  349. “Tom, devi toglierti il pigiama prima di vestirti”. “Ah. Ecco perché i pantaloni erano così stretti”.
  350. Spesso dimentico il borsellino a casa. Satispay mi salva vari caffè.
  351. “Qualcuno è libero? Qualcuno mi legge?”. Così. A nastro. Ogni singolo giorno di asilo chiuso.
  352. “Non studia niente”. “Va bene così. Che non perda la sua frizzantezza dentro il nozionismo”.
  353. La lezione di pilates fissata alle 6.50 di ogni lunedì mattina è una vera barbarità.
  354. Tra “L’uomo puzza e ha da puzza’“ e i guantini degli allettati. Visioni difficilmente conciliabili.
  355. Casoncelli all’ombra del pergolato del circolino. Bouganville e luce verde di estate inoltrata.
  356. Un passaggio in motorino sui colli di Bergamo. Vento nei capelli oltre il casco. Avevo dimenticato quanto fosse bello e divertente farsi scarrozzare in giro in moto.
  357. “Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiare te, e al tuo odiare me”. Leggo e piango.
  358. In quarta elementare, Michi andrà a scuola da solo in bici tutte le mattine.
  359. Ritrovare il bigliettino che era stato la nostra bomboniera tra i ricordi della nonna.
  360. Provo a scrivere seria. Smetto di scrivere del tutto.
  361. Il weekend in Umbria. Ore al volante per stare dentro quell’abbraccio, quell’amicizia, quell’altrove caldo, riarso, splendente di libertà, possibilità, passi e vita pellegrina
  362. Mi sento prigioniera. Una cenerentola del 20. Secolo. Riottosa, però.
  363. “Buona questa pasta mamma. Cosa sono? Biro?”. “Penne, Tom. Penne”.
  364. Libro del 1666. Trovo una dedica manoscritta dell’autore. Mi incanto.
  365. Quando è bello, è proprio bello.
Pubblicato da: cri | 15 dicembre 2020

365: 2019-2020

  1. Il coronavirus, una pandemia mondiale, i mesi di lockdown. Con che altro vuoi iniziarli, questi 365?
  2. Ciao, nonna Giulia.
  3. “Dai, ragazzi. Andiamo. Vi porto al mare”. Io. I tre moschettieri. La Puglia. Una tenda. Due settimane. Una roba tra follia, incoscienza e coraggio erculeo.
  4. In un anno come questo il mare e ogni altrove sono stupore e vero dono.
  5. I reportage dalla lucotte, privilegio per pochi.
  6. Halloween a quota enne meno uno. Ale è dai suoi amici a fare festa. Diventa grande.
  7. Pane e salamina su un gradino dell’oratorio di Trenzano. Freddo umido e novembre della Bassa.
  8. Ai tavolini della Fontana una credenziale e una promessa.
  9. Per Tom la pasta con i broccoli si chiama pasta con gli alberelli.
  10. “Sei qui. Ma minchia quanto ci manchi”. Quel minchia dalle rive dell’oceano. Inelegante e struggente.
  11. “321 cose intelligenti da sapere prima di diventare grande”. Un mai più senza.
  12. Dopo dieci anni, torno a catalogare antico. Yeah.
  13. A Santo Stefano un giro in bici fino ad Iseo. Splendono il cielo, le Torbiere, il Guglielmo. Splendiamo noi.
  14. Le telefonate seduti in macchina nel parcheggio. Auricolari e giacca pesante. Capita che serva della privacy in mezzo al lockdown.
  15. Nella curva dopo Adro, perdo ogni controllo sulla macchina. Attimi che durano vite. Maledette gomme vecchie.
  16. Mi abita una stanchezza devastante. La mia vita non può essere solo lavoro e cose da fare e bambini da gestire e cene da mettere in tavola e crollare esausta.
  17. “Era sottinteso che il matrimonio fosse parte time. Diciamo dalle 19.00 alle 7.00”. Rivendico quel part-time.
  18. C’è una primavera che preme per nascere. E un inverno dentro il cuore.
  19. Tempi bui, se tocca cercare su internet risposte alla domanda: “Posso uscire a fare una passeggiata con i bimbi?”.
  20. La didattica a distanza, l’emozione delle prima videolezione, la mancanza quotidiana della nostra sorridente colonna portante, i ruoli che si confondono [“Non sai l’area del rombo, Ale”. “Tu non mi vuoi bene, mamma”].
  21. Spritz e bollicine al caffè degli artisti. Sole dei primi di novembre e bimbi a giocare poco lontano.
  22. “Grazie, sono un eroe”.
  23. Inaspettati tatuaggi sotto camicie a maniche lunghe. Insospettabili colleghi stupiscono molto.
  24. “Io non mangio mai con chi non conosco”. Ci sono prese di posizione che mi lasciano basita.
  25. 20.000 battute per raccontare uno dei giri da criceto nella nostra strada. Non serve andare lontano per sentire la vita.
  26. Silenzio e solitudine: questo è quello che mi è mancato di più durante le settimane di lockdown.
  27. Da Ginevra a Santiago a piedi. Vai, nonno.
  28. “Venite qui a dormire?”. Improvvisato accampamento pellegrino in provincia di Como. Grigliata a ranghi completi a seguire.
  29. Prendersi cura degli spazi comuni condivisi sempre. Necessità, obbligo, talvolta piacere.
  30. Della libertà, il sole, un giro in bici tutti insieme e una notte in tenda in giardino: non c’è regalo di compleanno più bello.
  31. Il bosco Arte Stenico.
  32. La prima birra del dopo lockdown sul lungolago di Iseo.
  33. “Voi insieme siete tutto. Dal bianco al nero, passando per ogni grigio”. Parole che dipingono un dato di fatto. Parole che illuminano il dato di fatto di una luce nuova.
  34. Dopo la macchina lasciata quasi sempre aperta, adesso anche le chiavi infilate per otto ore nella macchina aperta. Dici: “Non c’è speranza”.
  35. “Ma Ale soffre di aracnofobia?”. Nel giardino di casa una bambina, un ragno di gomma ed un mio strillo. Uno degli scherzi meglio riusciti dell’ultimo decennio.
  36. A Gardaland senza Tom. Quando usciamo due sono piallati e due no. Indovinate chi.
  37. Anche fare giri a piedi nei prati dietro casa pare trasgressione. Ma come siamo messi?
  38. Un invito a cena in roulotte. Torta francese e Dispettri.
  39. Com’è bello, quando è bello.
  40. Una cena in una calda casina nell’hinterland milanese. Eri ragazzina. Sei donna.
  41. Ale alla Scala. Il nonno pronto ad invitare a pranzo nel suo appartamento tutte le tre quinte elementari. “Tutti e 60 insieme no. Ma tre turni da 20 sì. Che problema c’è?”.
  42. A me non sta bene. A me non sta bene niente. A me non sta più bene niente.
  43. Cinque brioches in un bar sul lungomare. Ricongiunti.
  44. Mozzarelle di bufala e gorgonzola. Possono dei prodotti caseari essere commoventi? Possono sì. Chi c’era, sa.
  45. Caffè della Nespresso, fondente al 99%, sdraio accanto alla tenda e Kindle. Ci sono attimi che sono paradiso.
  46. Tom, neanche quattro anni, appena sveglio: “Oh ma dai, che stanchezza che ho oggi”. Come si fa a stare seri?
  47. Amicizia femminile a mollo nelle terme di Porta Romana. Tram e pioggerellina.
  48. Un globetrotter in Città Alta con la sua bici. Ascoltiamo, incantati e curiosi. Il mondo è dei folli e dei sognatori.
  49. L’abbonamento al buio a Iseo.
  50. Senigallia e Urbino in due fredde giornate di inverno.
  51. Catechismo scout al posto di quello tradizionale.
  52. Sento sempre. Sento tutto. Non so dissimulare. Non so non sentire.
  53. La Via della Seta.
  54. La tenda da uno. Non si sa mai.
  55. Ho fatto quattro chilometri. Ne avrei fatti quaranta. O quattrocento. O quattromila. Sono sempre in fuga.
  56. Un’amica di quando ero ragazza: “Avrei riconosciuto tuo figlio anche solo dalla consistenza dei capelli”.
  57. Le riunioni scout su meet. Fazzolettoni al collo e merende virtuali.
  58. “Mi sto innamorando del programma di catalogazione Sebina. Il che la dice lunga sulla mia vita sentimentale”.
  59. Dopo anni, una Guinness nella provincia bresciana.
  60. I tentativi di immaginarsi il poi. Esercizio inutile. Tentazione irresistibile.
  61. “Tom, chi comanda a casa tua?” “La mamma”. Bene. I fondamenti ci sono.
  62. Un mazzo di fiori di campo per la festa della mamma.
  63. Un sabato sera di amicizia nella casa che è stata set di “Rosso Mille Miglia”.
  64. Ognuno sulla sua macchina. “Avevi le tristezze?” “Sì”. “Le ho viste nello specchietto retrovisore”.
  65. “A te che io ti ho visto piangere nella mia mano, fragile che potevo ucciderti stringendoti un po’. E poi ti ho visto con la forza di un aeroplano prendere in mano la tua vita e trascinarla in salvo” [Jovanotti – A te].
  66. Pinocchio di Garrone al cinema per i maschi grandi.
  67. Il poster Wanderlust, quello di Sarlat, i quadretti con i disegni di un calendario di Internazionale.
  68. Tutti i sogni della notte. Tutti i sogni del giorno. A lungo non smetto di sognarli.
  69. Rifugio Parafulmine. Fiori lenzuolo, cielo coperta. Corrono veloci le nuvole. Accanto l’amicizia, di quella splendida. Que más?
  70. Continuano gli acquisti del GAS. La gratitudine per le verdure fresche ogni settimana in questi mesi di totale isolamento.
  71. I puzzle: droga, salvezza, sopravvivenza.
  72. Capita che io sia triste. Tanto triste. Triste dentro l’anima.
  73. Scopro una smodata passione per i carciofini sott’olio.
  74. “Sono dove devo essere”. “Ne hai fatta di strada, in questi mesi”.
  75. La prima edizione del Kapital di Karl Marx sulla mia scrivania.
  76. Incredibile. È il 10 dicembre e abbiamo già finito le uova di Pasqua.
  77. Rifiuto un’assunzione a 8 ore al giorno per 12 mesi. Dice il capo: “Non capita spesso”.
  78. La polenta in Franciacorta. Tradizione. Amicizia. Cammino. Felicità.
  79. Tutte le mattine di muffin sfornati per colazione.
  80. Quella signora che un paio di volte mi dà un passaggio dal parcheggio alle mura della città.
  81. La tenda squarciata, un ombrello a coprire il buco. Fa ridere ma funziona.
  82. Il desiderio di altro e di altrove. Mi brucia addosso. Non molla mai.
  83. Cena in una bella casetta di Alzano. Passano gli anni, non il bene voluto.
  84. “Volevo fare uno [s]chezzo a te”. “E cosa volevi fare?” “Ho ch[i]uso [gl]i occhi così non mi vedevi e pensavi che ero un lupo”.
  85. Un sabato mattina i bambini in Mai. L’incanto davanti ai mappamondi di fine Seicento.
  86. Degli amici si trasferiscono per un progetto del Mato Grosso. Mancheranno molto. Fa tenerezza il dolore che lascia l’assenza nel cuore di Michi.
  87. “Ce l’hai la carogna vintage?”. Nella notte di Natale domande surreali stemperano la rabbia.
  88. Un nostro nuovo gruppo Whatsapp: “Salute pubblica”. La dice lunga.
  89. Tutta l’energia mentale usata per gestire le troppe macchine che ci girano attorno. Uno spreco che genera tensione e nervosismo.
  90. Quelle sere tardi a camminare chilometri sul lungolago, quelle mattine prima dell’alba a macinarli in paese.
  91. “Per la prima volta ho visto la mia mamma non responsabile di se stessa”. Sono giorni difficili.
  92. Un sogno lungo 3.000 chilometri. A ver.
  93. “Adesso non lo dici neanche più tu”. “Ho paura dei tuoi silenzi”.
  94. Il campo invernale al Maniva. Neve e slittini come se non ci fosse un domani.
  95. Quando Tom dice “Tranquil” c’è un’unica cosa da fare, e questa cosa è: Preoccuparsi.
  96. Lego e castelli e giochi condivisi con una siepe in mezzo. Essere amici a 10 anni in mezzo ad una pandemia.
  97. “Mi fa male l’altro orecchio”. “Davvero?”. “No.” I primi di marzo, con la Lombardia in zona rossa, le fake news sanitarie domestiche sono l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.
  98. Le notti in tenda in Brianza [“Lets, come si dorme in tenda?” “Sdraiati”]. Parole e visi scoperti e amicizia a risorgerci da questi mesi di nulla e di fatica.
  99. Noi due in macchina. Una galleria. Un frontale rischiato. Non possiamo fare niente per evitarlo. Un pazzo contromano. All’ultimo sterza. Non riusciamo neanche a respirare.
  100. Tornare allo Strafess. Passi nella notte e lucciole nei campi.
  101. Le 12.000 battute di: Dieci cose.
  102. “Senza gesso, posso tornare a picchiare mio fratello”. “Perché, non l’hai picchiato, in queste settimane?”. “Sì, ma solo con la sinistra”.
  103. Un picnic al parco di Monza. Quindici anni fa eravamo tre amiche. Oggi siamo in quattordici.
  104. “Mettete qualcosa di rosso per la festa di Natale”. Rossi i pantaloni, la felpa, le calze della Kinder messe al collo come collana. Trendsetter inside.
  105. La colonna di mezzi militari a Bergamo, le fosse comuni nel Bronx a New York. Solo lacrime. Non c’è spazio per altro.
  106. Ho un unico desiderio per il giorno del mio compleanno: la pizza della Fontana. Via, si va.
  107. Monselice. La fiera, le luci nella notte, quell’atmosfera che mi incanta da sempre, la vista dall’alto.
  108. Il nostro Dobby. Calmiamo. Plachiamo. Abbracciamo. Urliamo. Sbrocchiamo. Siamo umani. Tutti.
  109. “Lo abbattiamo, il tizio con la cornamusa? Ci pensi tu?”. “Tra un attimo arriva Mark Knopfler e lo mena. Ma forte. E a lungo”. Bibliotecari vs artisti di strada.
  110. “Ringraziamo che abbiamo un senso di responsabilità parecchio alto. È l’unica cosa che regge, al momento”.
  111. Le urla di sempre e la solita mancanza di pace danno noia ad una pelle troppo infiammata da troppo fuoco e troppe cicatrici.
  112. Il referendum sulla settimana corta a scuola.
  113. Padova e Arquà Petrarca. Amicizia che si ritrova e Italia sempre bella.
  114. Quando la preoccupazione più grande che si ha è: “Non so chiudermi la giacca”.
  115. Tre concorsi letterari. Metto le maiuscole. Evito di andare a capo. Mi lascio giudicare.
  116. A lungo due sono gli obbiettivi: “Arrivare a sera” & “Arrivarci vivi”. Mi distrugge, la mancanza di prospettive ampie e orizzonti lontani. Guardarsi i piedi è l’unica via. La sera l’unica meta possibile.
  117. Tavolo apparecchiato bene un mezzogiorno di mercoledì. È bello avere tempo ed energia per prendersi cura di.
  118. “Davvero per tutto lo spettacolo abbiamo guardato un bambino che non era nostro figlio?”
  119. I fiori di campo tra Gae Aulenti, casa di ringhiera e Bosco verticale. Le diverse anime della mia città a contrastarsi e fondersi.
  120. “Qualcuno ha guardato gli orari della mostra?”. Ovviamente no. Ripiegare su una pizza al trancio.
  121. Entrare in casa ed essere accolti da uno che innalza questo cartello: “Protestiamo per Tommi che morsica senza motivo”.
  122. “Sei sicuro che il coniglio di Pasqua venirà?” “Ma no, Tom. È tutto fermo per il virus”. “Solo le persone non possono andare in giro. I conigli non li fermano”.
  123. I Nutella Biscuits nelle calze della Befana.
  124. Mai apprezzato così tanto la scelta di una vita periferica come ai tempi del coronavirus.
  125. “Non resta che pregare. È solo questione di tempo”. Ti accompagniamo dentro questo tuo tempo. E dentro ogni oltre.
  126. Con un tovagliolo ed uno stuzzicadenti diventano [quasi] tutti maghi.
  127. Fossombrone. Io miccia, tu acqua.
  128. “Finirà, prima o poi? Vero che finirà?”. Domanda di metà febbraio. Nessuno ancora sapeva in cosa stavamo per infilarci.
  129. B., leonessa attraverso la malattia.
  130. “Questa settimana non voglio cucinare mai”. Accenderò il gas solo per farmi il caffè al mattino. Quando i propositi diventano vita.
  131. A Milano, a trovare il nonno, un bimbo alla volta.
  132. I parcheggi romani e criminali. La multa, quel sabato mattina. Era solo questione di tempo.
  133. Una fetta di torta sul muretto del nostro cancellino. Amicizia dentro il lockdown.
  134. Dalla Toscana di corsa verso casa, sperando di fare in tempo. Faremo in tempo. È un dono grande.
  135. “Nel 1720 non era ancora scoppiato l’illuminismo”. “Usavano ancora le candele?” [Michi].
  136. Mi chiudo in camera. Non ci sono. Non voglio esserci.
  137. Abbiamo un nome. Anzi due. Ruspa e Ruggine. Manca solo il felino.
  138. “La Cri è così incazzata per la gestione della macchina a metano che stamattina se avesse potuto l’avrebbe fatta andare a nafta”.
  139. L’ordine online all’outlet dei dolci. Permette di salvare tradizioni pasquali.
  140. 2 gennaio: dito steccato. Benvenuto 2020.
  141. “Perché non siamo finiti in quarantena prima di avere figli? Perché? Sarebbe stato indubbiamente più divertente”.
  142. “Benvenuta pre-adolescenza”. “Dopo dovrebbe essere in discesa. Peggio di così non riesco ad immaginarla”. “Hai una fantasia un po’ scarsa, Cri”.
  143. Non mi capacito di come si possa vivere senza usare spesso la locuzione “Non mi capacito”.
  144. Chiusi su noi cinque, raccolti su noi cinque. L’amore a cerchio e andare avanti. Finirà, prima o poi.
  145. Quella sera a Lovere a mollo nell’acqua calda.
  146. Netflix e divano. “Andrei a casa”. Lacrime. Navigare di esule.
  147. Serratura della porta di casa di nuovo rotta. Alle sette di mattina esco dalla finestra della cucina come un ladro. Urge aggiustarla.
  148. “Dieci anni fa neanche io pensavo tu fossi così. Così abitata da nuvole nere. Così cupa. Così senza speranza”. Vorrei solo piangere. Vorrei solo piangermi. Lacrime per la me che ero e che non trovo più.
  149. Il mio “Cammino 2007 – Covid version”. Vestire quei passi di nuove parole mi è salvezza. Solo lì dentro mi sento viva. Non è la prima volta che mi sento viva solo dentro le mie parole scritte.
  150. Via Lepanto-fole e un aperitivo in una casa lì accanto. Calore che dura dagli anni in cui eravamo ragazzi.
  151. “Il pappa-gallo. La pappa-gallina” [Tom].
  152. Alle 7.00 del mattino – tazzina del caffè in mano – sto bollendo una pentola di spinaci. C’è di meglio.
  153. Amicizie milanesi e salamine bresciane nella radura del bosco.
  154. Ciao Popa, dolcissima tigre. Accompagnaci dentro ogni passo di ogni nostro cammino. Ciao Mirko, pettinerai gli angeli.
  155. In bici fino a Rodengo. Tom a ridere e chiacchierare e dormire dietro di me, caschetto a picchiarmi nei reni. Fuggo dalla quotidianità che mi distrugge. Trovo fatica fisica, libertà, amicizia e pezzi di cammino.
  156. Quando si blocca SBN e poi riparte appena torno a casa. O mi vuole vittima sacrificale per ripartire, o porto sfiga.
  157. “Come sono belli e preziosi i libri che ci hai preso in biblioteca, mamma”. Non c’è più niente di scontato.
  158. La panchina gigante di Fonteno.
  159. La sensazione che si sia sempre alla rincorsa. Poi certo. Ormai siamo diventati bravissimi a rincorrere.
  160. Dopo due anni, l’ultimo giorno di lavoro a Rovato.
  161. Gentilezze fraterne. “Tu sei un po’ un cretino”. Un attimo di pausa. “Anche senza un po’“.
  162. La premiazione a Magione. Vestitino nero, collana etnica, emozione ovunque, sorriso dentro gli occhi.
  163. “Per l’amore del cielo, Guido, non disturbarti a scendere”. Alcuni bambini sono adultini.
  164. I tuoi fine settimana da solo in montagna. Cime e libertà e niente e tutto. Torni a essere quello che eri.
  165. Donatella Albini e Mediterranea. “Non sono numeri in fondo al mare. Sono uomini in mezzo al mare”. Serve restare umani. È necessario restare umani.
  166. “La parte di più buona dell’uovo è quella gialla. Sa di conchiglie e di farfalle” [Tom].
  167. A enne meno due libreria rimessa a posto e Strafess.
  168. Pranzo di Natale da Mimmo. Bibliotecari e Vermentino.
  169. Una nuova fettuccia di stoffa blu attorno al mio polso. Santiago, cammino ed amicizia sulla pelle oltre il mare.
  170. “Mi fa paura. Quando lo buttiamo, quel coso? Non mi piace”. Per Tom il drago di cartone non ha riscosso alcun successo.
  171. L’ultimo giorno di quinta elementare [in videochat, sigh!]. La prima riunione per le scuole medie. Quando è diventato così grande, Ale? Quando?
  172. Esiste una donna da smalto rosso “Lover” che mi abita. La scopro oggi. Mi piace.
  173. Erano numeri, corpi altri, semplicemente gente. Ora no. Ora non più. Ora è la mamma di un amico di Ale ricoverata al Niguarda. È un passaggio che andava fatto.
  174. “Perché fai bollire le patate, mamma? È una ricetta che hai inventato tu?” Quando aggiungo una scatoletta di tonno mi sento pronta per Masterchef.
  175. Un sushi milanese prima del lockdown.
  176. Il Tibi online.
  177. Puy de Pariou e lago vulcanico.
  178. Dalla Brianza “This storm will pass”, reportage dalla quarantena.
  179. Una riunione di lavoro in un bar in Stazione Centrale. Erano telefonate e mail. Diventano capi e persone.
  180. Canoa e pedalò sulle acque francesi.
  181. Un weekend a Comano. Quella chiacchierata lì, in piedi in quella stanza. Amicizia schiva e presente. Occhi lucidi.
  182. Il tubo di caramello al burro salato ready to eat, vera perdizione.
  183. “La fratella di J.” [Tom].
  184. La sensazione di possibilità e libertà che dà il tornare a guidare dopo mesi [in aprile la Dacia ha fatto 10 km]. Il brivido dell’autostrada.
  185. “Io lo so che mi volete bene. Quando sono arrabbiato, però, me lo dimentico”. “L’importante è che tu lo sappia, muso. Ricordatelo sempre”.
  186. È sempre più facile amarsi dentro la distanza. Come se rendesse vive le cose, il non aversi accanto.
  187. Dormire in una camera di principesse nella notte di capodanno.
  188. “Tom, eri tu che picchiavi contro le porte dei box?” “No, era un bastone”. “E chi aveva in mano quel bastone?”. “Io!”. Ecco.
  189. Quando si può tornare al supermercato solo per il gusto di comprare un paio d’etti di crudo con cui festeggiare.
  190. “Crueza de Ma – Omaggio al Mediterraneo” a Chiari. Letture e Alessandro Adami.
  191. In una Roma sferzata dalla pioggia, su un sagrato di San Pietro vuoto e livido di sera che scende, alla luce arancione di lampioni lontani, il cielo di quel blu che precede il nero, il Papa, solo, prega per la fine dell’epidemia.
  192. “Non mi vanno via le [l]ac[r]ime”. E giù singhiozzi.
  193. I primi disegni antropomorfi e le prime lettere a scrivere traballante il suo nome.
  194. Pausa pranzo. Corriere sul PC. Coronavirus in Italia. Tre casi in Lombardia. E adesso?
  195. Di profilo, sono bagnata di una luce di sole che oscilla tra il bianco ed il blu. Diranno: “Bella foto. Ti si vede per metà: quella felice”.
  196. Mi lascio avvolgere da piumini caldi e leggerissimi in una stanza di un B&B fighissimo. Seguono riflessioni sull’urgenza e sulla sua mancanza.
  197. “Alessandro Magno e Carlo Magno sono della stessa famiglia? Hanno lo stesso cognome”.
  198. A lavorare di lima sulle parole per mascherare dolore.
  199. “Ah, si può arrivare al campeggio anche per questa strada”. “No, Tom. Il fatto che il navigatore ce l’abbia voluta far fare e che il papà l’abbia fatta non la rende una strada. Rimane un campo”.
  200. Tre domande di Tom ad un prete: “Chi è Gerusalemme. Chi è Dio? Dov’è il bagno?”.
  201. Tom: “Mi sono portato avanti. Ho già pensato un sogno. L’avevo già fatto l’anno scorso. Stasera lo posso risognare”.
  202. Dopo “i miei anni zero” i miei anni dieci.
  203. Andrei a dormire. “Stanchezza o rabbia?”. Mi conosci. Strategia dell’opossum.
  204. L’hummus di barbabietola. Molto instagrammabile.
  205. Il picnic alle Torbiere, il sabato dopo Codogno. Sole e vestiti di carnevale. Pareva normalità. Già non lo era più.
  206. Sulla scrivania accanto alla mia un volume che pare sia stato stampato nel 1492. Quell’anno Colombo prendeva il largo.
  207. “Scrivimi delle cose carine”. “Ho appena iscritto Tom al Grest”. Il romanticismo al terzo figlio.
  208. Tra smartworking, DAD e parole da scrivere trovare uno slot libero al PC è più difficile che trovarlo all’Esselunga del clicca e vai.
  209. Una canzone mi traghetta nel nuovo anno. Quel ritornello è per me. Davvero è tutto per me.
  210. “Prendi due sedie che io prendo la birra”. Le chiacchiere in quel giardino dietro Stefini diventano appuntamento da non perdere.
  211. A tarda sera passa la Protezione Civile con il megafono. Pare film e pare guerra. Ci guardiamo di uno sguardo perso e smarrito.
  212. “Mamma tu sei come una chiesa. Sei il punto di riferimento della città”. E con questa leggera eredità, buongiorno.
  213. Sul filo di lana, Wildlife Photographer of the Year anche quest’anno.
  214. Piazza Vecchia avvolta nella nebbia una sera d’inverno. Incanto puro.
  215. La chat: “Tutti…”. Ma quanto è bella? Ma quanto siete belli, amici?
  216. “Chiamiamo la Polizia Locale”. “E cosa gli diciamo, Tom?”. “Gli diciamo che basta, che noi adesso usciamo perché siamo stufi di stare chiusi in casa.”
  217. I colori della Vallée des Saintes, i camini delle fate, gli uomini che giocano alla pétanque e quei campi di girasoli.
  218. Mai più insegneremo ad un figlio ad andare in bici.
  219. Una carrambata con il nonno in terra francese.
  220. “Continui a ferirmi. Per costruire te distruggi me”. “Continuiamo a ferirci. Per costruire un nuovo noi distruggiamo un noi”. Abbiamo spesso le ossa rotte.
  221. La regina dei vocali, che è anche la regina dei balconi. Impossibile non amarla.
  222. “Ma tu sei andato a scuola con quei pantaloni?” “Sì, perché?” “Sono quelli del pigiama”. “Ah. Pazienza”. Infatti li metterà anche la settimana dopo.
  223. “Dove finisce il cielo?”.
  224. Le spese folli al super. Lo scontrino da 380 euro e quella scorta di cioccolato fondente.
  225. La voglia di andare, la forza di non farlo. Arriverà il lockdown a togliere qualunque velleità obbligando tutti dentro lo stare.
  226. “Ciao. Sono Peppa Pig”. Diventerà tormentone. Rideremo ogni volta.
  227. “Le sei uova fresche che ci hai portato, inaspettate e preziose, sono una delle cose belle di oggi”. Ripartire dal piccolo.
  228. L’alba ed il tramonto del 31 dicembre. Splendore che pare fuoco.
  229. La capanna nel bosco, il sentiero dei ponti, un temporale che gira sulle nostre teste. Dei cestini di fragole poi.
  230. “Lasciamoli stare. Stanno facendo le cose romantiche”. Urge spiegare che bere caffè e aprire un pacco di taralli non è da considerarsi cosa romantica.
  231. Faccio una telefonata che mi costa parecchio. “Sei stata brava”. “Lo so”. Seguiranno lacrime e abbracci che perdonano. Rimarranno cicatrici.
  232. Il video dello smartworking di una hostess. Per giorni rideremo fino alle lacrime.
  233. Il tuo dente nuovo.
  234. Colazione al bar e ibuprofene. Per settimane il Brufen mi è un mai più senza.
  235. Il trabucco e la ciabatta in mare.
  236. Doveva essere solo un saluto veloce. Saranno due ore in un cortile dell’hinterland milanese a raccontarsi ferite, cadute, dolore, vita.
  237. A volte mi chiedo a cosa vi servo. Mi pare stiate così bene, senza di me.
  238. “Ho traslocato”. Una domenica pomeriggio – gli amici in sala a fare merenda – Ale si è fatto il suo nuovo letto in cima al castello più alto.
  239. “Vai a fare la pipì?” “Sì”. “Ma tu non hai il pisello”. “No, ma ti assicuro che anche io faccio la pipì”.
  240. A cena Ale ha freddo. Michi gli porta una coperta, schivo e gentile. Si semina. A volte si raccoglie.
  241. Il primo DPCM. Alle due di notte seguo la conferenza stampa in diretta. Poi no. Poi diventerà telenovela.
  242. Il Museo Etnografico di San Michele all’Adige. Incontri umbri declinati in Trentino.
  243. Doveva essere una notte di amicizia in un bivacco sopra la pianura, diventa Casa delle Ortensie, vino rosso, pane, salame e giallone ad accompagnarci nella notte dentro parole che non finiscono mai.
  244. Ci sono amici che sono così speciali che possono essere invitati a cena per poi dire: “Bene. Divertitevi. Io esco. Ciao”. Riderne anche mesi dopo.
  245. Un puzzle di noi cinque. “Perché siamo a pezzi?” “Perché possiamo ricostruirci”.
  246. Una cena aziendale a Bardolino. Siete tutti fighissimi.
  247. Quella foto che ci facciamo accanto al muro di Santa Rita. Mascherina e occhi che ridono. Prima uscita dopo il lockdown.
  248. A Piazzole, 13 anni dopo l’alba del centenario.
  249. In paese per una commissione. Vai tu. Io non ho più voglia. Non ho più nessuna voglia di uscire. Mai. Sindrome di Stoccolma.
  250. Ciao Berlingo. Benvenuto [in-]Qubo.
  251. “Io da grande farò l’osservatore di spugne. Sintetiche” [Ale].
  252. “Un 365 mi ha colpito in particolare perché l’ho sempre pensato”. “Quale?” “Il 265. Il pezzo tra virgolette”. Divento rossa.
  253. “Quando attraverserà l’ultimo vecchio ponte ai suicidi dirà baciandoli alla fronte venite in paradiso là dove vado anch’io perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio” [De André – Preghiera in gennaio]. Ciao C., ciao K., ciao L.
  254. “Non sto facendo i capricci. Sono lagne, queste”. A quattro anni, consapevolezza e proprietà di linguaggio sono tutto.
  255. Degli amici arrivano in moto sulle rive del Trasimeno per essere felici della mia felicità.
  256. Esci dalla superstrada solo per asciugarmi le lacrime che sto piangendo. Un po’ abbracciati, un po’ lontanissimi.
  257. Tra Brianza e Franciacorta, le birre a metà strada.
  258. “È stato un lungo cammino”. “I lunghi cammino sono pane per i vostri denti. E poi di solito portano in posti bellissimi”.
  259. Il museo Michelin, ma letto all’italiana.
  260. Ruota tutto attorno al cibo. Deciderlo. Pianificarlo. Comprarlo. Cucinarlo. In una settimana metto in tavola 70 coperti caldi, 21 merende, 35 colazioni. Sfiancante attività.
  261. San Galgano, il bagno nel fiume, i giri sul Massif, la finestra spalancata su stelle, notte toscana e colline lontane.
  262. Il campeggio olandese nel bosco. Quelle notti di Via Lattea a farci da coperta.
  263. Germogli di lenticchie crescono in gusci d’uovo.
  264. Carta da lucido e matita nelle mie mani. Mai successo prima. In 10 minuti usciamo da un compito di inglese che è pura follia.
  265. Non sono donna da ritmi lenti. Dentro al fare trovo pane per i miei denti, un freno alla mia inquietudine, della serenità possibile. Non serviva la pandemia per saperlo. Il lockdown è solo brutale conferma.
  266. Belluno Veronese e Rovereto. Una domenica di amicizia in trasferta.
  267. “Tom, hai perso le ciabatte nel primo campeggio, adesso non rompere le scarpe. Se no con cosa vai in giro?” “Con le calze”.
  268. Un aperitivo nella notte milanese con ex-colleghe. Da quanti anni non ci vedevamo?
  269. “Se volete darmi la mano, dovete prendere appuntamento”.
  270. La giornata dei genitori a Irma.
  271. I martin pescatori. Lampo azzurro e frullo d’ali.
  272. Due tramonti dal Trentapassi, in bici fino a Sale Marasino, a Bergamo di notte. Ogni sera è un’occasione. Non ne sprechiamo una.
  273. Geocaching. Non mi appassiona per niente. Voi vi divertite come matti.
  274. “Se quella brioche della pasticceria non smette di chiamarmi, non rispondo di me”.
  275. Servirebbe smettere di leggere i giornali in modo così compulsivo. Servirebbe smettere di parlare sempre e solo di coronavirus.
  276. In macchina con un asciugamano pieno di sangue e un bimbo spaventato.
  277. Cala la decina sulla bilancia. E vai.
  278. Mi preparo per un matrimonio. “Vado bene così?” “Sembri una donna”. È tutto dentro quel sembri.
  279. Il nonno usa whatsapp.
  280. L’anellino di Sarlat.
  281. Tanti i motivi per cui si sta insieme. Anche l’amore. Anche la paura.
  282. Il verbo “polemicare”.
  283. I giri da criceto nella nostra via e quelli attorno all’isolato, quando saremo avventurosi e trasgressivi.
  284. “Si stanno tagliando le unghie in giardino”. “In giardino? Ma che schifo”. “Volevano farlo sul divano”.
  285. La prima pizza post-lockdown alla Fontana e la goduria di un caffè al bar.
  286. “Stanotte hai pensato a Santa Lucia, Tom?” “Stanotte ho pensato a tutti”.
  287. La trilogia. È dono.
  288. Su un divano in Brianza l’amicizia nei primi tempi del coronavirus. È strano non abbracciarsi. È surreale la naturalezza con cui già teniamo le distanze. Scalda di sicurezza il cuore sapersi così amiche.
  289. “Volevo essere una luna bambina. Anzi, un luno bambino” [Tom].
  290. Il telefono mi cade dentro il giardino di una villa della Bergamo bene affacciata sui colli. Due scatole di cioccolatini e un biglietto scritto a mano davanti all’uscio ringrazieranno a posteriori.
  291. Il mio thermos. Non mette certo in discussione la pausa sigaretta.
  292. Lo spiralizer.
  293. Papaveri rossi contro il cielo.
  294. In un terso pomeriggio di fine dicembre la carta da regalo accanto al letto e le forbici nelle mie mani disvelano magia. Si sgretola un’infanzia. Diventa complicità.
  295. Il lago di Lova e diga del Gleno. Con i bimbi per mano torniamo a camminare dislivelli.
  296. Tom: “Quella cosa che urla dalla camera non è un fratello, è una scimmia”. Già.
  297. Michi e il saggio di capoeira.
  298. “Non era questa la vita che volevo. Così è uno schifo”.
  299. “La tua voce grattugia la protuberanza delle mie orecchie”. Da “Mostri contro Alieni”, ma attualissimo.
  300. Un cartone ogni tardo pomeriggio, delle serie tv dopo cena. Serve distrarsi.
  301. “Ma tu mi vuoi bene, mamma?” “Certo che ti voglio bene. Ma che domanda è?” “Nel libro che sto leggendo dicono che le streghe non vogliono bene ai bambini. Volevo capire se eri una strega”.
  302. “Sono qui. Ti basta?”
  303. Esercizi di parcheggio nella notte bresciana. Una cosa è chiara: un buon parcheggio a bordo strada per me è solo fortuna.
  304. Il giro in bici fino alla spiaggetta di Pilzone. Il sole al tramonto. Profilo di maschietti seduti sul molo.
  305. Mi distrugge la diffidenza della gente. Io, che mi capita di andare a dormire con la porta di casa aperta.
  306. Castagne a chili e amicizia a Montisola.
  307. “Cosa fai quando finisce?” “Suppongo di dovermi tenere i figli per sei mesi almeno”.
  308. Nonno e amicizia sarda davanti al Duomo.
  309. Ci sono soluzioni. Sarebbero sconfitta. Sarebbero salvezza.
  310. Con un’amica una mattina alla piscina dell’albergo Cocca a Predore. Serve essere gentili con sé stesse.
  311. “Come stai tu?” “Meglio di ieri. Sono fiducioso”. “Tu sei sempre fiducioso. Io sono sempre incazzata”.
  312. Su Meet con gli “80 e dintorni”. A Londra non ci sono più né uova, né farina. Anche le verdure scarseggiano. Mai avrei pensato che tra amici avremmo parlato di possibile carestia.
  313. “Gentile scrittrice”. Wow.
  314. Mollo la scrivania in Città Alta per recuperare Michi che sta male a scuola.
  315. Mi pare che rispetto a noi i bimbi si adeguino al Covid-time con più scioltezza e più leggerezza. Hanno meno nostalgia e meno rimpianti. Poi certo. Arrancano anche loro.
  316. Tschurtsch Keller. Gerstesuppe, Landjäger e Weizen. Stra-spaziale, direbbe Tom.
  317. “Può essere un tempo di famiglia tutti insieme molto bello. Cerchiamo di sfruttarlo bene. Se ognuno fa il suo, ce la possiamo fare”. Vero. Più arduo far diventare vita queste parole.
  318. “Che delicatezza. Senti che delicatezza questo guanciale”. Catalunya romana sopra una padella che sfrigola in cucina.
  319. “Dov’è il sole?” “A nanna”. “Dov’è il suo letto?” [Tom].
  320. A cena in Stefini. Nove anni che non mangiavo più al tavolo di quella sala.
  321. I primi macarons. Buoni, ma sopravvalutati. Detto questo un giorno a Parigi Ladurée mi avrà.
  322. L’abbonamento al Corriere della Sera.
  323. Michi. Quelle nuvole nere che lo abitano e in cui abita. Sfiancano e preoccupano.
  324. Un addio al nubilato tra gli alberi, una caccia al tesoro in giro per Milano in bici. Da quanti anni non pedalavo più nella mia città?
  325. All’improvviso fare mente locale che per cinque notti saremo a quota enne-meno-enne figli. Splendida consapevolezza.
  326. Un sabato sera tre bibliotecari alla trattoria Caironi. Casoncelli, polenta, stracotto e vino rosso.
  327. È parecchio faticoso essere incessantemente abitata dalle parole.
  328. Quella mattina sul letto a leggere i racconti del forum dei PPS.
  329. Tre parole. Tredici lettere. Non serve altro per dirsi tutto quello che c’è da dire.
  330. Smontare il lettino con le sbarre e il top del fasciatoio. È finita un’epoca.
  331. “Vuoi che venga a prenderti in macchina?”. Dal parco giochi a casa sono 800 metri. Mi impongo di farcela, ma striscio.
  332. Charlie Cinelli. La me milanese inorridisce. La me bresciana ascolta attenta. La me scrittrice passa la sera a cercare l’aggettivo giusto. Forse sexy, alla fine.
  333. La prima mascherina non si scorda mai.
  334. Esiste il per sempre? Ho addosso cinismo e disillusione. E mi spiace. E non vorrei. Ma questo è.
  335. Finalmente i mercatini di Natale in Alto Adige. Tutto qui?
  336. Austria, Grecia, Francia. C’è chi ha il topo dei denti globetrotter.
  337. La linea guida che segna le nostre decisioni è: “Niente che non sia indispensabile”. L’indispensabile è creatura mutevole e multiforme.
  338. Quella notte nella doccia in cantina. L’amaro sulla pelle.
  339. Un possibile lavoro a Chiavari. A lungo lo prendo seriamente in considerazione. Sarebbe fuga, ma legittimata.
  340. Al Braciere pizza tra donne.
  341. Partiamo per le Marche. Al golf dico: “Lasciatemi qui. Non ce la posso fare”. Saranno 400 chilometri e quattro giorni parecchio lunghi.
  342. Venezia, San Paolo, Bergamo. Quest’anno il lavoro non manca.
  343. “L’acquarello bianco non esiste. Devi essere bravo e preservare il bianco del foglio”.
  344. Le videolezioni di pilates e un’app per gli addominali.
  345. Harry Potter. Chi sa leggere, lo legge o lo rilegge. Magia che strega, ancora e sempre.
  346. “Ma ti fidi a lasciarla andare in giro da sola, la Cri? È così…” “Figa?” “Sì, figa”.
  347. Un’ora e mezza di colazione. Un tempo così lento, un tempo così nostro. Non capita mai.
  348. La promessa di Michi a Piazzole. Fuoco nel bosco, emozione su labbra e occhi.
  349. Passi nella neve in Val Sarentino. Passi sul tracciato della vecchia ferrovia che parte da Egna.
  350. “Mamma, vero che io sono il tuo sacco di pulci?”
  351. La scatoletta azzurra e il tuo momento.
  352. Maschi ai Fontanili del Guercio. Ragazze in casa, a dormire senza peso due ore in un sabato pomeriggio.
  353. Presepe e albero di Natale in autogestione. Finalmente. La Grinch che è in me ringrazia.
  354. Durante e lo Divin cammino. Chapeau.
  355. La Valle delle Cartiere.
  356. In macchina nella Bassa. “Quando sei stato felice l’ultima volta?”. Silenzio.
  357. Da Adro a casa a piedi passando per il golf. Viene giù a secchiate. Mi faccio lavare dalla pioggia. I fari delle macchine mi illuminano nella notte.
  358. Ho sempre addosso la sensazione di lasciare per voi solo i resti sfilacciati della mia energia.
  359. La casetta in giardino. Bancali ed entusiasmo.
  360. “Come si chiama quella bambina che piange?” “Come faccio a saperlo, Tom?” “Secondo me lo sai perché sei magica”.
  361. Tom: “Papà, cos’è la vita?”.
  362. Bauernhof, Dobble e Labirinto. Non si dica che non abbiamo giocato insieme.
  363. Un’opera d’arte che nasce tronco selvaggio di bosco e diventa scultura.
  364. Un passo alla volta. Oggi. Stamattina. Adesso. Il domani, domani. Più di questo non è concesso.
  365. “Ho finito le zucchine. Sono ancora sano, ancora vivo e finalmente contento”.
  366. Le immagini del mio stato su whatsapp. C’è della bellezza. Serve cercarla. Trovarla. Fermarsi e fermarla. Condividerla. È minuscola. Ma regge, solida.

Pubblicato da: cri | 6 dicembre 2019

365: 2018-2019

  1. Un anno che è stato lungo infiniti giorni. Infiniti anni. Infinite vite. Non va bene. C’è un motivo per cui gli anni finiscono, dopo 365 giorni. È faticoso, un anno così lungo.
  2. Vetro e diamante.
  3. Tre notti a Vendrogno. Amicizia di anni, bambini che crescono, una casina nuova e bellissima, la pioggia oltre le finestre.
  4. Dell’inquietudine. Dell’essere altrove. Del cercare pace.
  5. Dico a Tom che è noioso. Dice, offeso: “Io no gnam-gnam.” Cioè. Dice due parole in croce, non ha tre anni e già fa polemica e sciopero della fame? Davvero?
  6. Pare ce ne sia uno che legge con la pila sotto le coperte. Dicono: “Averne di figli così trasgressivi.”
  7. La teoria dei vortici.
  8. Il caffè freddo. Droga greca. Kit per autoprodurlo in terra bresciana. Felicità a buon mercato.
  9. Murubutu e Pathos. Bellissimi regali. Diventano colonna sonora del mio sentire.
  10. La fiamma di Betlemme. Resiste parecchio. Fioca. Mai arresa. Che sia di buon auspicio.
  11. Di onde alte metri. Di spruzzi. Di muri d’acqua che sono cattedrali.
  12. A lungo le fiamme di Notre Dame appiccicate dentro gli occhi.
  13. Tre fungaioli e la visita guidata all’eremo di Camaldoli. Quel portone.
  14. Dei braccialetti da niente viaggiano su e giù per l’Italia. Dicono il bene voluto, l’amicizia, l’essere fratelli e sorelle.
  15. “Tom, vieni che non è aria. La mamma scrive e se potesse ci spedirebbe su Marte” [Ale].
  16. Martedì grasso. Compare sul tavolo un uovo di Pasqua. No, non siamo in anticipo.
  17. La colazione all’asilo per la festa del papà. Dici: “È stata una mattinata bellissima.” “Buono potto atte” è tenerezza che scioglie.
  18. San Giovanni Bianco 15 anni dopo. Solo quando arrivo lì, ricordo bene quella sera d’estate lontana.
  19. Il vostro week-end piselli sul lago d’Idro.
  20. Come se ci fossero dei cicli creativi. Come se ci fossero dei cicli generativi. Ogni volta la gestazione si fa largo a spallate dentro di me. Il mettere al mondo è tutt’altro che indolore.
  21. Del precipitare. Del raccogliere. Raccogliere. Ancora raccogliere.
  22. Paga, l’onestà? O ferisce e basta?
  23. Di notte stesa a terra. Addosso le guglie della cattedrale di Santiago. Mi abita un sorriso che è vita e felicità.
  24. Linus e Cop dieci anni dopo.
  25. Ale e Michi vanno da soli alla fermata del piedibus. Sono progressi.
  26. “Mastica e sputa, da una parte il miele. Mastica e sputa, dall’altra la cera” [De Andrè].
  27. La Valle del Freddo. Genziane e stelle alpine a 300 metri di quota.
  28. Il soffitto degli appartamenti privati della fortezza di Salisburgo. Mai vista bellezza analoga.
  29. “Chi è stato?.” “Io no.” “Io no.” “Io no.” Queste sei parole che escono da tre bocche bambine hanno il potere di tramutarmi in un attimo in una belva.
  30. Delle cicatrici. Sono vita. Saranno vita.
  31. Tom entra come piccolissimo alla materna. Ultimo inserimento. Yeah.
  32. Prendo la prima multa della mia vita. Al netto della tolleranza, 0.7 km di eccesso di velocità. Sa un po’ di beffa.
  33. “Sono il fato del nord.” “Il fato, Ale?” “Sì. Una femmina è una fata. Io sono il fato.”
  34. Mostra “Wildlife photographer of the year.” Noi due con anche Ale nell’inedita veste di figlio unico.
  35. Due volte in una settimana a Santa Maria del Giogo. Requiem e rinascita.
  36. I piaceri di Bertolt Brecht. Quelli dei bambini di quarta. I miei, a seguire. Quelli degli amici che giocano. Gratitudine per la maestra di Ale che offre opportunità di pensieri e di parole. E non solo a chi ha nove anni.
  37. Al centro commerciale. Due macchine in esposizione nello spazio davanti al supermercato. Dice Tom: “Non è posto dove parcheggiare.”
  38. “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce” [Leonard Cohen]. Ci sono amici che sono molto preziosi.
  39. Farfalle e giraffe. Sono mesi ricchi di fauna.
  40. Un desiderio di “infiniti silenzi, ma di quelli buoni [cit].”
  41. C’è sempre qualcosa o qualcuno, prima di me. Sa essere fatica improba, questa consapevolezza.
  42. La varicella. Stringere i denti e portare pazienza. Per certo è l’ultimo giro.
  43. Uno scherzo con l’acqua alla fine di una pausa pranzo su un marciapiede all’ombra fa ridere di bellezza e leggerezza. Serviva.
  44. “Occhi me.” Che sarebbe “guardami” per Tom. Adorabile e geniale.
  45. Io. Infiniti io. Mi abita tutto e il contrario di tutto. Tenermi insieme è impossibile.
  46. Farsi acqua, diventare fiume. Obbiettivo a cui tendere.
  47. Ale: “Ti voglio tanto tanto tanto tanto anche troppo bene.” Io: “Anche io ti voglio tanto tanto tanto bene. Ma non troppo. Perché il bene non è mai abbastanza.”
  48. “A cosa avete giocato?” “Al rifugio segreto.” “E dov’è il rifugio segreto?” “Mamma, è segreto. Se te lo dico non è più segreto.”
  49. Quell’occhiata appena messo piede sulla spiaggia sarda. Quel togliersi i vestiti. Quel tuffo al volo. Quella follia. Quell’amicizia pellegrina. Quella gioia bambina. Quella felicità agognata. Nessun ruolo, nessuna responsabilità. Solo mare trasparente. E felicità addosso.
  50. Finirà la pioggia? Finirà la neve? Finirà l’inverno?
  51. A Tom continuano a non piacere le patate. Disdegna anche pesche, albicocche e meloni. In compenso mangia hummus piccante, cavolo in insalata, cipolle crude.
  52. L’oh-ma tormentone pre-adolescenziale.
  53. A Milano con amici di qui. Quattro adulti, sei bambini. Le mie strade di allora. La mia vita di adesso.
  54. Marco d’Agrate: San Bartolomeo decorticato. Géricault: la Zattera della Medusa. Chagall: La passeggiata.
  55. Quella taverna sulla spiaggia greca. Quella musica. Quelle lacrime, poi.
  56. Sipario mannaia. Sipario dolcezza.
  57. Pare che io faccia sempre le cose giuste. Pensavo fosse giusto. Pare di no. Fare sempre le cose giuste potrebbe non essere giusto per niente.
  58. Caravaggio al cinema.
  59. Le volte in biblioteca da utente. Sala studio e pc acceso.
  60. Il mare da dentro il mare.
  61. Popotte. Che sarebbe buonanotte.
  62. Una Ipa una sera è arrogante ed esigente. La sera dopo si è calmata e avvolge con maschia morbidezza.
  63. Uso chiodi di garofano confezionati dalla Rinascente nel 1965. In confronto quelli della mia mamma trovati l’anno scorso da consumarsi preferibilmente entro il 1989 erano assolutamente freschi.
  64. Una martellata ben assestata sullo stabilizzatore concede vacanze. Gratitudine per il nostro meccanico preferito e tutt’altro che delicato.
  65. “Tom, saluta don Severino.” “Tao, don Sedelino.”
  66. Schiena dritta. E andare. Vado. Non è la prima volta. Non sarà l’ultima.
  67. Pensare alla visita filtro dalla pediatra come momento di serenità dà l’idea di come sia il clima qui in casa.
  68. Ci sono giorni in cui è tutto calmo. Tutto tranquillo. Tutto limpido. E sono giorni che permettono di respirare. Di almeno tirare il fiato.
  69. Pane sciapo e lemon curd a colazione nella provincia toscana. Bella l’amicizia. Bello essere coccolati.
  70. Dei giorni tutti per te. Un matrimonio a Matera. Poi torni. E sei qui. E sei a casa. E sei casa.
  71. “Mamma, io a volte mi chiedo perché sono nato.” “E che risposta ti sei dato?” “Nessuna. Ci sto ancora pensando” [Michi].
  72. Tubi di baci Perugina in offerta. Ne prendo uno. Con un sorriso sbarazzino sulle labbra, te lo do dicendo : “Solo perché era in offerta.” Ma sappiamo tutti che non è vero.
  73. Le birre in Brianza, quella sera. Tornando a casa, ottanta chilometri di lacrime.
  74. 21 anni dopo, su un traghetto greco. 21 anni dopo, su una delle Cicladi.
  75. “Ciao, musi.” “Ciao, musa.” Wow.
  76. Ale agli scout in ciabatte. Non c’è limite all’essere stordito.
  77. Per carnevale, Tom e io ci vestiamo da lumache. Che poi. Lui potrebbe anche parere una lumachina. Io più che altro sembro un Ferrero Rocher dorato, gobbo e cornuto. C’è di meglio.
  78. Dentro un attimo di quotidianità stiamo bene noi tutti insieme. Ed è bello, stare bene noi tutti insieme. È sempre bello, quando succede.
  79. Troppa vita dentro. Troppa energia addosso. Troppo tutto. Scrivo. E cammino. E mi ammazzo di fatica fisica sulle salite del monte. Solo così sto meglio. Almeno un po’.
  80. Tentativo di arrivare a Rovato in bicicletta. Infattibile nella quotidianità.
  81. Bimba di 9 anni: “Mamma di Ale, volevo dirti che scrivi bene.”
  82. Dell’essere mamme infinite. Dell’infinità dell’essere umano. Scrivo parole che sono cuore, i miei ultimi dieci anni, i miei ultimi dieci giorni.
  83. Sullo zerbino dell’ingresso un bigliettino: “Caro Gesù Bambino, potresti far nevicare in settimana? Grazie mille da Alessandro.”
  84. Motoseghino in roulotte. Evidentemente il russare è cifra stilistica dell’intero universo maschile della nostra famiglia.
  85. Dito sul naso, naso arricciato, verso maiale. Amicizia oltre le generazioni e felicità.
  86. Pomeriggio d’autunno. Prendo in braccio Tom. Pesa meno dei miei pensieri. Pesa meno delle mie emozioni.
  87. Le ciotole di insalata greca su quel terrazzino dentro quel caldo di estate sull’isola.
  88. Triominos. Diventa droga.
  89. Sul marciapiedi e in fondo alla strada, parole di chi è saggezza fatta donna: “Il vostro amore reciproco è anche una forza per gli altri. Abbiatene cura.” Ne stiamo avendo cura sì. Ne stiamo avendo molta cura.
  90. Odore di gallina bruciata dentro uno stanzino dell’estetista.
  91. “Piantamola 2019” in alcuni spazi verdi del nostro paese. Vanga, piccoli alberi, scritte sgrammaticate e traballanti.
  92. Venticinque giorni di gesso ad un braccio bambino. Per sempre viva il gommolotto.
  93. Infilarsi il costume tra le chiappe permette di scivolare più veloci sugli scivoli del parco acquatico. Sappiatelo.
  94. Il nonno trasformato in pirata Pippo una mattina di gennaio. Basta uno straccio in testa e la fantasia dei nipoti.
  95. Il giorno del mio quarantunesimo compleanno, appesa in parete. Piedi nudi sugli appigli. Dipinte in faccia grinta e tigna. Nuove sfide addosso.
  96. “Noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano” [De Gregori ed Elisa].
  97. Running sushi e Running fondue. Questi viennesi sono avanti.
  98. Un bacio a mezzanotte. Che sia un anno sereno. Solo questo. Sarebbe già molto. Moltissimo.
  99. Tapas en la calle ed il faro de La Coruña.
  100. Una cena al Wagamama dell’Oriocenter. Coriandolo sulle papille gustative. Non mi piace neanche, ma lo trovo un sapore interessantissimo.
  101. Un carroattrezzi. La nostra macchina sopra il carroattrezzi. Noi seduti nella macchina sopra il carroattrezzi. La nostra roulotte attaccata al carroattrezzi. In questa formazione bizzarra ed alternativa attraversiamo il confine Austria-Italia. Poteva essere una tragedia. Diventa epica famigliare.
  102. Non bisogna mai commuoversi mentre si stira. Non ce n’è. L’immagine fa subito Desperate Housewives.
  103. Tu ed un incontro ravvicinato con un cinghiale. Quidate, hombre.
  104. Gramigna al ragù ed un calice di rosso. Andy Warhol e gli anni ottanta. Bologna incanta.
  105. Padernello. Il ponte di Giuliano Mauri. Una sbrisolona in macchina. La nebbia della bassa in un sabato pomeriggio di autunno inoltrato.
  106. Dopo “calcare, don’t touch, boss, scotch, volpe” Tom impara a dire polpette. Finalmente una parola utile. Da adesso può dire: “Boss, don’t touch polpette di volpe.”
  107. “Se vi raggiungessi a sorpresa?”. Bologna-Vicenza all’improvviso. Mi aspettano braccia che stringono, baci che amano, hamburger americani.
  108. La bellezza delle mattine presto sulle mura di città alta. È sempre uguale. Si rinnova ogni volta.
  109. Piadina a Salsomaggiore come pranzo di Pasqua. Non potevamo volere altro. Non potevamo volere di meglio.
  110. Nonna in ospedale. Invecchia di molti anni. Poi recupera. Amore di voi figli e pazienza e Olli possono molto.
  111. Litigare così furiosamente e così per sempre con un’amica. Non mi era mai successo. Fa malissimo. Per giorni e giorni mi abitano solo lacrime.
  112. “Come state?” “Siamo qui”.
  113. Al risveglio trovo Tom nel lettino con su le ciabatte. Ieri sera nessuno gliele aveva tolte. È indubbiamente un terzo figlio.
  114. Della mia pelle. “Non so più cosa fare.” “Dottoressa, getta la spugna?” “Sì.” Mi salva il volo in aereo. Dieci anni fa i volontari in Perù la sapevano già parecchio lunga.
  115. Degli occhi e delle rughe in più attorno agli occhi. Si deposita lì, questo nostro tempo.
  116. Quella notte nell’aeroporto sardo.
  117. In campeggio facciamo delle cose romantiche. Tipo. Andiamo a lavarci i denti insieme senza figli. E anche a buttare la pattumiera.
  118. Darsi tempo. Darsi tempo. Darsi. Tempo.
  119. Salta la luce in tutto il quartiere. Tom apre un cassetto e dice: “Mamma, questo funziona!.”
  120. Della miseria. Dello splendore.
  121. “La pioggia nel pineto” in quarta elementare è tanta roba. “Se non li si abitua alla bellezza vera, non ameranno mai la cultura.”
  122. Santuario delle Conche. Un cane molesto (mannaggia ai padroni maleducati) si appoggia su nervosi e stanchezza. Ci mancava il cane.
  123. “Non esiste un problema senza un dono. E non esiste un dono senza un problema.”
  124. In una borsa di plastica gialla un sacco a pelo, un libro ed un caricabatterie.
  125. Tutte le volte che ho visto gli Appennini lontani. Sono stati tanta bellezza dei miei quotidiani.
  126. Ci sono dei giorni che sono “The day after.”
  127. Il tramonto in Sardegna e la puesta del sol alla fine del mondo. Tolgono ogni fiato.
  128. Di parole e di seta.
  129. “Sono successe delle cose ma ora è finita.” [Galletto – Pets 2].
  130. “Adesso smettila.” Seguono 80 chilometri di silenzi torvi.
  131. “Ognuno di noi doveva disegnare qualcosa in cui è bravo. Ho disegnato delle molecole. Perché io sono bravo a fare i legami. I legami d’affetto.” [Ale – Molecolino].
  132. “Quel mannaggiattè è il più bel mannaggiattè che mi sia mai stato rivolto.”
  133. Mani amiche mi consegnano una credenziale. Anzi due. Che è sempre bene avere una credenziale pronta nel cassetto dei calzini.
  134. Una Moka rossa. Il caffè mattutino si veste di colore ed allegria.
  135. Dell’essere trasparenti. Dell’essere sinceri.
  136. Il terrore delle pulci. Quest’anno si gioca tutto sulla prevenzione. Guanti, mascherina, grembiule, tute integrali. CSI ci fa un baffo.
  137. Scegliersi. Ogni minuto. Ogni ora. Ogni giorno.
  138. Dell’essere a casa. E del non esserlo.
  139. Dell’essere riportati a casa.
  140. Casa de Papel e Breaking Bad. Berlín, el Professor e mister White sono amanti indubbiamente molto, molto esigenti.
  141. Malumore di tutti attaccato addosso. In bici fino al lago. Basterà per farlo scivolare via?
  142. Dici: “Finalmente ho potuto dire la frase «Ne parli con il mio avvocato».” Ridiamo.
  143. “Dove abita l’amore?”.
  144. 45 minuti di ritardo ad un battesimo. 45 minuti di anticipo ad una visita medica. In media, siamo puntualissimi.
  145. Una mattina a trovare una tigre. 300 km in 6 ore per un caffè e degli abbracci. Follia? No. Amicizia.
  146. Dodici anni dopo. Scarponi ai piedi e frecce gialle. In cammino con il mio papà.
  147. Proprio il giorno di Sant’Ambrogio, inciampo in una foto della basilica appena bombardata nel novembre ’44. Faccio memoria.
  148. Dell’abbattere. Del costruire. Del ricostruire.
  149. Emetto fatture elettroniche. Grandissima prestazione.
  150. Voi maschi una notte in roulotte davanti al meccanico in Val Pusteria. Io Brennero-casa in treno di notte. Seguono per me 24 ore di inaspettata vacanza dalla vita. Che è la vera vacanza.
  151. Lo stemma dei PPS cucito sulla zaino.
  152. Argini da cercare, argini da trovare, argini da mettere.
  153. Piango su un divano in Brianza. “Da quanti anni non mi vedevi piangere?” “Tanti.”
  154. Le terme di Sirmione e quelle di San Pellegrino. L’acqua calda non è la soluzione di niente. Ma aiuta. Almeno un po’.
  155. Santiago sul polso. Santiago nel cuore. Il cammino addosso. Sempre. Troppo.
  156. Anche solo stare può andare bene.
  157. Via Lattea nella notte greca. Svegliarsi e svegliarti alle 3.00 di notte ha la sua bellezza.
  158. Così. All’improvviso. Tom non vuole più la sua collanina di ambra. L’ha avuta su tre anni. Da oggi abita nel mio cassetto delle calze.
  159. Del perdersi. Del trovarsi. Delle possibili vincite alla lotteria.
  160. Ci sono anni e giorni in cui in cui è appropriata o necessaria la parola auguri. Ci sono anni e giorni in cui l’unica parola giusta è complimenti.
  161. Il lievito madre. Muore. RIP.
  162. Faccio la doccia a Tom lasciandogli su le calze. Ridono tutti, i maschietti in bagno.
  163. “Come si chiama un monologo fatto in due?” “Biologo?”.
  164. Per la prima volta partecipo ad un concorso per un posto di lavoro da persona seria, adulta e responsabile. Brescia, tre posti da bibliotecario.
  165. Il bicchiere mezzo vuote dice: “All’orale del concorso ho preso 18 perché non avevo studiato niente.” Il bicchiere mezzo pieno dice: “Ho passato due scritti e un’orale senza aprire libro.” È tutta solo questione di prospettive. Rimane che non entro in graduatoria.
  166. “Non lo lo.” Che poi sarebbe: “Non lo so” per Tom.
  167. Le domeniche con la nonna qui da noi. Sono un regalo.
  168. Vorrei essere qui. E lì. E anche là. Ho fame di tutto.
  169. Tutte le volte che ho bisogno di una porta o di una fuga tra me ed il mondo. Tra me e le urla. Tra me e la mia inadeguatezza.
  170. Ci sono attività catartiche. Girare in macchina attorno al lago. Camminare. Tritare con la mezzaluna il prezzemolo una mattina di maggio.
  171. “Troveremo qualcosa di aperto, il primo gennaio?” “Saremo mica le uniche ad avere bisogno di una birra per affrontare il 2019?”.
  172. “Tom, non puoi dire sempre e solo porta. Devi imparare a dire tutte le parole. Anche cartello. Albero. Contemporaneamente. Che ha 18 lettere.”
  173. Un sacco a pelo nuovo è coperta di Linus. Permette di sapere che la fuga sulla Francigena non è chimera ma possibilità.
  174. Per la prima volta un brunch. A seguire Hangar Bicocca. Ci sono amicizie che sono sempre, oltre la Russia e la vita altra. E non fa niente se non ci si vede mai.
  175. La rivista dei campeggiatori teutoni. Meraviglie e perversioni ad ogni pagina.
  176. “Meglio sì. Quando stai zitta c’è pace nel mondo”. Forse ha davvero ragione il nonno. Forse dovrei imparare a tacermi.
  177. “2002 – il cammino zero della Cri.” All’improvviso scrivo passato.
  178. Tutte le volte in cui sono salita in cima al monte. Non le conto più. Sono molte. Moltissime. Mi è casa, il monte. Ed il camminarci dentro.
  179. Oltre le colonne d’Ercole a lungo in altalena.
  180. Rifugio Gherardi e Rifugio Nicola. La tua barba in tinta con le foglie dipinte dall’autunno.
  181. Circoliamo ed il Mago di Oz. Bambini ed emozioni sul palco in paese.
  182. Capita che mi aggredisca la bilancia. Dice cose brutte. È un elettrodomestico davvero parecchio maleducato.
  183. Il raduno dei pellegrini in Sardegna. Vita. Molta, molta vita. Ne esco travolta. E no. Non manca una esse.
  184. L’abbazia di Rodengo Saiano. Tom dorme sul seggiolino. Calzini a righe sul cruscotto. Fuori è tutto pieno di grigio, di pellegrini, di amicizia. Aspettatemi.
  185. Guglielmo. Corna Trenta Passi. Punta Almana. Ceriola a Montisola. Colli di San Fermo. Torno a muovere passi verso l’alto. Felicità addosso. Cielo dentro.
  186. La bergamasca e la siciliana.
  187. Piove pioggia. Lava poco. Poi goccia sale. E lava più della pioggia.
  188. Cinema e popcorn per festeggiare la fine della scuola. Per ore il cestello dei popcorn vuoto è corona per un re alto meno di un metro.
  189. Stesi nel sole. Sandali e scarpe da tennis. Gambe allungate. Prato verde e Torbiere lì davanti. Lo stagno oggi è in uno stato di grazia.
  190. Essere burro. Essere acciaio. Essere di tutto tra il burro e l’acciaio.
  191. Arriva un whatsapp: “Cazzo Cri, nooo, un cazzo di topo rinsecchito. Sto morendo! Lo scheletro di un topo dentro un faldone!.” Può essere parecchio avventurosa, la vita dei bibliotecari.
  192. Dell’essere convalescenti senza mai aver avuto un’unica linea di febbre.
  193. La magia di Hellbrunn. Piedi nudi sul prato verde. Ale dice: “Ho i piedi felici.”
  194. In cucina preparo una torta. Chiedono: “La fai per gli scout?” “No. La faccio perché vi voglio bene. E sono tornata a casa.”
  195. “Nella vita o si vince o si impara. Non si perde mai.” [Roberto Vecchioni – rivista patinata, sala d’attesa del dentista].
  196. “Prima due, poi sei: Ferrol – Santiago – Finisterre.” Passi e parole. Amore e vita.
  197. “Si chiama lunapark perché apre all’una?” [Michi].
  198. Sopralluogo a Clusone. Posto surreale. Zelig dei bibliotecari.
  199. Alla fine di una serata in Brianza – amicizia e frasi che passeranno alla storia – dice: “C’è di buono che, avendo bevuto 5 birre, quello che ci siamo detti stasera domani ce lo saremo dimenticati.” Dico: “Quel poco che ricorderai, dimenticalo.”
  200. Mansarda milanese e risotto pere & crescenza. Gli esercizi di geometria sono lontani decenni.
  201. Lettino altrui in soffitte a quota 2000. Pioggia battente sulle lamiere del tetto. Culla dolce, come allora.
  202. Tutti i sabati mattina tu in piscina con i minorenni e io al lavoro. Inutile dire chi dei due riposa di più.
  203. Per un compleanno, un quadernetto che ha addosso stelle e pianeti. Custodiscici le tue parole, bimbo che diventi grande. Sogna il cielo, futuro uomo.
  204. Di me dicono: “Sei una portaerei in uno stagno.” Di me scrivono: “Inquietudine e sole nello stesso tempo.” Mi conoscono. Mi conoscono bene.
  205. Dice E., che è mamma. E saggia: “Ho sempre in frigo delle birrette. Vivo meglio e sono più simpatica.”
  206. Accento sardo allo Strafess. L’amicizia oltre il mare è una bellezza.
  207. Canfora su un polpaccio. Puzzo come i coreani negli albergues del cammino. Sorrido per la memoria olfattiva.
  208. Regaliamo l’affettatrice. Non l’abbiamo mai usata. Farà felice un nipote in terra toscana.
  209. La catalogna ripassata in padella. Aglio, olio, peperoncino e acciughe.
  210. Due giorni con il gruppino sul Sentiero del Viandante. Cielo azzurro, mappazzone, Spritz e amicizia tra donne.
  211. La tenerezza che fa Tom adesso che ha iniziato a parlare. Parla dolcissime parole bambine.
  212. Tu appoggiato alla finestra. Io seduta sul bancone di legno. Cioccolato fondente e caramelle gommose. Ed è una mezz’ora tranquilla e preziosa.
  213. Bergamo, città alta. Dentro la notte, la distesa di luci lì in basso oltre le mura incanta sempre.
  214. Della nostalgia. Dei sogni.
  215. Innsbruck, sottopasso e muro scrostato. “Die Liebe.” Noi, in piedi attorno a quella vernice verde.
  216. Una tigre in peluche, una tigre di Duplo. Viaggiano spesso con me. Sempre abitano il mio cuore.
  217. Doveva essere polenta. È stata magia.
  218. Ale e io a giocare a palle di neve una domenica di giugno inoltrato. Ci veste una risata, il sole negli occhi e la felicità.
  219. Dell’inadeguatezza. Della precarietà.
  220. Due film in una sera. Non capitava dal divano di Pombia. Solo, è cambiato il compagno del divano e delle maratone cinematografiche.
  221. Se rinasco, voglio rinascere irresponsabile.
  222. Una passeggiata sul Lungoadda e una mattina in un bar dell’Orio-Center. Le amiche si dedicano del tempo. E piazzano pugni in pancia ben assestati.
  223. Senza tempo, senza cielo, senza passi dentro i piedi mi si ingarbugliano i pensieri. Le parole che non possono uscire a prendere aria mi si ribellano addosso.
  224. La mia maglietta: “I don’t trust words. I even question actions, but I never doubt pizza.”
  225. Abbiamo bisogno di molto perdono. Di molta dolcezza. Di molta indulgenza. Tutti.
  226. In cima al monte, quella panchina sospesa tra terra e cielo. Mi è casa. Forse per mesi, insieme ai miei scarponi, è l’unico posto che mi è casa davvero.
  227. “Vuoi partire per un cammino?” Sarebbe facile. Ma partire per un cammino non è sempre la strada giusta o la soluzione migliore.
  228. Un abbraccio in piazza Duomo. Una mano ne tiene un’altra. Non c’è nessun buon motivo. Solo amicizia e bene voluto.
  229. Sotto i portici, le scale fino a San Luca e una brioche al carbone nero molto instagrammabile.
  230. Sì. Non ci sono dubbi. La sindrome pre-mestruale qui in casa è contagiosa. E no. Il fatto che io abiti con soli maschi pare essere un dettaglio del tutto trascurabile.
  231. Ale scopre una rubrica telefonica di carta. Chiede: “Cos’è? A cosa serviva?”. Mi sento paleolitica.
  232. Io. Uguale e per sempre diversa. Fenice in terra bresciana.
  233. Camminare accanto mi pare infinitamente più arduo che camminare dentro.
  234. Mercanti in fiera 2.0 [Tribute band di Fabrizio De Andrè]. Band di Guccini, un’altra sera. Questo passa la periferia imperiale. Questo mi godo.
  235. “Una rana, una rana.” “Se qualcuno ce l’ha in mano, è mio figlio.” Ho indubbie capacità divinatorie.
  236. Tre mamme dentro una chat che si chiama “Cani Totò.” Aiuto.
  237. Ho messo in forno le patate e le ho fatte cuocere per 40 minuti. Peccato che il forno fosse rimasto vuoto e la teglia di patate appoggiata sui fornelli. Perdo pezzi.
  238. Ti sono trasparente. Mi leggi sempre. Mi leggi tutta. Ancora. Sempre. Non ce n’è. Da questa trasparenza non si sfugge.
  239. I vecchietti in roulotte in motorizzazione. Chi sogna. Chi piange.
  240. L’enciclopedia degli animali parla degli occhi atrofizzati delle bestioline che vivono nelle grotte marine. Chiede Michi: “Cosa vuol dire autofrizzanti?”.
  241. Per Ale le prime vacanze di branco con gli scout. A lungo parlerà della bellezza del posto in cui sono stati.
  242. Dell’essere più vivi. Dell’essere più morti.
  243. Seduti per terra sul marciapiede, panino crauti, würstel e senape. La notte viennese si posa dolce su di noi.
  244. Incontro ravvicinato tra un cane e Tom. “Tom, cosa ti ha fatto il cane?” “Una cosa chiudi-occhi.”
  245. Ale e Michi quattro giorni in montagna con l’oratorio.
  246. L’acqua bollente. Per Tom è l’acqua con le bolle.
  247. Dello smalto colorato veste le unghie dei miei piedi. Il mio concedermi femminilità mi stupisce e mi piace.
  248. Sono seduta davanti alla ciotola gialla dei rifiuti umidi. La guardo. Non avrei problemi a stare seduta qui a guardarla tutta la sera. Ti dico: “Spero solo che la ciotola gialla non faccia la fine della camicia da notte newyorkese.” Capisci subito.
  249. Dopo gli allenamenti di rugby, in una casa in Brianza va per la maggiore il panino “Ale & Michi” a base di pane e troppo gorgonzola.
  250. Il nonno sul cammino per l’ottava volta. E stavolta sono 1.600 chilometri da Le Puy.
  251. Quella statuina sotto l’albero di Natale. Legno fusione. Legno amore. Legno abbandono. Legno braccia. Legno mani perse dentro i capelli altrui.
  252. In sala d’attesa. Riviste di gossip. Foto di Brad Pitt. Chiede Tom: “Papà?”. Eh, magari.
  253. Della necessità del volersi bene.
  254. Coda infinita da San Pellegrino in poi. E non ci sei neanche tu da baciare.
  255. Del dolore e della bellezza.
  256. Da Whatsapp: “Regola numero uno: la mamma ha sempre ragione. Regola numero due: se la mamma sbaglia, rileggi la regola numero uno.”
  257. Prima dell’alba su Youtube. “Bologna” cantata da Guccini nel 1982 è poesia pura.
  258. “Dove siete in vacanza?” “In Austria in roulotte.” “Tutti e cinque? Che vacanza coraggiosa. Avventure nel Mondo in confronto non è niente.”
  259. La nostra nuova babysitter. Diventa colonna portante delle nostre giornate. Senza, saremmo persi. Senza di lei, senza i suoi occhi, senza il suo sorriso che si porta addosso.
  260. Andare per tentativi non è un andare facile
  261. Divento volontaria piedibus il mercoledì a pranzo.
  262. In Brianza. Di nuovo con un bimbo nuovo in braccio. La vita appena nata riempie di gratitudine e stupore.
  263. I tuoi venerdì di congedo parentale. Ti fanno bene.
  264. “I am non in danger. I am the danger.” Chapeau agli sceneggiatori di Breaking Bad.
  265. Per una volta ho su un vestitino nero. Mi dicono: “Che gnocca che sei. Guido è un uomo fortunato.” Se solo sapessero quanto sono fortunata io.
  266. Accendere il forno i primi di luglio con 35 gradi all’ombra per fare la pasta al forno della nonna Giovanna è indiscutibilmente un immenso atto d’amore.
  267. Panino ed amicizia all’Old Wild West del Centro Sarca.
  268. Una casetta vista oceano alla fine del mondo.
  269. Esce di casa la vicina di casa: “Ciao amore.” Tom: “Io no [a]more. Io omino-bimbo.”
  270. Di sera dirà: “Com’è stato bello ridere così tanto con te, mamma.” Ed è un regalo. Lui. E noi due. E quelle nostre risate.
  271. Un cuore di pietra e un cuore di frolla. Ale ci riporta – inconsapevole – dentro sfumature di amore quotidiano.
  272. Del cedere. Del non cedere. Dell’arrancare.
  273. Tutto il non-sapere. Soprattutto quello. Tutto il non-sapere.
  274. “Hai il sole dentro.” E io me l’ero dimenticato.
  275. Del tutto e dell’assoluto. “Io [sono] tutto [s]tanco.” “Io cado tutto.” [Tom].
  276. “Ve ne volete andare? Non serve a niente continuare ad abbracciarsi. Adios”. Frasi altrui annata 2015.
  277. Noi due insieme sul monte. Il più bel regalo di Natale che potessero farci. Il più bel regalo che possiamo farci. Il monte Orfano poco lontano spunta dalle brume.
  278. Su una chat di whatsapp capita che si condividano ultimi acquisti. Chi degli scarponcini fucsia della Salewa. Io un ferro da stiro. Per favore non infierite.
  279. Cerco i miei spazi. E li ho trovati un po’. E ne vorrei ancora. E ancora. E ancora. La libertà è inebriante.
  280. Vienna, all’improvviso. Quella casina così bella con le finestre aperte sulla notte e su vite altre.
  281. I video su Tictoc. A passare delle ore con un’adolescente femmina si imparano cose.
  282. In quella piazza che ci è casa cielo azzurro e pietra antica. Noi cinque e il nonno.
  283. “Amen, mea culpa e miserere […] Poi tutto tacque. Vinse ragione. Si placò il cielo. Si posò il mare” [Guccini – Nostra signora dell’ipocrisia].
  284. I Bastardi di Pizzofalcone. Notti intere a leggere. Parole che sono echi di altre parole. Ogni eco un pugno, ogni eco una carezza.
  285. L’incredibile forza della tua dolcezza.
  286. Riesenrad al Prater. Rimarrà dentro i ricordi del cuore?
  287. Del non chiedere scusa. Dell’accogliere. Dell’accogliersi.
  288. Del chiedere scusa. Del perdonare. Del perdonarsi.
  289. Giocando a calcio dai vicini, Ale: “Ma… non possiamo fare un gioco più… intelligente???”. Indubbiamente prevalgono i cromosomi svizzeri.
  290. Temporale e impossibile odore di terra bagnata. Dolore e dispiacere. Lacrime.
  291. Lungolago. “Non mi piace questo rumore. Mi fa venire il mare dentro il cuore. E mi viene nostalgia.” Anche a me, Ale. Anche a me.
  292. Un lenzuolo liso. Un rocchetto di filo possibilmente colorato. Delle perline.
  293. Diario milanese di Michi scritto con la macchina da scrivere del nonno. Poca ortografia, molta tenerezza.
  294. Tutte le volte in cui ho la testa piena di parole. Sono esigenti, le parole. Vogliono essere scritte. Devo scriverle. Almeno passano. Ogni tanto – ma solo ogni tanto – riesco a chiudere fuori il mio mare di parole. Riesco a lasciarlo sulla soglia degli occhi, dei pensieri, dei sogni.
  295. Una chat di bene voluto e amicizia in crescita. Da nasai a Giulia passando per merluzzi e vasche di pesci rossi. Senza sarebbe tutto indubbiamente meno vivo.
  296. La lettura è magia ad ogni età. Divano e libri e mele mangiate a morsi. Quelli bassi viaggiano in mondi tutti loro.
  297. In un bar in mezzo al nulla bergamasco, una Luisona. Vista l’atmosfera, sarà stata una Luisona autarchica fascista. [Se non sapete cos’è la Luisona, andate a leggetevi il primo racconto del Bar Sport di Stefano Benni che è un bel regalo che potete farvi].
  298. La cosa bella è che ci sei e che ci sono.
  299. Grigliata con amici milanesi a Pianesse. Da ripetere.
  300. Sarebbero servite parole. Parlano le lacrime.
  301. Gemelli e Giro dei Laghi con Ale. A casa. 12 anni dopo.
  302. I primi di settembre, con il caldo che fa, alla fermata del piedibus arriva un ragazzo con su una tuta integrale di Scooby-Doo in velluto. Ma perché?
  303. Vienna. Visitando il castello di Schönbrunn: “Ma è qui la nostra stanza per stanotte?” [Michi].
  304. Vello-Toline mano nella mano nel buio della notte.
  305. Dopo la prima Ipa, una birra salata danese. Come indossare un tacco 12. Non lo farei sempre. Ma come secondo giro stasera ci sta. Comunque no. Su un tacco 12 non mi vedrete mai.
  306. “Davvero il pita gyros è fatto con i ghiri?”
  307. Tutte le parole che ho scritto. Non riesco a non scrivere. È stato un anno di infinite parole. Le più belle e le più vive di sempre.
  308. Mi riempio gli occhi di cielo, la giacca di pioggia, i pantaloni di fango, i piedi di passi. Addosso ho un desiderio di altro che mi mangia dentro. E mi spaventa. Molto.
  309. Il bagno nell’oceano. Pelle nuda e acqua gelida. Sole addosso e amore a riva.
  310. Mi raccogli. Accogli. Ami.
  311. Soncino e il museo della stampa. L’incanto del torchio e dei caratteri mobili.
  312. “Michi, fai qualcosa di intelligente!” “Tipo?” “Non so. Conta fino a 6.000.”
  313. Dell’essere forti. Dell’essere fragili. Dell’essere insieme sia forti che fragili.
  314. Vedere Ale che gioca con le parole sul quaderno di italiano mi commuove di bellezza. Mi rivedo lì, acerba come lui. Mi guardo, adulta, a giocarci ancora.
  315. Su un prato accanto alla statale, un nugolo di cervidi. Forse caprioli. L’unico commento di Tom alla loro vista è stato: “Gnam-gnam?”.
  316. I miei piedi nudi sul freddo di un pavimento in cotto. Piango.
  317. Tu a Bologna. Io con i bambini a Montisola. Passa un ragazzo in bici. Urla: “Tre figli attorno, uno zaino sulle spalle, un passeggino a tracolla. Grande mamma.” Sorrido di bellezza. Non mi capitava da tanto, di stare così bene dentro il mio vestito di madre.
  318. Chi non ha buchi, dentro l’anima? Io ne ho di buchi, addosso. E attorno a quelli sono diventata grande. Attorno a quelli sono diventata io.
  319. Ale in maglietta e costume da bagno ancora fradicio sulla poltrona del dentista. Dicono: “Non abbiamo mai avuto altri pazienti vestiti così.” Posso dire che non mi stupisce per niente?
  320. In un campeggio austriaco un riccio entra di notte nel nostro sacchetto della spazzatura. Lo osserviamo, occhi cisposi e stupore addosso.
  321. Michi non si capacita che gli austriaci non mangino la piadina. Chiede: “Ma come fanno?.”
  322. Un disegno di Ale sotto la lampada sul mio comodino. Un altro disegno nel cassetto del bagno che uso solo io. Che lo trovassi era solo questione di tempo. Grazie, muso.
  323. Una sera al Circolino di Bergamo. Birra, odore di canne, amicizie pellegrine. Alziamo di parecchio l’età media.
  324. Ultimo spannolinamento. Pareva impossibile. E invece ce l’abbiamo fatta.
  325. Una mattina a fare canederli. Ne facciamo 800. Ho su un grembiule dei Minions e una cuffietta che… madre mia.
  326. “Il mal comune mezzo gaudio è un’inculata pazzesca. Lo sai bene anche tu. E oggi non funziona.”
  327. Una foto nostra. Fondo 2009. Ricordo. Regalo. Promessa. Meta.
  328. Agio Stefanou. Incanto ed ansia.
  329. Il dentista è un momento rilassante della mia vita. Anche l’attesa alle casse del super non è niente male nel suo concedere attimi di riposo. Per dire come sono messa.
  330. A Pianesse con altre mamme. Faccia torva e malumore addosso. Meno tre giorni all’inizio della scuola.
  331. All’Acquasplash, il Black-Hole Michi e io. Gomma nera, adrenalina sulla pelle, felicità addosso. Dopo la paura, ovvio.
  332. Madonna del Corno e Croce di Provaglio nel sole del primo gennaio.
  333. L’app per camminare e un audiolibro nelle orecchie. Sfido la calura estiva.
  334. “Cosa ho seminato quest’anno?”. Le risposte sono molte. Alcune belle, altre meno.
  335. La definizione di Arsenic-hour. Coglie nel segno.
  336. Qui in casa, un pigiama-party tra maschi bassi per festeggiare un compleanno. Io sono a trecento chilometri di distanza. Ringrazio.
  337. Vorrei essere una madre sole. Una madre vento. Una madre mare. Una madre montagna. Una madre strada. Una madre braccia. Una madre mano. Una madre pelle. Questo vorrei. Questo voglio.
  338. Una notte in Brianza. Sacco a pelo e divano. Coda del mattino sulla Lecco-Milano.
  339. “Ale, ma ieri avevi la verifica di storia? Perché non hai detto niente?” “Perché mi avresti detto di studiare.” “E scusa, non hai studiato?” “No.” Quarta elementare. Lo strozzerei.
  340. Tra sogni e quotidianità. Ricerca di equilibri impossibili o precari.
  341. Dell’essere trasparenti. Di cioccolatini tardivi.
  342. “Tu non sei pronta a quello che sto per raccontarti.” Una serata tra amiche a spasso per Milano.
  343. Sul Verona-Rovato. Notte fuori dal finestrino. Una ragazza saluta il fidanzato che resta in stazione. Infiniti baci. Dico: “Posso? Posso dirti che eravate bellissimi? Conservatelo, questo splendore.”
  344. Trattative per un tuo possibile cambio lavoro. Finisce in niente. Averci pensato fa bene.
  345. “Io so scrivere e tu sei felice. Farei volentieri cambio.”
  346. “Grazie ancora, Cri. La tua famiglia è galatticamente bellissima e rara. Sei molto fortunata.” No. Non è fortuna. È costruire. E passi accanto. E un mattone dopo l’altro. E tenersi per mano. E pazienza. E impegno. E forza. E amore. E dedizione. E perdono. Tutto questo. E anche molto altro.
  347. Primo giorno di primavera. “In marzo son concentrati tanti morti in famiglia. Tu come stai, piuttosto?” “Facciamo che te lo dico a fine mese.”
  348. Quattrocento chilometri in macchina sono musica e pensieri e sogni e ricordi e bellezza e orizzonte che diventa strada.
  349. Di me dici: “Ma no. Sei solo un po’ selvatica.” Ci sono giorni in cui lo sono più di sempre.
  350. “Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno.”
  351. Camaldoli e la mostra dei pellegrini. Foto, libri, sogni ed amicizia.
  352. Mi regalo uno zaino nuovo. Sirrus della Osprey. Urge testarlo.
  353. Io palloncino. Io elio, aria, cielo, sogni. Tu filo. Voi fili, terra, quotidianità, vita.
  354. Una piccola confezione di biscotti Oreo e il bar della piscina. Il mio essere madre mi crolla addosso. La passerella di Limone del Garda è palcoscenico di uno dei momenti più bassi del nostro essere genitori.
  355. “La vita non ti dà le persone che vuoi. Ti dà le persone di cui hai bisogno: per amarti, per odiarti, per formarti, per distruggerti e per renderti la persona che era destino che fossi” [Albert Einstein].
  356. Un vocale di chi mi conosce poco e benissimo: “Non farlo mai, il Primitivo. Non è che te ne innamori. Tu ti ci perdi, qua. Ma ti ci perdi un sacco. Fallo in un’altra vita.”
  357. A lungo come immagine del profilo Whatsapp, la mia foto sulle scale del Castello Belfort a Spormaggiore. Sole e sorriso.
  358. Calzini liofilizzati da far rinvenire in acqua. Davanti al lavandino, entusiasmo bambino alle stelle.
  359. Scopro parti di me che ancora non conoscevo. Non si finisce mai di imparare. E di impararsi.
  360. Tom dalla logopedista. Vogliamo parlare della logopedista che dice: “Pota”? Vogliamo parlarne?
  361. Un terzo anello sulle mie mani. Passato e presente sull’indice della mano destra.
  362. Ale seduto accanto a me in macchina. Un po’ ragazzo, all’improvviso.
  363. Un libro sull’etimologia della parole disvela magia e racconta storie. Mi incanta.
  364. “Altri 10 minuti di inglese con Ale e passo all’alcool pesante.”
  365. Noi due. Malgré tout.
Pubblicato da: cri | 4 novembre 2018

365: 2017-2018

  1. Un anno che pare essere stato solo orecchie malate, prurito, stanchezza, lavoro.
  2. Griglio il mio cellulare.
  3. Al Cavallino, una cena sanissima ma smart. Apriamo cartoni di minestrone pronti, sacchetti di mozzarella, buste di insalata, barattolini di budino al cioccolato. In cinque minuti siamo tutti a tavola.
  4. Dormiamo in una biblioteca privata. Libri ovunque, un gatto e noi due.
  5. Una quercia centenaria in una radura in mezzo al bosco.
  6. A distanza di un anno, il barista della bella pasticceria in Città Alta si ricorda che a me piace il cappuccio con la cannella. La professionalità.
  7. “Ma sulla luna vanno solo quando è piena?” “Sì, perché se no non hanno spazio abbastanza.” “Ah già.” [Michi].
  8. Ale lupetto negli scout. Fazzolettone e camicia d’ordinanza.
  9. I panini allo Strafess. E le loro birre. Quella blanche non filtrata.
  10. Michi perde il suo primo dentino.
  11. Michi ad uno spettacolo di magia a Ome.
  12. Un pranzo in una casetta colorata a Sesto San Giovanni.
  13. “L’hanno regalata a me, questa scatola in latta dell’Alemagna? Perché se l’hanno regalato a me hanno fatto bene. C’è scritto Ale-magna.” [Ale].
  14. Per i miei 40 anni, un album con dieci anni di mie foto. Mi sento bella dentro i tuoi occhi che mi hanno guardata così.
  15. Michi, appena finiti i compiti. “Adesso posso lavorare?” “Sì.” “Allora prendo un foglio e imparo tutte le cose”.
  16. Un’amica sarda per la prima volta a casa nostra. Il tempo di un abbraccio. Ma è un dono prezioso.
  17. Salvi un topolino imprigionato in un cartone di latte.
  18. I novant’anni della zia. Una festa nel piacentino.
  19. Creare la notte in roulotte con un cartone davanti alle finestre.
  20. Michi a Tommi: “Fai molta attentezza!”
  21. I bimbi una notte dal nonno a Solto.
  22. Due mezze giornate in isolamento in una stanzetta del pronto soccorso del civile. Leggo parole pellegrine. E mi commuovo.
  23. Le notti insonni. Ancora.
  24. Ricevo in regalo un rossetto rosso fuoco. Pare che non si possa non averlo a 40 anni. Pare.
  25. Un google-keep che si chiama “Cose di cui parlare la sera”. Come siamo messi.
  26. Per 24 ore l’idea di fare la guida turistica. Almeno informarsi.
  27. Preghiera della sera. “Grazie Gesù che stamattina a colazione durante l’uscita abbiamo potuto mangiare mezz’ora di dolci” [Ale].
  28. Un piccolo marsupio rosso tutto mio.
  29. La reazione avversa dopo la vaccinazione antimorbillo. Poteva Tom lasciarsi sfuggire questa occasione per ammalarsi?
  30. Un piccolo concerto nella piazzola del campeggio accanto alla nostra. Livello professionale. Apro finestra nella notte per bermi musica.
  31. A Iseo in bici. Un nuovo paio di scarpe da montagna nel cestino davanti. Respiro sole.
  32. Il privilegio di rifiutare dei lavori. Fa ben sperare per il futuro.
  33. Tu a Mantova per un concerto in memoria di A.
  34. “Piselli in tenda – edizione 2018”. Voi in roulotte. Io mi invento ore senza il “ruolo mamma”.
  35. I periodici in biblioteca. Il corso a Milano. La catalogazione a Bergamo.
  36. Michi e il laboratorio di danze popolari.
  37. Pasta di drago, la saggia del catalogo e il ritornello: “La Kumani, La Kumani. Noi non siamo dei somari. Il tesoro va trovato. Dicci giusto o sbagliato”.
  38. Un svasso ingoia un pesce intero. Temo per la sua vita.
  39. “È già passata mezza giornata dalle 10 di mattina? Una bambina mi ha detto che ho preso il tetano toccando un pezzo di ferro arrugginito e che dopo mezza giornata muoio. Volevo sapere se era adesso”. Tu pensa che ansia che aveva addosso, il piccolo cuore di Ale.
  40. Le luci di Trieste nella notte, dall’alto della collina.
  41. Quando siamo a meno enne figli.
  42. Gita famigliare dall’oculista vicentino. E al ritorno mi tocca pure guidare con il sole sivigliano.
  43. Tom ancora non parla. Ma mima parecchio e si fa capire da molti.
  44. In un parcheggio in cima ai monti precipita il bene che voglio ai bambini. E precipito io con il mio cuore. Urge recuperarsi.
  45. Il museo di Ötzi e l’entusiasmo dei bimbi per questo omino venuto dai ghiacci.
  46. Un agricampeggio vicino al Garda.
  47. “Cosa facciamo tutto il giorno in casa io e te?” “Gnam!” Idee chiare, il piccoletto.
  48. “In Argentina hanno sei ore meno che da noi per i fusi orari.” “Sono confusi? Davvero hanno un’altra ora perché sono confusi?” [Ale].
  49. Il Pinocchio seduto sul muro della biblioteca. Porta stupore. E buonumore.
  50. Picnic di Pasquetta al maglio di Ome.
  51. Noi. Quattro ragazze sedute per terra in cucina. Oltre la porta si scatena la quotidianità. Addosso portiamo vita, fatica, bellezza.
  52. Spariscono le chiavi del Berlingo. Le troveremo nel mio beauty. Posto intelligente. Almeno quanto il freezer.
  53. Il Grest all’oratorio di Borgonato e il pigiama-party sotto le stelle. A distanza di anni, degli animatori ci mettono cuore e passione. Solo che io oggi sono dall’altra parte della barricata.
  54. Piazza Unità d’Italia dal Molo Audace. Una meraviglia sempre. Un incanto con le luci della sera.
  55. Una pipì all’autogrill di Rho. È evidente che non sono più milanese. Nessun milanese farebbe pipì all’autogrill di Rho.
  56. L’estate degli elastichini colorati.
  57. Tom non parla parole nostre ma si fa capire benissimo.
  58. Quando mi saltano addosso i bimbi. Scimmiette sul loro albero.
  59. Grado e Sestriere. Guido infiniti chilometri. Io, che da sempre odio guidare.
  60. Un incontro tra PPS nelle vie di Trieste.
  61. Ale con l’apparecchio.
  62. Il peggior cappuccio della storia dei cappuccini in uno dei peggiori bar dell’anno.
  63. Dire, dopo un weekend in roulotte a ranghi completi: “La prossima vacanza la faccio da sola su una nave da crociera”. Temo per l’estate.
  64. All’improvviso, con cinque ore di preavviso, una notte a Osimo. Quell’amicizia è una certezza.
  65. L’Hangar Bicocca. I neon di Fontana ed i sette palazzi celesti.
  66. I quattro maschietti della mia vita tutti insieme in altalena. Siete bellissimi.
  67. Entra in casa la macchina per il caffè Nespresso. Peccato non sia accompagnata da George.
  68. Michi gioca a battaglia navale senza avere cognizione delle lettere dell’alfabeto. Surreale e divertente.
  69. Risotto amarone e mostarda di visciole.
  70. Gestiamo la prima verruca.
  71. I monti Lessini, la valle delle Sfingi e il Covolo di Velo. Posti magici.
  72. Michi ad una festa di compleanno alla Madonna del Corno.
  73. 40 anni di un’amica festeggiati in un appartamento dell’Isola. Facce che arrivano dritte dal mio essere stata ragazza e un milfona-starter-kit che fa ridere un sacco.
  74. La bellezza di Michi che deve iniziare la prima elementare. Tutti i giorni chiede: “Quando inizia la mia scuola? Quando?”
  75. Piazza Anfiteatro che mi incanta e il giro sulle mura. Lucca è bellissima.
  76. Uno stereo nuovo.
  77. Da zio Mc, prendo l’insalata al posto delle patatine. E prendere l’insalata da zio Mc è segno di vero impegno.
  78. “Che differenza c’è tra i vecchi lupi e i cuccioli?” “I vecchi lupi sono saggi, i cuccioli un po’… scervellatini” [Ale].
  79. Picnic in macchina vista mare oltre il cemento del parcheggio. Pane, senape e ricotta affumicata.
  80. Ale deve vestirsi da licantropo. Alla fine, più che un licantropo pare un fricchettone con orecchie da coniglio. Ma peloso è peloso. E tanto basta.
  81. Due scatoloni pieni di taralli arrivano dalla Puglia.
  82. Un giro a Montisola con amici. Impossibile non pensare alle passerelle di Christo. Impressionante come quell’installazione sia entrata dentro la memoria visiva, sensoriale e collettiva di molti.
  83. Tom inorridito davanti a conigli e galline. Fratelli che a tutti i costi vogliono fargli sentire morbidezza del pelo decisamente non aiutano.
  84. La sensazione di stanchezza e devastazione che troppo spesso mi porto appiccicata addosso.
  85. Polenta e fontina, gnocchetti al bleu d’Aoste e tegole.
  86. I nomi delle vie d’arrampicata sulla passeggiata che porta a San Romedio. Santi e rampicanti. Padre Tequila. Eremo estremo. Ostacoli e tabernacoli. Supercristo. Mi affascinano da sempre, i nomi delle vie di arrampicata.
  87. “Papà, questo libro di Asterix è strano.” “Perché?” “Perché finisce a pagina 46, mentre tutti gli altri finiscono a 48” [Michi].
  88. Dopo il primo giorno di scuola. Ale: “Chi avevi vicino?” Michi: “Una bimba ma non mi ricordo il nome”. “E dall’altra parte?” “Quello è facile. Il muro con il calorifero”.
  89. Aprire la partita Iva. Avere un commercialista.
  90. Tu a Milano per la mostra “Wildlife Photographer of the Year”.
  91. Il forte di Exilles. Bambini incantati dalle prigioni.
  92. Le risate alla fine di un temporale che ci siamo presi durante una passeggiata. Sotto un tetto provvidenziale, aspettiamo che spiova.
  93. Gnocco fritto e passeggiata in Brianza. Amicizia fuoriporta.
  94. I giorni in cui la sala pareva una tintoria cinese. Le ore nella lavanderia a gettoni.
  95. Un viaggio di due ore in macchina con voi cercando una stanza per me. Mi state stretti. Strettissimi. Non ce la faccio più.
  96. Dico troppe parolacce. Mi arrabbio sempre troppo. Non va bene neanche un po’.
  97. La passeggiata tra i meleti e la salita al lago.
  98. Una mattina nella biblioteca di Rodengo a guardare foto.
  99. La pazienza certosina di Michi che accumula legnetti per la grigliata in campeggio.
  100. Il benzoato di benzile e la medicina con l’evocativo nome. Sere a spalmarci.
  101. Un sabato pomeriggio al cinema con Ale e Michi.
  102. I dieci minuti di pennica in macchina nel parcheggio della biblioteca di Rovato quando arrivo diretta da Bergamo.
  103. La pizza del San Michele e le aragostine di Vieste. Baffi sporchi e felicità.
  104. Un pomeriggio di marzo. Ore 15.32. “Bene. Ho appena finito di spiegare ad Ale cosa vuol dire fare sesso. E cosa vuol dire fare l’amore. E ho anche risposto alla domanda: “Ma tu e il papà l’avete fatto?”.
  105. Un libro si infila con precisione millimetrica nelle strette grate di un tombino a Rovato. Ci fossimo impegnati, non ce l’avremmo mai fatta.
  106. “Senti qui.” “Sento, Ale”. “Cos’è?” “Profumo di bucato.” “Ah. È strano.” Forse dovremmo cambiargli il letto più spesso.
  107. Ale torna da un’uscita scout con addosso il mio zaino, compagno di tanti miei passi.
  108. Troppe le volte in cui sono rimasta a piedi con la macchina.
  109. I giorni di vacanza in Val d’Aosta.
  110. Romantici come solo noi riusciamo ad essere sempre, il mazzo di fiori che mi hai regalato per il compleanno è infilato dentro al pentolino del latte.
  111. Capodanno tra amici a casa nostra. Siamo in 16. Di cui 8 minorenni. Di cui 4 nati nel 2016. Siamo indubbiamente pazzi. Ma felici.
  112. A Bergamo, il sole che spunta dai tetti di Città Alta vista dai colli.
  113. Secondo te andrebbe brevettato il divorzio a ore. Sarebbe soluzione a crisi famigliari.
  114. Davanti alla cerniera ribelle, Michi dice: “Facciamo che sono a scuola”. E zac. Sale la cerniera. Sono magìe.
  115. La dote comune nella biblioteca di Rovato. A 40 anni. Con 15 anni di esperienza addosso. Evito commenti e lavoro al meglio.
  116. Tutte le giocate a Lego si fanno i tre bimbi insieme.
  117. Trenta lavatrici in sei giorni. E intanto nevica. Poi si rompe anche la lavatrice. Altro?
  118. Tre giorni al Sestriere in una casa che ci aveva visto appena maggiorenni. Oggi siamo qui con 4 figli in due.
  119. Ale e Michi al corso di arrampicata. Sono degli scoiattolini.
  120. Una grigliata nella casetta degli alpini a Timoline con i bimbi ed i genitori della prima elementare.
  121. Qualche lezione di acquagym. Hydrobike era molto meglio.
  122. La pizza a pranzo. Una bella abitudine nei miei sabati lavorativi.
  123. Una new entry nelle torte salate. Peperoni, acciughe, feta e capperi. Spaziale.
  124. “Anche Tom ha un angelo e un diavolo? Sì? Ma li ha piccoli come lui? E non parlano come noi, vero?” [Michi].
  125. La crema spalmabile Lotus. Una droga.
  126. Una domenica all’alba, la partenza di Benedetta.
  127. Il goniometro appena comprato in cartoleria e perso ancora prima che potesse entrare in casa.
  128. Con 14 ore di anticipo sulla tabella di marcia partiamo per le nostre vacanze in Gargano.
  129. Castel Belfort e una foto in cui ho la felicità addosso.
  130. Tom davanti alle candeline del suo secondo compleanno. Cerca di spegnerle urlando: BAH. Potere della parola.
  131. Si rompe un boccettino di olio essenziale di lavanda. Io odio la lavanda.
  132. Un sabato mattina a spasso sulle colline tra Erbusco e via Lovera.
  133. Sognare Grecia. Lasciare che resti sogno.
  134. In cucina un cestino sempre pieno di noci.
  135. “La tua crostata è così buona che ad ogni morso viene l’acquolina” [Ale].
  136. Una nuova sdraio bellissima per me.
  137. La ruotellina. Un lautore. Il gheopardo [Michi].
  138. “Ma quando ci siamo ridotti ad essere felici per un’aspirapolvere nuova? Quando? Quando siamo diventate persone così tristi?”
  139. La nonna non sta bene. Per niente.
  140. Per festeggiare i dieci anni di matrimonio, cena allo Strafess con i bimbi. La pace, la tranquillità e il romanticismo sono decisamente un’altra cosa.
  141. Il freezer pieno di peluche. E di maglioni di lana.
  142. Tutto il sabato a cucinare per la mia festa di compleanno. Accendo il forno alle 8.30 del mattino e lo spengo dodici ore dopo. Ore bellissime. Gemelli docet.
  143. Tutto l’olio di mandorle e tutte le creme idratanti. Mai usate prima di ora.
  144. Una foto in cui sono identica a mia mamma. Non mi era mai successo, di vedermi così lei.
  145. Un pranzo pronto anche per me a casa del migliore amico di Michi. Molta gratitudine.
  146. Yugo-tour al Rustiko.
  147. La convinzione che ha Michi che le suore siano suore solo perché camminano uguale, ossia mettendo contemporaneamente lo stesso piede avanti. Stranezze.
  148. 18 sensi più uno (Bonus track).
  149. San Romedio. Ci eravamo stati con la pancia di Ale. Oggi ci arriviamo con tre bimbi. Quanta vita, da allora.
  150. Canederli e strudel.
  151. Se solo i minorenni sapessero la fatica e l’impegno che c’è dietro le quinte della loro vita da bambini.
  152. Tom e la spianata calabra. Amore a prima vista.
  153. A 40 anni compiuti la mia prima crema al mascarpone. C’è sempre una prima volta.
  154. Sbagliare treno e trovarsi a Bergamo invece che a Milano.
  155. Siamo così abituati a mangiare sano, che degli gnocchi al sugo di noci ci paiono trasgressione epica.
  156. Un tubo di Baci Perugina sotto il cuscino.
  157. “Ripristinato dignità del pavimento dopo incontro ravvicinato tra cous-cous & Tom”.
  158. Sette costate in sei adulti. Poi frittelle di carnevale al bar dell’oratorio. Stiamo leggeri.
  159. La passione di Ale per le piante. Le cura con attenzione. Almeno lui.
  160. Il censimento scout da compilare in quanto genitore e non in quanto capo scout.
  161. Una paella in piazza a Rovato.
  162. “Ma quando Tommi torna all’asilo, gli fanno recuperare il lavoro che non ha fatto in questi mesi che era a casa?” [Michi].
  163. Michi per la prima volta al Grest delle Torbiere.
  164. La specie di koumpounophobia di Ale. Che poi sarebbe la fobia dei bottoni. Ci mancava anche questa.
  165. La scoperta del risotto in busta per le vacanze con cucina su fornellino. In un attimo si torna agli anni milannesi delle gite in montagna.
  166. Un raduno PPS salta all’ultimo. Dispiacere grande.
  167. Le tue lenti progressive. Starai mica diventando vecchio?
  168. Compriamo un ventilatore. Non lo useremo mai.
  169. Broccolo a pranzo. Michi: “Non mi piace.” Ale: “Pensa che è pollo”. Michi: “C’ho già provato. Non funziona!”
  170. Le volte a Bergamo con il Qubo della nonna.
  171. Replica di pranzo americano in una bella casa di Milano appena ristrutturata.
  172. Un gocciato al Caffè degli specchi. E i pochi iniziati capiranno.
  173. Un tramezzino all’ombra del Torrazzo.
  174. Una sera a Milano alla fine di un corso. La mia città bella in modo struggente. La notte che scende. Il Duomo illuminato. Un violino che suona. Incanto e nostalgia.
  175. Una mongolfiera in Franciacorta. Occhi a cercare bellezza di prima mattina.
  176. Narcos e Modern Family in lingua originale.
  177. I giorni in cui pago la baysitter 40 euro per avere il privilegio di poterne guadagnare 12 con il mio tirocinio formativo.
  178. I cunicoli scavati nella collina di Osimo. Il buio vero che c’è, una volta che spengono la luce.
  179. La domanda del giorno è: “Ma come facevano i genitori di tre figli a Seridò prima che ci fossero i telefoni cellulari?”
  180. Un amico viene da lontano in ospedali vicini. Le lunghe chiacchiere con lui sono un privilegio.
  181. La scoperta del magico mondo delle O-Bag. Una non basta. Avete creato un mostro.
  182. Risotto alle ortiche. OCR.
  183. “Io ho capito il trucco. Basta che chiediamo a te se ci danno i pupazzetti di Star Wars. Le cassiere ci sentono. E gli stiamo simpatici. E ce li regalano anche se non dovrebbero” [Michi].
  184. Ale apre la porta della macchina in autostrada. Ma no. Come ha fatto a venirgli in mente? Come?
  185. Una stanza a Cervignano del Friuli prenotata la notte di capodanno poco prima della mezzanotte.
  186. Oltre all’annuale appuntamento famigliare a ranghi completi, una giornata a Seridò con solo Michi. Otto ore da figlio unico. Otto ore da madre di figlio unico.
  187. “Sulla discesa dei box in bici io faccio la supervelocità. Sono bravissimo a fare la supervelocità” [Michi].
  188. Un post-it per te sul mio cellulare. “Pensaci tu. È caduto nel water”.
  189. In piazzola tutti a copiare Tom nella sua “Posizione yoga del cane”. Ridiamo parecchio.
  190. In spiaggia, le facce dei nostri bimbi colorate di sole e di luce.
  191. Ale e capoeira.
  192. Una pizza a Bergamo con gli amici di una vita fa. Non ci vediamo da anni, ma il bene che ci volevamo è lo stesso che ci vogliamo oggi.
  193. Tom si infila un pennarello per ogni orecchio. E ride. Ride. Ride. Ridiamo tutti.
  194. Il kurtos kolacs, che è un rotolo dolce alla cannella cotto sulla brace.
  195. Arriva via Whatsapp. “Essere genitore è come piegare un lenzuolo con gli angoli. Nessuno sa esattamente come si fa”.
  196. Le domeniche in gita ai castelli del Ducato di Parma e Piacenza. Ci riempiamo gli occhi di altro e di bellezza. Fanno bene al cuore. E alla vita.
  197. Le chiese ortodosse e il castello di Miramare.
  198. Voi sulla neve a Montecampione.
  199. Finisco una confezione di chiodi di garofano. Erano della mia mamma. Diceva l’etichetta: “Consumare preferibilmente entro il 1989”. Non ho preferito, è evidente.
  200. In giro con i bimbi nel Parmense, un panino per pranzo in un bar. Perché non ce lo concediamo più spesso?
  201. Dopo anni, di nuovo dal Pelizzari.
  202. Io: “Piove?” Michi: “Non vedo. Non ho gli occhi accesi.”
  203. “Non mi ricordo cosa vi avevo detto”. “Perché? Perché il vostro cervellino si sta – senza offese – essicando?” [Ale].
  204. Capita che i grandi stiano da soli in casa per qualche decina di minuti. Prove tecniche di indipendenza.
  205. Primo campo invernale per Ale.
  206. Frida Kahlo e Klimt al Mudec.
  207. L’ora di “mamma in vacanza”. Camminata sulla spiaggia, bagno e parole. Sole addosso, salsedine e amicizia vera.
  208. Capita che il panettiere mi regali i panini all’uvetta del giorno prima. La gentilezza conquisterà il mondo.
  209. “Io lo so perché facciamo il bagno. Perché Gesù Bambino passa solo se siamo puliti. E io sono già bello pulito” [Michi].
  210. “Quelli non possono lasciare appese le decorazioni di Natale. C’è la legge della Befana.” “Che legge della befana?” “Quella che dice che la befana porta via tutte le feste” [Michi].
  211. Un dinosauro rosa entra in casa. Felicità dei piccoli.
  212. Un fine settimana a Lucca.
  213. Ale: “Giochiamo a pellegrini?” Buon sangue non mente.
  214. Le birre con le amiche.
  215. Il couscous esploso in cucina. Attività alternative la sera del 30 dicembre.
  216. Londra o Sardegna? Alla fine Val d’Aosta.
  217. Una pianta grassa che ho dalla terza media. Gela nel freddo dei primi di marzo. Viene salvata dalla nostra fiorista di fiducia.
  218. Una cena tra amiche al Brutto anatroccolo. Grazie della dritta, amico che sei ancora mondano.
  219. Un’amicizia cresce oltre il mare a suon di foto di bellezze sarde e lombarde.
  220. La frolla vegana. Certezza di torte dentro le settimane di quotidianità.
  221. 10 cannoncini per festeggiare 11 anni di mucca guardona. Io: “Sapete perché festeggiamo?” Michi: “Perché mi dondola il dente?”.
  222. 297 prestiti in un giorno. Record per la biblioteca.
  223. Laboratorio di cucito, di marionette e di pon-pon.
  224. Michi chierichetto.
  225. Togliere le sbarre del lettino di Tom.
  226. La caldaia da Bepi Sciavo ed un panino con il cragno.
  227. La pseudoscabbia del bibliotecario. Maledetta.
  228. Una notte a Magreglio.
  229. La piadina al casello di Cattolica. Certezza e tradizione.
  230. Il progetto RovaFoto va in porto.
  231. Anche poter essere ammalati è un privilegio.
  232. Le maestre del nido regalano a tutti i genitori un venerdì sera libero. Sante donne.
  233. “Davvero sai cos’è un locale notturno?” “Sì, una stanza dove stanno quelli che pigrano” [Ale].
  234. Primo giorno di lavoro a Rovato. Birkenstock in feltro e quaderno di Snoopy. Quando uno è professionale nell’animo.
  235. Il bollito dalla Gina a Rovato. Salsa verde e mostarde. Pranzi di lavoro in provincia.
  236. Tu a pilates. Le mutande di ferro e l’esercizio Belen.
  237. La mia pelle e il mio prurito. Tormento e mistero. Infiniti i dermatologi che mi hanno visitato.
  238. Indecisioni della sera di Natale. Pantaloni della tuta o collant eleganti?
  239. Per tutti e cinque, beauty-farm in giardino. Attività del tutto imprevista ed insperata, visti i coinquilini che mi sono capitati in sorte.
  240. Guardando i prezzi del gasolio. Tu: “È sceso il gasolio.” Michi: “Da dove?
  241. Secondo giorno di scuola. “Io ho imparato a scrivere”. [Ha copiato dalla lavagna: “Mi chiamo Michi”, ndr].
  242. Le lezioni di biblioteconomia in via Rovello.
  243. Quando esco dall’Angelo Mai di Bergamo per parlare a telefono, sono in Piazza Vecchia. Spettacolo.
  244. Nella nostra casina Airbnb, l’orto con insalata, zucchine e lamponi. In casa la stufa ad olle.
  245. Una schiscetta di gumbo e di cheesecake arriva qui in provincia. Gratitudine.
  246. Ai primi di settembre, Michi si stupisce delle copertine vuote dei quaderni. Chiede: “Perché non hanno le pagine dentro?”
  247. La luce di Betlemme.
  248. “Dalla fine della scuola sono passati 22 minuti. E ho già litigato con Ale e con Guido. Buone vacanze estive”.
  249. Un pezzo di lenzuolo liso permette di inventarsi pirati.
  250. La diga di Place Mulin. I rifugi Magià e Prarayer.
  251. Una retro dritta contro il palo alle spalle del parcheggio. La stanchezza regna sovrana.
  252. La canoa di Michi legata a quella del maestro. Privilegi.
  253. Si rompe la brocca rossa, storica brocca di questa nostra famiglia.
  254. Una food-experience. Sushi giapponese al Mini-Moo a Milano.
  255. I tre giri di “bonifiche ambientali”. Che poi. Servivano davvero?
  256. La promessa di Ale. Follia e bellezza dell’essere scout. Dell’essere uomini nuovi. Dell’essere futuro diverso e possibile.
  257. La veglia per il 30° del gruppo Scout Montorfano 1. Per Ale un battesimo, per te un ritorno. Avete occhi felici, quando tornate a casa.
  258. La festa delle api a Erba.
  259. Al consultorio di Iseo. Primo passo di un percorso.
  260. “Guardami. Vedi come sono diverso dal solito Ale?” “???” “In bagno c’erano dei pettini. Ne ho preso uno e mi sono pettinato e adesso sono tutto bello”.
  261. La tua mano nei miei capelli. È così bella. Io, dentro quel tuo gesto da niente, mi sento a casa.
  262. Salsicce di cavallo e amiche bibliotecarie.
  263. Michi impara a leggere. Magia, al solito.
  264. Gargano 2017 scritto sulla sabbia e foto di gruppo. Siamo tanti. Siamo belli.
  265. Alla fine della riunione con i genitori scout, birretta e Coca Cola. Torniamo indietro di 20 anni. Ma allora eravamo educatori, non genitori in libera uscita.
  266. Polenta e pellegrini a casa nostra. È diventata una bella tradizione.
  267. Il catechismo dei genitori scout.
  268. Tom nel carrello porta-libri della biblioteca.
  269. “Mi sono alzata un’ora fa per mangiare un piatto di pastina. E adesso per fare pipì. Mi sono sembrate entrambe grandi prestazioni”. Per dire.
  270. Delle pizzette escono a nastro dal forno in argilla a Nigoline.
  271. “Ma i re camminano quando serve o ci sono i servi che li portano?” [Michi]
  272. Quando scrivi: “Mi sento grigio”. Anche io.
  273. Dopo 15 anni di lavoro in biblioteca, per la prima volta al banco prestiti. Ci sto bene, al pubblico. Sorriso e gentilezza. E mi sento a casa.
  274. Sono proprio una tristona. Nevica da ieri e io non ho ancora mai toccato la neve.
  275. Riflessioni. Perché il pianto dei neonati è mamma-specifico e quello dei due-enni no?
  276. Ale, in terza elementare, inizia a studiare.
  277. Sul trono del castello di Pontremoli. Con tre maschi minorenni in casa, serve scegliere se essere regina o schiava. Io oggi ho scelto.
  278. Il tuo male alla bocca. Niente baci per troppo tempo.
  279. Dolcetto o scherzetto per le strade attorno a casa.
  280. Sulla spiaggia stretta, un polpo pescato da due ragazzi. Michi: “Si è attaccato al mio braccio con le calamite”.
  281. Un biglietto di Michi: “Il mio mesalino quando vado a fare il ciricetto il mio mesalino ve lo lasco a voi e [è, ndr] della mamma e del papa”.
  282. “Tommi, nessuno ti capisce. Devi imparare a parlare come noi” [Michi].
  283. “Ma gli angeli non mangiano?” “Che angeli?” “Il mio angelo custode. Perché io non lo sento mai fare rumore di mangiare.” [Michi].
  284. Otto chilometri a piedi sulle colline attorno a Custoza.
  285. “Cos’ha Tom oltre a pessimo umore?” “Anche umore pessimo”.
  286. Aglio liofilizzato e chiodi di garofano. Mix infernale.
  287. Tom in body con elefantini rosa. “La virilità non è questione di abito, ma di sguardo”.
  288. Un giro in macchina a Bergamo a vedere le luci del Natale.
  289. Tom dietro al cancello del giardino chiama i suoi fratelli mentre loro sono con me al Sestriere. Strappalacrime.
  290. Un gelato a Peschiera.
  291. Pane e olio nuovo.
  292. Ale: “Tra i fiumi importanti in Italia c’è anche l’Alto Adige”. Confusione.
  293. I valori di emocromo e ferro fanno paura da tanto sono bassi.
  294. L’hamburger vegano al Flowerburger.
  295. Il tormentone: “Sono obbligatorie?” davanti ai piatti di verdure.
  296. Seduta in macchina in un parcheggio prima del nido di Tom, condividere al telefono preoccupazioni per una piccola bimba che non sta bene.
  297. Essere convocati a scuola per un colloquio privato con la maestre. C’è di meglio.
  298. Trieste in due. Un sogno.
  299. Trovo Ale, da solo a casa, che sta scrivendo un biglietto: “Sono andato a giocare in cortile”.
  300. Notizie sul traffico alla radio. Ale: “Hanno detto San Benedetto del Tonto. Davvero c’è un paese che si chiama “del Tonto”?”
  301. La nostra prima zucca di Halloween intagliata. Candelina, luce arancione e gioia dentro gli occhi.
  302. Capita di leggere dal Kindle. Sopratutto in roulotte.
  303. Da Città Alta, gli Appennini in fondo alla pianura. E i grattacieli milanesi che spuntano lontani. Occhi si riempiono di meraviglia.
  304. Il silenzio di un orto botanico e i brividi a salire in cima ad un campanile.
  305. La pizzata per Franci, anni dopo.
  306. Una pizza d’asporto per festeggiare il ritorno al nido di Tom. In pizzeria se lo ricordano ancora, questo nostro piccolo festeggiamento.
  307. Possibile che uno per stare bene la domenica mattina debba chiudersi dentro ad un supermercato?
  308. Una copertina in carta di pubblicità per non far sciogliere il pupazzo di neve costruito in giardino.
  309. Correre a piedi nudi nel parco in una mattinata di giochi insieme ai bimbi e ai genitori delle terze elementari.
  310. Muore la zia Ippolita.
  311. Dalla Sardegna, dentro un vecchio salvadanaio, arriva dell’olio di iperico. L’amicizia non ha confini.
  312. Tom e il baciamano al momento della buonanotte.
  313. Il Ferrograd. Mi riporta in vita. Per fortuna.
  314. “Mamma, vero che si dice palcoscenico? Vero? Non palcoscemico?” [Ale].
  315. “Confermo. A pilates non mi hanno mangiato. Voi?”. “No. Neanche noi ti mangeremo”.
  316. Sulle finestre della camera dei bimbi, adesivi dei Minions.
  317. Il Wimmelbuch della notte. A questo si riduce il nostro shopping compulsivo.
  318. Ricevo in regalo un buono Feltrinelli.
  319. Un tentativo di focaccia Locatelli.
  320. Alle 17.55 ti scrivo: “Ci credi che è dalle 16.30 che piangono sia Ale che Tom?”.
  321. Più di 15 anni dopo la stesura della tesi, scrivere una tesina. Nessuna voglia. Ne approfitto per togliermi un po’ di sassolini dalle scarpe.
  322. Il nonno a camminare sul Norte. E sono sette, i cammini che ha dentro i suoi piedi. E nel cuore.
  323. La gestione delle babysitter. Un lavoro.
  324. Gli scoiattolini di Ale e Michi che per Tom fanno bau-bau.
  325. La rocca di Manerba. Il lago visto da lì.
  326. In marzo, alla radio Caruso di Dalla. Michi dice: “L’abbiamo ascoltata in Puglia quest’estate”. La memoria che ha questo bimbo.
  327. Un panino figo al carbone vegetale. Molto instagrammabile. Ad avercelo, Instagram.
  328. Spieghi la piana di Adro alla nonna. Dici: “Vedi. Arrivi in dieci minuti dal paese ma sei fuori dal mondo”. Michi: “Vuol dire che siamo nello spazio, allora?”.
  329. La quotidianità in una biblioteca che diventa casa.
  330. “Siamo come una famiglia di farfalle. Sai perché? Perché le farfalle sono belle e noi siamo belli” [Ale].
  331. Una settimana in Val di Non.
  332. Una domenica a Cremona. La mia stanchezza spaventa.
  333. Esce l’ultimo molare nella bocca di Tom. Per sempre abbiamo finito con i problemi di dentizione dei nostri discendenti diretti. Bella consapevolezza.
  334. Senza dire niente a nessuno, Tom apre da solo il cancellino del giardino e va a trovare la vicina di casa. A poco più di due anni. Viva l’autonomia.
  335. Per la prima volta, un bonsai. E riesco a non farlo morire.
  336. Picnic con Tom-figlio-unico nel parco giochi di Paratico.
  337. Tom terrorizzato che una statua a forma di orso possa mangiarsi Ale. Fa tenerezza la paura che ha. I tentativi che fa di salvare suo fratello.
  338. Una festa grande per i miei 40 anni. Siete in tanti. Ci siete quasi tutti, amici di una vita.
  339. Imparare Clavis.
  340. In una bettola da niente frico e gubana.
  341. Dalla nonna, tombola in inglese auto-organizzata.
  342. In un corridoio di ospedale, un abbraccio pieno di amore tra una donna innamorata ed il suo uomo in sedia a rotelle. Guardarli emoziona.
  343. Un giro al centro commerciale la mattina del 23 dicembre. Mai più ridursi all’ultimo.
  344. Studiando la creazione per religione, Ale discetta di materia e antimateria. A otto anni.
  345. “I gatti sono più tanti dei topi”. L’italiano, ragazzi. L’italiano.
  346. Tommi panato in spiaggia. Due ragazze tedesche dicono: “Assomiglia ad un Wienerschnitzel”.
  347. Per una svista mangiamo pesto di ortiche e grana e bombole gialle di Lego grattugiate.
  348. La Sacra di San Michele una domenica di settembre.
  349. La bellezza, ogni volta, di entrare in biblioteca passando dalla porta riservata ai dipendenti.
  350. Di nuovo. Le otiti di Tom. I due mesi senza nido per cercare di farlo guarire senza imbottirlo di antibiotici.
  351. La Grotta Gigante e le lacrime alla Risiera di San Sabba.
  352. Una festina a sorpresa per il tuo compleanno. Amici cari fanno festa insieme a noi.
  353. Due mamme e cinque bimbi al mare al Cavallino. Siamo in palese inferiorità numerica ma ce la facciamo.
  354. Dei cannoli siciliani a colazione.
  355. “Cosa sono le rughe?” “Quelle che hanno i vecchietti. Anche tu ne hai un po’” [Ale].
  356. Un nuova, inaspettata, bellissima pancia che cresce.
  357. Tom, che non è capace di dire papà e non è capace di dire pappa, e non è capace di dire nanna, dice – in un modo tutto suo – volpe. Parole utili.
  358. Di nuovo a Bergamo a lavorare. Bellezza e incanto. Ancora. Sempre.
  359. Studio volantino dell’Esselunga online. Perversioni. A ognuno la sua.
  360. Tutti i libri che non avrei mai letto, se non lavorassi al pubblico in biblioteca. Invece li leggo, curiosa. Sopratutto gialli nordeuropei. E fumetti.
  361. Erano anni che non lavoravo più dentro la sera che scende.
  362. Le vacanze al mare con gli amici. Tende e roulotte. Vite condivise in pochi metri di piazzola.
  363. Pizza piccante per te, capricciosa per me. Nomen omen. A chi ci augura “Buona serata, allora” rispondo: “Dipende da chi prevale.”
  364. Quando con i bimbi camminiamo chilometri e chilometri. Camminare rimane una delle cose più belle da fare con loro. E con noi.
  365. Scrivere questi 365. Fanno luce sui giorni. Non sono stati solo orecchie malate, prurito, stanchezza, lavoro. Sono stati anche forza, coraggio, impegno, bravura, crescita. Sono stati passi. E vita.
Pubblicato da: cri | 21 novembre 2017

365: 2016-2017

  1. Dieci anni di mucca guardona.
  2. Tom grande mangiatore di carote. Lo chiamiamo Tommino Carotone.
  3. A letto. “Hai preso la Tachipirina?” “Sì. Due.” “Io ho preso un Aulin”. La salute prima di tutto.
  4. Ale: “I cetrioli di Bruxelles, da dove vengono? Dal Giappone?” Indubbia confusione geografica.
  5. La giornata alle terme di Milano. Viva le amiche.
  6. L’ipotesi di una vacanza in campeggio al mare con amici.
  7. Michi: “Mamma, Tommi ha camminato anche a curva”. Grandi conquiste negli occhi di un fratello.
  8. Tom trova una moneta da 100 lire sotto la sabbia. Come ha fatto?
  9. Ale: “Che fogli usiamo per scrivere la lettere alla zia?” Io: “Vanno bene i normali fogli A4.” Ale, perplesso: “Ah, prendiamo i fogli normali e li strappiamo in quattro?”.
  10. Spesso il problema è che si hanno delle aspettative. E spesso questo aspettative vengono disilluse. È questa disillusione che genera rabbia e sconforto.
  11. Becycling e Mattia Miraglio. Altre vite. Mi incantano.
  12. Una birra all’Areadocks. Pare sia l’unico locale over-fourty in città. Prendo atto che esistono locali over-fourty.
  13. Un pranzo con la famiglia allargatissima in un bel cortile vista colline di Tortona.
  14. L’odore dei bagni del campeggio svizzero. Risveglia ricordi. La memoria olfattiva mi incanta sempre.
  15. In Germania, passi su colline verdi. Pare di essere dentro il desktop di Windows.
  16. Quel signore che, nel nulla della valle in montagna, d’estate regala caramelle ai bambini e chiacchiera con chi passa. Bellissima occupazione.
  17. In un bar dietro Loreto, pomeriggio di chiacchiere con un’amica marchigiana.
  18. Per la prima volta, tutti e cinque insieme, dei passi lungo un sentiero che dopo migliaia di chilometri arriva a Santiago.
  19. Due scaldacollo all’uncinetto.
  20. Una notte, un nubifragio sul lago. Il nonno e io chiusi in macchina, addossati ai muri della cementeria. Aspettiamo che passi.
  21. La roulotte nella piazzola nel campeggio che noi chiamiamo “nido d’aquila”.
  22. La giornata nella neve a Montecampione tu e i bimbi grandi. Bob rosso e slittino giallo. E capitomboli. E sangue dal naso. E pupazzi di neve. Ed esplorazioni nel bosco. Quando tornate a casa siete stravolti e felici.
  23. Ale: “Ahia, Michi. È già la nesima volta che mi fai male.”
  24. Il calcio Barilla [Michi].
  25. Quest’anno presepe minimalista. Manca Gesù Bambino che, secondo la vostra tradizione, verrà messo la notte di Natale. Ale dice: “Io non vorrei mettere né la Madonna né Giuseppe”.
  26. Una ragazzo al ristorante dell’Ikea ci vede con i bimbi e di loro dice: “Sono bellissimi”. Ad averla sempre addosso la forza per vedere questa bellezza in ogni quotidianità.
  27. Guardiamo le Olimpiadi. Michi: “Sai che le facevo anche io le olimpiadi, ma diverse”. Le olimpiadi del grest.
  28. Scoprire che il nome “scarabeo gioiello” non è il nome scientifico della bestia in questione.
  29. Muore la Fioretti. Mi mancherà moltissimo.
  30. Dei giorni di vacanza a Magreglio. Lo slogan è: “Più buche in giardino per tutti”.
  31. Fuochi d’artificio per la festa della patrona di Valencia guardati dalla finestrella di un bagno. Bel regalo.
  32. Due cene al Pfefferlechner a Lana. Il gioco di parole in tedesco: “Man ist, was ma isst”.
  33. Tom si addormenta in piedi, appoggiato alla poltrona.
  34. I bimbi sul divano leggono i tuoi corrierini dei piccoli. Ronfi e puffi.
  35. Michi: “Mamma, un giorno puoi fare lo struzzo?” “Che struzzo?” “Un dolce che era buonissimo”. Lo strudel.
  36. Chilometri a piedi attorno al paese una domenica mattina in cui sono troppo arrabbiata per fermarmi a messa con voi.
  37. “Le rose si chiamano così perché sono rosa” [Michi].
  38. A Imbersago, un selfie il nonno e io. Ed è il nostro primo selfie della storia.
  39. “Un giorno mi fai il tiramisù?” “Vediamo. Non sono tanto brava, a fare il tiramisù.” “E il tiramigiù? Sai fare il tiramigiù?” [Michi].
  40. Un sabato mattina sul monte a cercare castagne.
  41. Dopo una colazione al bar divento simpaticissima. Dici: “Facciamo colazione al bar tutte le mattine”.
  42. Mi tolgono il dente del giudizio. Ale: “Dallo a me, che dai piccoli passa il topolino che porta i soldi”.
  43. Michi: “Come fanno i semi a costruirsi?”
  44. A Sesto, una brioche siciliana al pistacchio per colazione.
  45. Muffin al cioccolato e cuori di cartoncino rosso fatti dai bimbi. Buon San Valentino.
  46. Per il compleanno del nonno, cous cous e pollo al curry. Il nonno non l’aveva mai mangiato.
  47. Ale: “Guarda, una bici a motore”. Il Ciao.
  48. Racconta Ale: “A. e io stiamo insieme”. “Nello stesso banco?” “No, insieme proprio. Io ho un buon comportamento e disegno bene e faccio quello che lei mi dice. Allora lei mi ha chiesto: «Vuoi stare con me?» e io le ho risposto: «Ma sì». E allora stiamo insieme.”
  49. Tom con un puffo in bocca. È proprio nipote di Gargamella.
  50. “Ale, metti via i libri”. E lui li mette via per collana. Decisamente figlio di bibliotecaria.
  51. Un hamburger insieme in location romantica sul lungolago di Paratico.
  52. Nell’area sosta in Val Camonica sparisce Tom. Lo troviamo dopo un po’, seduto davanti ai bagni. Un pezzo di pane in mano, guardava tranquillo la gente che passava.
  53. “Perché hai su due mutande?” “Avevo freddo” [Ale].
  54. “Sai che Ale riceve le note anche dalla sua mamma”. I compagni di classe sono straniti dalle mie comunicazioni alle maestre.
  55. A Telgate, in viaggio verso la Germania. Ale: “Ma ci fermeremo prima della Spagna o no?” Quando uno ha le idee chiare su quello che sta per fare.
  56. Capita che alle 19.10 siamo già tutti docciati e tutti in pigiama. Fusi orari in assenza del maschio alfa.
  57. La leggenda di Azzurrina e il castello di Montebello.
  58. Michi canta: “Ci son due coccodrilli IN UN orango tanto”.
  59. Di noi. Io lo so cosa ci servirebbe. Ci serviremmo noi. Noi due. Noi due non genitori. Solo noi due.
  60. Seduta al tavolino del bar della piscina, leggo il soggettario di Firenze.
  61. Patrull blocca-cassetti. Al terzo figlio. Non se ne esce in altro modo.
  62. Le volte che Ale è infinitamente lento a finire i suoi compiti. Provo rabbie e nervosi grandi.
  63. Il volo che ha fatto Michi in bici. Tanta paura ma ammaccature superficiali.
  64. Stiamo cercando di spiegare cos’è la moda. Dopo qualche spiegazione Michi esclama: “Da me la moda non c’è!”.
  65. Pubblicità del rasoio in TV. Michi: “Perché il papà non fa mai quella cosa bianca?” La schiuma da barba.
  66. Guido in autostrada. Guido anche fino a Milano e parcheggio pure. Conquiste.
  67. Le belle pance a termine delle mie due più care amiche.
  68. Ale e io in bici alla sua pizzata di classe.
  69. A metà pomeriggio. Sono a pezzi. Michi che pretende una risposta alla domanda “Ma il mondo ci parla?” non aiuta.
  70. Un cane fuggitivo si infila a casa nostra. Risate e stupore.
  71. “Mamma, tu per che squadra tieni?” “Se proprio proprio all’Inter.” “Io per chi vince” [Ale].
  72. Ale: “La mamma mi dice lagna, Michi mi dice rompi. Io mi sento un pagliaccio sbudellato”. Giorni così.
  73. Dalle mura di città alta, gli Appennini in fondo alla pianura.
  74. Una tartarughina di peluche chiesta a Gesù Bambino e amata tanto.
  75. Capita che Ale e Michi, nella fatica di questi mesi di malanni di Tom, siano inconsapevoli portatori di serenità.
  76. Un giorno a pranzo, Ale si fa uovo al cotonino da solo.
  77. Un panino da sola al Put de Fer. Festeggio libertà.
  78. Le 35+10 foto per i nostri primi dieci anni insieme. Quanta vita.
  79. Michi che vuole vestirsi “tutto bello” per la pizzata con gli altri grandi dell’asilo.
  80. Tom con pettinatura punk alla fine di un bagnetto.
  81. Nell’armadietto delle medicine, un Oki gran riserva 2011. O un Aulin annata 2014.
  82. Tom a Valencia con un unico paio di pantaloni. Gli altri non sono mai neanche stati messi in valigia. Ottimo, direi.
  83. Il mio telefono come sempre in modalità silenziosa. Ale chiede: “Ma se avesse la voce cosa sarebbe? Vocioso?”
  84. A piedi a casa da Nigoline dopo i battesimi in cui Ale fa il chierichetto.
  85. Una lezione di canoa per Ale. Finisce incastrato contro un salice piangente.
  86. Tom ride guardando la sua immagine riflessa nella finestra aperta.
  87. Merenda in mezzo ad una rotonda spartitraffico dell’alta Val Camonica con una confezione di gelati presa al supermercato.
  88. Per carnevale un vestito da pomodoro homemade.
  89. La bella sensazione di infilare i soliti pantaloncini di sempre e scoprire quanto sono larghi.
  90. Dentro un bosco teutone, il sentiero dei cuori. Infinita dolcezza. Infinita cura. Infinite foto. Non serve molto per creare il bello.
  91. Michi mutandino.
  92. Le cena dei bimbi alla fine delle giornate in giro. Latte e biscotti. Che bellezza.
  93. Le tue calze nuove con punte e talloni colorati.
  94. Lavare piatti all’oratorio di Nigoline. Come essere al Gemelli.
  95. La temperatura del bene.
  96. Tiger arriva anche qui, nella periferia imperiale.
  97. Un GP che dopo anni tu vedi insieme a tuo fratello.
  98. Dopo una litigata, le nostre lacrime in corridoio. E quelle lacrime lì, spontanee e vere e piene di dolore e di amore, sono un ultimo bel regalo del 2016.
  99. Pasta all’amatriciana con vero guanciale di Amatrice.
  100. Un pomeriggio a sistemare libri nella biblioteca di Chiari.
  101. Una nuova testata per il nostro letto. Listelli di legno. Essenzialità nordica.
  102. Tu ad uno spettacolo di improvvisazione teatrale.
  103. Il sentiero degli gnomi e la vista sul lago da quella baita in mezzo all’erba alta.
  104. Scendere dall’aereo a Orio, guardarci e dirci: “Si può rifare”. Felicità.
  105. Le preghiere per Carolina.
  106. Gli incisivi di Ale e l’ospedale di Monza.
  107. Una candela e le nostre sere estivi seduti fuori.
  108. Tutte le otiti di Tom. Tutte le ricadute. Tutte le cure omeopatiche. Tutti gli antibiotici. Tutti i medici. Tutti i giorni chiusi in casa. Basta, per favore.
  109. Prime riunioni per la prima elementare che comincerà.
  110. Una notte in tenda nel nostro giardino. Non dormite molto. Ma siete felici.
  111. Michi appassionato di numeri e di matematica. Con un libretto di primi esercizi di matematica in mano, passa un paio di giorni dicendo: “Io devo fare la matematica”. E davvero non fa altro.
  112. Chai latte alla vaniglia e cannella. È amore alla prima sorsata.
  113. La gita di Ale a Gropparello, Michi in visita alle elementari. Di mattina, in casa, l’aria è carica di eccitazione e aspettative.
  114. Ancora una casetta di cartone in sala. Entusiasmo ed infiniti giochi.
  115. Una paese tedesco con 12 parchi giochi a tema. Sono avanti.
  116. L’overnight oat. O pappone, che dir si voglia. Finalmente trovo il modo giusto per fare colazione.
  117. Passare da Grandate nove anni dopo. Tre figli e una roulotte. Ne abbiamo fatta di strada, da quelle notti di quell’estate lontana.
  118. Pizza a lievitare in forno. Tom la guarda. Alterna estasi e grande rabbia.
  119. Due giorni con Tom figlio unico. Irreale e romantico.
  120. Hydrobike tra grande fratello e “Resisti”.
  121. “Ma è uva viola. Cosa fai? La lavi? La lavi così diventa verde?” [Michi].
  122. La Val Brandet, Campovecchio, la Malga Stain. Posti che erano tuoi. Mi piacciono moltissimo.
  123. “Papà un giorno posso fare un esperimento? Voglio trasformare il legno in carbone.” “Ma no, Ale, non puoi. Ci vogliono milioni di anni.” “E vabbé, finirò quando sarò zio!”.
  124. Michi gira per casa dicendo: “Per Toutatis”. Piccoli galli crescono.
  125. A piedi su sentieri di fondo valle in montagna, attraversare inconsapevolmente il confine Germania-Austria.
  126. Fioriscono i bulbi di narciso che avevamo piantato in autunno.
  127. Tutte le cene spagnole a base di kebab. Tutti i pranzi come da nostra tradizione iberica: barra de pan, chorizo, queso e tomate.
  128. L’America in Brianza. Gumbo e cheesecake al caramello salato.
  129. Ancora una volta, svezzare un bambino. Ancora una volta, l’ultima tetta. Visto che è l’ultima per sempre, gloriosa, in roulotte, con la luce del mattino presto addosso.
  130. Reazione avversa ai vaccini. A Tom viene morbillino e sfogo di rosolia con febbrone. Ci mancava.
  131. Due volte a Bergamo nello stesso giorno. Biblioteca al mattino, cena del Gemelli di sera.
  132. A Vicenza. Gita famigliare dall’oculista.
  133. Dolcetti egiziani ad una festa di compleanno dei bambini.
  134. Quando la seduta di igiene dentale diventa la cosa più rilassante della giornata è evidente che c’è qualcosa che non va.
  135. Michi torna a casa con un disegno di una tigre con i denti a sciabola. Racconta di colori e orme che ha aggiunto. Poi dice: “Quelle lì azzurre sono le sue uova.” “Sei sicuro?” “Sì”. Perfetto.
  136. La piccola serra di Ale. Semi e piantine ed infinita cura.
  137. “Quanto fa 4 meno 11?” “Meno di zero.” “Quindi zerissimo?” [Ale].
  138. Cena improvvisata con costate e fiorentine. Felicità e amici milanesi.
  139. Le passeggiate tra Rodengo e Ome in compagnia di amici pellegrini.
  140. Ale in lacrime: “C’è un orsetto nella cesta dei giochi che piange perché è lì da solo. Deve venire da Crocchino.” Fantasia al potere.
  141. Ale: “Ma le talpe sotto terra hanno la luce? No??? E come fanno a vedere?”
  142. Ale: “Mamma, cos’è un sexy shop?” “Un negozio per grandi, dove si possono compare anche mutande particolari, magari in pizzo, mooolto belle…” Michi: “Belle come le nostre?”.
  143. In un bar, cappuccio e brioche e Io donna. Basta poco per essere in vacanza.
  144. Tentacoli da polpo in plastica rosa su ogni dito di ogni mano.
  145. Una crêpe al caramello salato sotto le case a graticcio di Colmar.
  146. Una cena in piedi al nido di Tom.
  147. Un decreto legge rende obbligatorie le vaccinazioni dei bambini.
  148. Tre giorni a Bellaria. Al mare nella stessa spiaggia dove andavo io bambina.
  149. La fatica di pascolare gli accompagnamenti con Tom in clausura.
  150. Mi perdo sul Monte Alto. Arranco tra rovi. Graffi ovunque.
  151. Il capodanno splittati. Due a casa. Tre in Brianza. Manchi. Mancate. Oltre i nervosi. Le litigate. La stanchezza.
  152. Ale si è alzato ad un orario che nessuno sa per rimettere a posto il bagno. Poi è tornato a dormire. Pensa te.
  153. L’urlo belluino di Michi appena sveglio: “Popàààààà”.
  154. Michi corre avanti e indietro tra sala e corridoio. Tom seduto davanti alla porta della cucina lo guarda e si sganascia di risate.
  155. Nello spogliatoio della piscina, alla fine del corso. “Chi era Giuda? E perché era cattivo? E perché era apostolo di Gesù se era cattivo?”. Lezioni di teologia in costume no. Non ce la posso fare.
  156. Quelli che ti dicono: “Perché urli? Tanto non serve a niente.” Facessero loro qualche chilometro dentro le mie/nostre scarpe.
  157. Le volte di Tom addormentato addosso a me, seduta sulla Poang. L’abbandono. La tenerezza. Il suo essere una mollichina calda e molle.
  158. Tornare a lavorare in biblioteca.
  159. Il castello di Neuschwanstein. Tom nello zainetto sulle mie spalle e carrozza a cavalli per scendere.
  160. Il pranzo di Pasqua. Un panino in macchina in autostrada. C’è di meglio.
  161. Le ore di Tom dalla nostra vicina di casa. Io a casa da sola. Così tanto il desiderio di tempo per me, che ora davanti a questo sogno diventato realtà mi sento vuota.
  162. Un bagno a metà ottobre. Nel bagaglio a mano un asciugamano e un costume bagnati di mare. Un pile dimenticato in Sardegna promette ritorni.
  163. Ale e io in bici a mangiare il gelato sul lungofiume.
  164. Lasciarsi alle spalle un maschietto allenato nei 400 metri di dislivello del monte dietro a casa.
  165. Tutti i telecomandi che distrugge Tom.
  166. Un sabato pomeriggio a visitare la Fattoria dei Colli storici. Mucche e benessere.
  167. La crema di mandorle e la crema di nocciole. Pure. Grande scoperta.
  168. I giorni con addosso la paura dell’abisso 2012.
  169. Rileggere i diari del 2007. Mi pare fossimo più belli, dieci anni fa.
  170. Calatrava. Geometrie di blu e di acqua. Riempiono occhi e cuore.
  171. Un festone a Casbeno.
  172. Michi, dopo ore di passeggiate in montagna: “Adesso non ho solo le gambe stanche. Adesso tutto il mio corpicino è stanco”.
  173. Downton Abbey e The Crown. Siamo nel tunnel delle serie TV. In inglese, però.
  174. Michi: “Te la sai la cansone quarantacinque gatti in fila per otto?”.
  175. Un selfie che ci facciamo in giardino Ale e io. E lui, per una volta, è identico a me.
  176. Un tardo pomeriggio d’inverno in treno verso Milano con i due grandi. Idillio e innamoramento.
  177. Ale: “A me piace dire le parolacce.” “Davvero??? E che parolacce dici?” “Dico parolacce tipo: Piantala!”.
  178. Quattro giorni a Valencia.
  179. Addosso ad una piccola bimba, un maglioncino che era mio. L’avevano fatto a mano la mia mamma o la mia nonna.
  180. Le terme di Merano e la Val d’Ultimo.
  181. La tisana alle tre liquerizie.
  182. La mia prima torta di rose.
  183. Tom mangia cipollotto crudi a morsi. Pazzesco.
  184. In sette minuti vado e torno dall’asilo di Nigoline per recuperare Michi. Ale e Tom a casa da soli. Quando rimetto piede in casa, trovo Tom che studia l’aspirapolvere. E Ale che disegna nella stessa identica posizione in cui lo avevo lasciato. È andata bene.
  185. Le volte che vado a prendere Ale a scuola in bici. E per lui quelle poche centinaia di metri seduto sul portapacchi dietro di me sono una festa e una coccola.
  186. Il giorno a Seridò. Andate solo voi. Io a casa con Tom, la mia amichetta che per me è casa e la sua piccolina.
  187. Tre ore per scrivere due pagine di “B” in corsivo.
  188. Il Garda con la penisola di Sirmione vista da un finestrino d’aereo. Icona e bellezza.
  189. In un unico giorno si rompono forno e lente dei miei occhiali. Non va bene.
  190. Tom dentro lo zainetto in giro per le montagne.
  191. “Come ieri. Al mattino è simpatico, ma si autodistrugge. Al pomeriggio è una lagna frignante, e distrugge me”. Passerà.
  192. Perdo le mutande in piscina. Niente. Non si trovano più.
  193. Le prime volte che Tom batte le mani. Stupore e grazia e delicatezza e incredulità. Un battito d’ali. Con la felicità dentro.
  194. La doccia nuova in fondo allo stanzino giù.
  195. Le litigate. Gli urli. La fatica che facciamo per recuperarci. Noi che in qualche modo però alla fine ci recuperiamo sempre. E non è poco.
  196. I giorni di febbraio, in cui ero sempre arrabbiata. Ale chiede: “Perché non ridi mai?”. Io vorrei solo piangere.
  197. Con un ago tolgo una spina dal piede di Ale. Lui: “No, con l’ago no.” “Non guardare.” “Anche se non guardo mi fai male. Non sono mica sordo con i piedi.”
  198. Una sera al cinema noi due.
  199. Una domenica di novembre, picnic con toast sulla coperta tra divano e TV.
  200. Tutte le partite al gioco dell’oca. Regalo azzeccatissimo.
  201. Entrano in casa i primi libri di Geronimo Stilton.
  202. Ale: “Qua in Germania i balconi li fanno troppo belli. Noi invece siamo dei pigroni.”
  203. La differenza [che mi sfuggiva] tra Wohnwagen e Wohnmobil.
  204. Il progetto Circoliamo. Ale in spalla al maestro su una biciclettina stracarica di bimbi. È una piccola scimmietta felice, bella ed emozionata.
  205. “If it’s easy it’s probably not pilates.”
  206. Ai grest estivi lezioni di acroyoga e capoeira.
  207. Michi: “Papà, un giorno mi puoi dare una canna?” Di bambù, per adesso. Per fortuna.
  208. Michi, ad una domanda che gli facciamo, risponde: “Pota, certo”. Voglio morire.
  209. In oratorio, la festina per il compleanno di Ale.
  210. J-Ax e Fedez e Rovazzi e Gabbani cantati a squarciagola. Dove sono finiti Dalla, De Gregori, Guccini e De Andrè?
  211. Tortillas homemade di farina integrale e maionese vegan.
  212. I fiori scoppiettini.
  213. Le domeniche con la nonna.
  214. Michi viene iscritto alla scuola primaria alle 4.30 di mattina. Viva la notte insonne che ci ha regalato Tom.
  215. Su RTL radiocronaca delle partite. Ale: “Di cosa parlano?” “Di calcio.” “Delle partite che giocano all’oratorio di Colombaro?”. Corte Franca caput mundi.
  216. “Come mai Dio non ha fatto la spazzatura profumata?” [Ale].
  217. 25 bulbi di narcisi per il mio compleanno.
  218. Da Bergamo alta, la vista sulle mura e sulla città giù in basso. Bello andare a lavorare così.
  219. La faccia di goduria totale che fa Tom mentre mangia l’anguria.
  220. Due notti in roulotte in Val Camonica. Area sosta con laghetto.
  221. “Come fanno i ciccioni a essere ciccioni?” “Mangiano troppa pappa.” “Non è possibile. Se si mangia troppa pappa si vomita, non si diventa ciccioni” [Michi].
  222. Rendersi conto che per stare tutti meglio è bene fare alcune cose divisi.
  223. La regina dei buoni. Il regino dei cattivi [Michi].
  224. Una cena indiana con gli amici della Romania.
  225. Infinite volte dal dentista. Otturazioni, igiene, apparecchio, apparecchio perso. Quest’anno prendersi cura dei miei denti è stato un lavoro.
  226. I whatsapp che raccontano agli amici i nostri giorni di vacanza in Germania. Analoghi a quelle mail dal cammino che hanno dato il via alla nostra vita insieme.
  227. Imparare a gattonare, imparare a camminare. Miracoli casalinghi, ancora una volta. Grande privilegio.
  228. Ale a catechismo.
  229. Il giro del lago in macchina, una notte. Solo per il piacere di farlo. Solo per il piacere di essere noi due, da soli, nel buio, a chiacchierare.
  230. Una bici rosa usata che ricevo in regalo.
  231. “Sì, siamo tornati a casa. Sì. Tom ha avuto la febbre. Stanotte. Alta. 40 gradi. Adesso? Adesso ne ha 48, ma sta bene.” [Ale].
  232. Il pomeriggio del 24 dicembre un giro dalla guardia medica. Perché privarsi di questo diversivo?
  233. La diversamente giovane, la diversamente simpatica, la diversamente geografa.
  234. Le caramella Maoam che assomigliano alle Sugus che mi regalava mia nonna quando ero bambina.
  235. Per evitare di essere lavati da temporalone mentre siamo a spasso poco lontano da casa, Ale e Michi – in bici – ricevono chiavi di casa e tornano da soli. Progressi.
  236. Tom all’asilo nido.
  237. Baricco al Grande.
  238. Sul divano, una performance di Michi decisamente poco edificante mentre c’è qui homebanker. Urge lavare le fodere dei cuscini.
  239. Il Kindle.
  240. “Parto per Santiago e porto” dieci anni dopo.
  241. 50 anni di una cognata festeggiati su una terrazza in mezzo alla bella luce delle candeline.
  242. Dopo anni, CV in formato europeo e account su Linkedin. Servirà?
  243. Il nonno sulla plata.
  244. Il water più grande del mondo. Michi chiede: “Posso farci la cacca?”.
  245. La focaccia del Milese, la birra Ichnusa, il porceddu sul lettino di alloro.
  246. La tecnica che ha Tom per aprire i cassetti. Ingegno puro.
  247. Michi a Tom, che sta attentando alla sua pista di treni: “Distruggione di uno”.
  248. A messa nell’auditorium del comune.
  249. Un pomeriggio di febbraio. In macchina da sola. Rem a palla. Finestrini aperti. Maniche della felpa tirate su. Basta poco per tirare il fiato.
  250. Alla radio. “La durata di un matrimonio è inversamente proporzionale ai soldi spesi per la festa.” Siamo messi bene, allora. Siamo in una botte di ferro.
  251. Un forno nuovo e della palline da giocoliere.
  252. Uscire tranquilli dalle vacanze di Natale. È un bel traguardo.
  253. Finalmente, il mio primo raduno sardo dei PPS.
  254. “Dove andiamo?” “In un campeggio sul Lago d’Idro.” “Ah. Se no c’era anche quello…” [Il campo nomadi alle porte di Brescia, nda].
  255. Pasta al forno bianca della nonna Giovanna. E Viennetta. Compleanno molto anni ‘80. Pieno della mia mamma.
  256. Il parco botanico delle conifere di Ome. Una foto di alberi di una radura contro il cielo. Che mi ricordi quella sensazione di possibile oltre l’adesso.
  257. “L’idromessaggio: quella cosa di tanti anni fa che si faceva con le bottiglie lanciate in mare con dentro i biglietti” [Michi].
  258. I giri alla Lidl prima di pilates.
  259. Le birre con una mia amica di qui. Riappacificano con il ruolo di mamma.
  260. Una mattina di sabato circondata da libri alla scrivania di una biblioteca. È vacanza.
  261. L’indolenza che mi si appiccica addosso. E il nervoso che mi viene per questa indolenza.
  262. Al Lago Moro. Pare Trentino.
  263. Le infinite strategie di autodistruzione che si inventa Tom. E anche solo cercare di proteggerlo è un lavoro a tempo pieno.
  264. Prova tende in un giardino in Brianza.
  265. In piazza a Cremignane seduta in macchina mentre viene il tramonto. Devo farmi sbollire rabbia e nervoso.
  266. Un pranzo con i pellegrini PPS qui a casa nostra.
  267. Nel mercato coperto di Colmar, accanto ad una mozzarella di bufala, una scamorsa con la esse.
  268. I progressi nello spogliatoio della piscina. Ognuno si autogestisce. Grande traguardo.
  269. La giornata del naso rosso a Desenzano. La foto in cui tutti noi cinque abbiamo su un nasino rosso.
  270. Tom che dorme a pdl [pelle di leone, nda]. Degno figlio della sua mamma.
  271. Un’hamburger chianina fumé a Meda e chiacchiere tra amiche.
  272. Quattro giorni in campeggio sul Garda. Due mamme e cinque bambini.
  273. Un vestito nero in cui mi sento a casa.
  274. Un giorno intero da sola all’Acquasplash. Sole, sdraio, libro. Non faccio altro. Non faccio niente. Faccio così tanto niente che alla lunga mi stufo quasi.
  275. Fabio Concato in concerto.
  276. Michi: “Si è staccato il bottone dal grembiule. Il bottone l’ho messo nella tasca, il filo però non lo trovo più”.
  277. Una nipote grande diventa la babysitter dei nostri bimbi.
  278. Ale chierichetto.
  279. Entro in un paio di pantaloni che avevo comprato nell’estate 2007, quando ti avevo appena conosciuto. Non li avevo mai messi.
  280. I tre bimbi sul divano. Ognuno legge il suo libro.
  281. Tutti i mesi a casa con Tom. Tutti i mesi con lui malato addosso. Mi sento prigioniera. Non sto bene.
  282. L’asilo nido serve anche perché le mamme possano vomitare in solitaria per quattro ore. Benvenuto virus.
  283. I pomeriggi delle domeniche d’inverno sul divano a vedere film lunghi.
  284. Una nuova cartella per una nuova prima elementare.
  285. Ale impara le tabelline.
  286. Per mesi, la libreria blindata. Salviamo libri dal vandalo.
  287. Comprare uno smartphone online e, quando arriva, trovare solo la scatola vuota.
  288. La pile di sassi acchiappaspiritelli.
  289. Domande facili: “Perché siamo cattolici?”.
  290. Un weekend a Parma che salta.
  291. Una sera a vedere Calvino in un teatro milanese. Un panino allo Stalingrado. Passi dentro la notte nella mia città.
  292. Venti giorni itineranti in Germania.
  293. Le nuvole spagnole e il cielo che in cui galleggiano. Non c’è niente da fare. Sono diversi dai nostri.
  294. Il funerale del tuo capo scout.
  295. I bimbi al circo con gli zii. Vedono i boi [i boa, nda], le giraffe piccole, un elefante vecchio (“Aveva le righe sul sedere, mamma”).
  296. Un weekend sul Lago d’Idro.
  297. Michi dice: “Faccio le simmetrie”. Disegna case, alberi e omini. Poi li taglia a metà e si gongola nel suo essere geometricamente simmetrico.
  298. Il mio primo brasato.
  299. Ale: “E questi fili? È una parrucca?” La canapa da idraulico.
  300. Michi nella galleria del San Gottardo: “È troppo lunga. È meglio tagliarla. Così ne facciamo un pezzo solo e l’altro lo buttiamo in discarica.” Soluzioni pratiche per bimbi stufi.
  301. Ale e Michi a dormire da soli da amici in una bella casetta milanese.
  302. Ale e Michi per la prima volta al cinema.
  303. Tutte le volte in cui abbiamo detto: “No, Tommi, no”.
  304. Il risotto barbabietole e ricotta affumicata.
  305. Stirare una mattina all’alba e scoprire che ha vinto Trump. Ci sono mattine migliori.
  306. Il giro delle quattro frazioni. Noi a piedi, Tom in passeggino, i grandi in bici. Bentornata, primavera.
  307. Una piccola principessa è nostra ospite per 12 ore.
  308. Della stessa foto di Tom, un’amica dice: “È uguale ad Ale”. Un’altra invece: “È identico a Michi”. Decidetevi.
  309. “Lo gonfi tu, il palloncino?” “No, io non sono capace. Non ho abbastanza aria nella mia bocca piccola.” [Michi].
  310. Disinnescare. Quella che vorrei fosse la mia nuova parola d’ordine. Oltre a “Relax. And take it easy”. Devo lavorarci su.
  311. In aereo. Ale: “Quanti piani di nuvole ci sono?”
  312. Considerazione sul mio calo di peso. “C’ho un po’ meno moglie di prima.” “Sì, ma è più concentrata… Non so se ci guadagni”.
  313. Michi abbandona la zeta moscia. Basta pissa. Ormai è pizza. Si chiude un’epoca.
  314. Ale e Michi si comprano da soli un gelato in un baretto tedesco.
  315. Un sabato mattina al banco prestiti di una biblioteca persa nella bassa bresciana.
  316. “Ma le coccinella gialle sono avvelenose?” [Michi].
  317. “Quando andremo in aereo, sai cosa faccio? Apro la porta e prendo un pezzetto di nuvola” [Michi].
  318. Capitano dei giorni in cui l’obiettivo è tirare sera. E capitano alcuni giorni in cui non è per niente facile.
  319. Cena all’indiano per il tuo compleanno.
  320. Davanti al banco panetteria. “Volete la focaccia?” “No, mamma. Possiamo avere la minestrina?” Io li disconosco.
  321. Tamponare sul rotondone prima delle autostrade di Bergamo.
  322. Per qualche giorno, l’idea di andare a fare il cammino inglese. Ho bisogno di me, di orizzonti, di fatica fisica.
  323. Un colloquio per un lavoro e una visita medica nello stesso giorno, quasi alla stessa ora, in due posti che stanno a 50 chilometri di distanza. Grazie, Murphy.
  324. Nella bella pasticceria di Bergamo, cappuccio con cannella prima di iniziare giornata di lavoro.
  325. Una tarta de Santiago sul tavolo della nostra sala.
  326. Michi chiama “baci” le nocciole intere che capita di trovare dentro il gelato gusto bacio.
  327. Sono riuscita nella mirabolante impresa di carbonizzare la pappa di Tom lasciando cruda la pastina. Ci vuole del talento. E io ce l’ho.
  328. Uno strudel di pasticceria per merenda.
  329. Con i suoi primi soldini, Ale compra all’Acquasplash una palla di rete elastica. Conquista.
  330. Due foto del mio terzo compleanno. In una sono uguale ad Ale. In una a Michi.
  331. Lo scoglio Clavis.
  332. Il Google-Keep dei danni di Tom. Analogo al foglietto che un decennio fa era appeso in cucina al Gemelli.
  333. Scoprono le sette sorelle della terra. Ale: “Ma io posso andare ad abitarci?”. Michi: “No, Ale. Ci abitano solo quelli verdi”.
  334. Un compagno di scuola di Michi viene a giocare qui. Le ore di chiacchiere con la sua mamma.
  335. I giorni dei bimbi a casa del nonno.
  336. Un paio di stivaletti per me.
  337. Io con Ale e Michi in cima al Monte Alto.
  338. Gita di Pasquetta alternativa. In pronto soccorso.
  339. “Dai, giochiamo a pellegrini”. È genetica.
  340. La scoperta di Primark.
  341. Il medico dice: “Clausura totale per le otiti? Noooooo. Assolutamente no. Non serve a niente. Anzi.” Alla sera mi fanno male i muscoli delle gambe per tutti i chilometri camminati spingendo in giro per i sentieri di qui il passeggino di Tommi.
  342. La grande scoperta del Betadine gel. Diventa un “mai più senza”.
  343. Un piatto di biscotti di pasta frolla nella sala calda di un rifugio, mentre fuori piove.
  344. Tom nella piscina piccola dell’Acquasplash. È un pesce. Non lo ferma nessuno.
  345. Un’altalena famigliare. Ci dondoliamo tutti insieme. È un momento tanto, tanto, bello.
  346. I due giri sul Lungoadda. Traghetto con bimbi e amici. E ricerca di apparecchio smarrito con il mio papà.
  347. Un giro sul campanile di Nigoline.
  348. Tom. Tutti i baci che dà. Tutti i baci che chiede.
  349. L’ultimo giorno di scuola materna. Dopo anni salutiamo quelle maestre, quel cortile, quel cancello.
  350. Vecchioni a Iseo in una sera d’estate.
  351. Ale e Michi in giro per il paese sul carro di carnevale di Nigoline.
  352. Taglio a metà una mezza anguria. Michi: “È per me quella fetta?”. Non si smentisce mai.
  353. Un’unica mattina di Nordic con l’insegnante.
  354. A catechismo, fanno scrivere ad Ale una lista di desideri. Scrive: “Vorrei tornare piccolo”.
  355. 210 grammi di pasta per la cena dei tre piccoli di casa.
  356. Pizza e film in oratorio per la festa della donna.
  357. Naspirapolvere e teletubbies. Avevo detto che non sarebbero mai entrati in casa nostra. E invece…
  358. Una maestra del nido chiama Tom “il nostro bimbo-sole”.
  359. Una notte in una bella cameretta di studentessa universitaria a Pieve Emanuele.
  360. Capita che il tempo insieme ad Ale e Michi sia in realtà comunque bel tempo per me.
  361. Voi a Capanna 2000. Per i bimbi la loro prima notte in rifugio.
  362. “Papà, quando muori devi telefonarmi per dirmi come sono fatte le nuvole, se di cotone o di acqua” [Ale].
  363. I dolcetti di pasta di mandorle. E il croccante di mandorle ricoperto di cioccolato fondente.
  364. In Germania, il Tom Tom è un po’ dittatore, un po’ nonno Gargamella. O urla ordini con tono seccato, o si chiude nel mutismo se si osa disobbedire.
  365. “Stanotte ho guardato fuori dalla finestra. E ho visto un grandissimo gregge di stelle” [Ale].
Pubblicato da: cri | 10 ottobre 2016

365: 2015-2016

  1. Tommi che nasce. Sei un regalo bellissimo, piccolo figlio.
  2. I topi-tamburi, o topinambur che dir si voglia. Grande scoperta.
  3. Belle avventure tra le mura del castello di Brescia.
  4. Ale: “Ho appena leccato il ghiaccio che c’è in freezer. Buono. Non sa di niente ma è buono.”
  5. “Perché ci sono volte in cui ascolti e sei bravissimo e altre in cui non fai niente di quello che ti si chiede?” Ale: “È la mia linea del cervello: quando è bella dritta, faccio le cose belle, quando è tutta spezzettata o storta faccio il matto.”
  6. La macchina allagata perché è rimasto aperto il finestrino del passeggero. E per una volta – incredibile – non è colpa mia.
  7. Il bagnoschiuma “torta zenzerina”.
  8. Una mattina voi dalla nonna e io a dormire. Bellezza.
  9. Un 2015 che finisce con fatica, amarezza, esasperazione e stanchezza. Non se lo meritava, di finire così. È stato un anno bello.
  10. Un doppio arcobaleno tra le torbiere e il paese. ale dice: “È il segno che dio vuole bene agli uomini”.
  11. Il catechismo dei genitori.
  12. Il primo dentino perso. E Ale ce lo tiene nascosto a lungo per farci una sorpresa.
  13. Dopo un volo in bici. Ale: “Posso uscire? Devo andare a cercare il mio pezzo di pelle che non è più sul dito. Sarà ancora in strada?”
  14. La mia pancia che cresce, ancora una volta.
  15. Tutti quelli che non conoscono bene Ale e Michi e dicono: ma sono identici.
  16. I silenzi di Michi. Mutismo selettivo?
  17. Due giorni prima dell’inizio ufficiale della primavera, un picnic nel sole.
  18. Ale disegna cuori e scrive sgrammaticati biglietti di schuse [e la acca lì in mezzo non è un errore mio].
  19. Lo scaldabagno nuovo, l’addolcitore e Wally, la pompa di calore.
  20. La decisione, sofferta, di non raggiungere con Michi il nonno a Santiago alla fine del suo cammino.
  21. Tutte le coccole che Ale e Michi fanno a Tommi. Tutte le carezze, tutti i baci, tutti gli occhi dentro gli occhi.
  22. Una settimana di vacanza a Pietrasanta.
  23. L'”Eh, Tommi” di Michi, che è un modo sicuro per rompere il ghiaccio con questo piccolo fratellino.
  24. L’impiccato sul foglio e le mani battute davanti agli occhi per spaventare. Si cresce anche nei giochi.
  25. La linea del 20 e il metodo analogico del maestro Bortolato.
  26. Un mazzo di rose che mi regali per il mio compleanno. Tu, che non mi hai mai regalato fiori.
  27. Le chiavi della macchina cadute in un tombino. Ma no.
  28. Dalla finestra del bagno faccio vedere l’alba ad Ale. Dice: “Come fa in fretta a salire, il sole. Ma chi lo spinge?”
  29. Ale: “È buono questo risotto. È profumante.”
  30. “Nocciolina si cammina, nocciobella si saltella.”
  31. Il battesimo di Tommi.
  32. Dal piano di sopra del letto a castello, tutte le mattina un urlo belluino squarcia il silenzio: popààààà.
  33. Michi continua a stufare Ale. Ale: “Michi, ti lancio fino a Parigi, se non la smetti.”
  34. La passione di Ale per le pulizie. A volte dubito sia mio figlio.
  35. Un arcobaleno dalla cima del monte alto il giorno del solstizio d’estate.
  36. Il divano nuovo. Finalmente. Dopo sette anni che viviamo in questa casa.
  37. Tu in piscina in pausa pranzo.
  38. Michi: “Guarda, la betulla è senza foglie. È tutta pelata. Come la testa del papà”.
  39. Il fascino della Genova Photomarathon sfiorata per caso. Un sogno per il nostro futuro.
  40. La porta di casa rotta. O si esce dal box. O dalla finestra della cucina. Fa molto ridere, questa cosa.
  41. Io puoio. Che sarebbe io posso. Da perfezionare.
  42. Michi: “Sono un mammifero”. Un attimo di silenzio. E la domanda: “Che verso fa il mammifero?”
  43. Ale a scuola pare essere un folletto buffo e sgarrupato che cerca bruchi, gioca con la terra, ha amici in molte classi.
  44. I sorrisi accattivanti di Tommi.
  45. Michi studia una lumaca di mare morta, portata a riva dalle onde. Dice: “L’animale morto mi fa triste”.
  46. Un pranzo con un’amica da Pane e vino. Risotto all’arancia e chiacchiere tra mamme e donne.
  47. Le preghiere per un amico svizzero che lotta contro una malattia.
  48. I sei mesi di mio latte per Tommi. Un regalo bello.
  49. Un aperitivo tra donne al Frida e una vera pizza napoletana nella vecchia enoteca di viale Zara.
  50. I pellegrini qui a pranzo da noi.
  51. Ale: “Sai che una volta in bagno vi ho visto quando vi baciavate tu e la mamma? E ho visto un cuore che andava dalla tua bocca a quella della mamma. Ma tutte le volte succede?”
  52. La scarlattina.
  53. Durante Lilli e il Vagabondo, cerchiamo di spiegare ad Ale il concetto di flashback. Non è impresa facile. Né riuscita.
  54. Le volte davanti al cancellino a scuola a prendere Ale.
  55. Ale: “Come fa la terra a stare su? Sta attaccata ad un filo?”
  56. Corte Franca – Toscana per statali. Un regalo che ti fai nel tuo primo giorno di vacanza.
  57. Il fasciatoio di nuovo montato in bagno.
  58. Radio Norba nella radio degli strani vicini di tenda.
  59. Taglio delle fette di petto di pollo. Michi: “Cosa fai?” “Taglio il pollo.” “Il pollo? Ma quando lo cuoci diventa pollo vero? Con le ossa?”
  60. Ale: “Cosa mangia il pesce martello?” Io: “I pesci chiodi.”
  61. Mr. Fridge nella piazzola del campeggio.
  62. Dopo anni, le notti in cui ci si alza di nuovo troppe, troppe, troppe volte.
  63. Il grest delle Torbiere, quello dell’oratorio, quello all’Acquasplash, quello di Borgonato.
  64. La vera domanda dell’estate: “Ma quell’adolescente che abita dentro ad Ale quand’è che esce dal corpicino del nostro bambino, nano seienne???”
  65. Michi ogni sera ci sussurra nell’orecchio: “Ti voglio tanto bene”.
  66. Tre giorni al Cavallino. Watermelon pipì, mare, laguna, amici, bambini, noi.
  67. “Allora hai mangiato una mela intera?” Ale: “No, non intera. L’ho mangiata a pezzetti.”
  68. In bagno ti tagli i capelli. Dici: “Volevo essere in ordine per la nascita di Tommi”.
  69. Il tormentone in macchina: chi sta seduto vicino a Tommi? Nove volte su dieci si scatenano risse e litigi per accaparrarsi il privilegio.
  70. “Chi è il capo dell’Italia?” “Un po’ Renzi, un po’ Mattarella.” “Dove vivono?” “A Roma.” “Insieme???”
  71. All’alba, una colazione in piazza Loggia deserta nel sole d’agosto.
  72. Il dado homemade.
  73. I panini del Put de fer.
  74. La passione di Ale per i fiori. Li cura di amore e pazienza. Piange quando non stanno bene. Non ha preso da noi.
  75. Tu e Michi a Leolandia.
  76. A Vieste. Ale: “Dove andiamo a mangiare?” “Direi che possiamo provare un posto nuovo”. “Va bene. Basta che facciano i fritti.”
  77. Riaprire le scatole di vestitini minuscoli messi via quattro anni fa.
  78. Una cena a Viareggio. Cecina e fritto misto.
  79. Sul tavolino dell’ingresso, il libro “Urlare non serve a nulla”. Ale: “E allora perché voi urlate?”
  80. La prima pagella di Ale.
  81. In metro. Ale: “Mamma, ma a Milano di vestiti ci sono solo le camicie?”
  82. Ale ti chiama tutto preoccupato perché ha scoperto che la punta del suo naso si muove. Gli dici che è normale. “Ah, non lo sapevo!”
  83. Un pettinino in Lego costruito dai bimbi per pettinare via la crosta lattea di Tommi.
  84. Un weekend a Genova. L’acquario, i carrugi, la città dei bambini. Pesto e focaccia. Il giro in barca dentro il porto.
  85. Tu con il nonno al raduno sardo dei pellegrini per sempre.
  86. Improvvisamente cinque ore davanti a noi con solo Tommi. Pare vacanza. Brividi.
  87. Il test integrato e l’ecografia nucale. Stavolta li facciamo.
  88. Michi: “Mamma, la Nutella non è cioccolato. È Nutella.”
  89. I maschietti per la prima volta dal parrucchiere. Cresta piena di gel e certezza di essere irresistibili.
  90. Ale cresce e sperimenta il suo diventare grande. Non è sempre bello stagli accanto. Non è sempre facile capire come trattarlo.
  91. Noi, che tutti e cinque insieme abbiamo pochissime foto.
  92. Per Michi gli stuzzicadenti sono i pissicadenti, che è una parola bellissima.
  93. Il nonno in ospedale. Non è niente, per fortuna.
  94. Il tuo mountain-burger. Hamburger, brie, lardo, cipolle caramellate. Il tutto pastellato e fritto.
  95. Per tutto un pomeriggio due palloncini gialli galleggiano in casa portando allegria.
  96. Ad Ale piacerebbe avere un camper che tira una roulotte.
  97. In tenda, mentre fuori piove. “Sembra che siamo in una pentola di popcorn”.
  98. Michi alla fine del bagno: “Io odio il finito (= la fine) del bagno.”
  99. Su un prato davanti ad una baita la festa per un venticinquesimo di matrimonio.
  100. Ale canta: “Voglio carletto lo stivaletto”. Mah.
  101. Per Michi il singhiozzo è il singossio.
  102. La lettera di benvenuto a Tommi. Un alfabeto che dice vita e amore.
  103. All’Ikea, Småland per la prima volta. Per noi caffè e torta ai tavolini del bar. Relax.
  104. Vera fonduta svizzera con un amico milanese.
  105. I puntini rossi di Michi che non passano mai. Dopo la mia quinta malattia, l’ansia rosolia mentre sono incinta.
  106. Le tre settimane al Camping San Michele. Gargano. Puglia.
  107. Dopo anni, tu di nuovo ad una serata materassi.
  108. “La rabbia delle mamme”, un libro che mi fa stare bene.
  109. Tom che pian piano si abitua a te. Alla tua barba. Al tuo odore.
  110. Un rifugio sul lago di Lecco in una splendida giornata di sole novembrino.
  111. Michi: “Vero che quando i bambini che stanno nella pancia della mamma scendono giù dal cielo ed entrano nella pancia della mamma non si vedono?” Il concepimento.
  112. “È il domani di ieri, oggi?”
  113. Il pullman Marino e il Foggia-Brescia A/R.
  114. Una cena al chioschetto di piadine a Cattolica.
  115. Una scritta su un muro: non ho soldi per il bio.
  116. Seridò. Che per i bimbi è sempre una bellezza.
  117. Nel primo pomeriggio, tutte le passeggiate con R. in giro per i vigneti qui intorno.
  118. I tortelli di zucca.
  119. Tu che mi dici: “Sei radiosa”. Sarà.
  120. Un picchio che picchia invisibile nel bosco.
  121. “Come fanno i pompieri se gli scappa la pipì o la cacca mentre stanno spegnendo un incendio?”. Già. Come fanno?
  122. La giornata del naso rosso in Corso Vittorio Emanuele. E la Dacia parcheggiata in Corso Europa.
  123. Michi: “Mamma, io non sono piccolo. Io sarebbo un mezzano” [anzi, un messano, come dice ancora lui, con quella sua zeta che non è ancora per niente zeta].
  124. Cinque letterine in legno in un negozio di Bellagio.
  125. Usciamo definitivamente dalle pipì notturne di Ale.
  126. Gli affettati, tutti cotti anti-toxo, per la nostra cena della vigilia di Natale.
  127. La giornata di vacanza a Monza. La mostra su Ayrton Senna, un hamburger, un giro in Feltrinelli.
  128. Alla fine di una giornata con i bimbi lagnosi, io con loro a spasso sul Monte Alto. Bravissimi.
  129. Ale: “Mamma, tu non devi più dire le bugie.” Io: “Che bugie dico?” Ale: “Dici ca**o”.
  130. Cappuccio e brioche seduta al tavolino di un bar davanti alla Cattolica leggendo un giornale. Bello iniziare le mattine di lavoro così.
  131. “Quanti siamo nel mondo?” “Sette miliardi.” “Hanno contato anche Tommi?”
  132. Il tuo gabinetto di lettura.
  133. Per la festa del papà, Ale ti dà i voti. Vieni rimandato in pazienza e sportività, che non raggiungono neppure la sufficienza. Chissà perché.
  134. La mostra dei pellegrini a Trento.
  135. La caccia alle uova.
  136. Ale: “I fichi in India.”
  137. Ale: “Io adesso disegno i coralli”. Michi: “Taralli?”
  138. Ale fatica ad accettare che 7+2 e 6+1+2 facciano comunque 9. Chiede: “Ma dove ho sbagliato?”
  139. Ale: “Ma il sindaco di Roma dice cosa fare anche a papa Francesco?”
  140. Il kebabbaro di fianco alla stazione di Foggia e le lacrime di Ale sul piazzale di quella stazione.
  141. Un giro al pronto soccorso di Pescara. “Mi fa male il cuore”. Per fortuna non era niente.
  142. Tom panza all’aria nel passeggino. Michi: “Guarda, gli è nato l’ombelico.”
  143. Una tutina che era mia addosso a Tommi.
  144. I colori del tramonto oltre le mattonelle in vetrocemento delle scale di una casa al mare.
  145. Tutte le volte che urlo. E non vorrei farlo. Ma niente. Non ce la faccio. E urlo lo stesso.
  146. I 365 del 2014/2015 per il concorso “Eccellente normalità”.
  147. Tom che il giorno prima del parto si mette trasverso. Che fantasia, ragazzo. Per fortuna era un cesareo programmato.
  148. Un catering all’oratorio per la festa di fine materna. Ale zuppo d’acqua dalla testa ai piedi.
  149. Ale impara a leggere e scrivere. Incanto e meraviglia.
  150. La tenerezza e la fatica che ci fa Ale, questo suo crescerci addosso e accanto. Questo suo essere diventato un bambino grande. O un ragazzino piccolo.
  151. Uno smalto rosso messo un’unica volta.
  152. Michi: “Io all’asilo ho imparato una ragazza bellissima che nasce in un conchiglia del mare.” La Venere del Botticelli.
  153. Proviamo i pennarelli per vedere se funzionano. Michi, scrupoloso, prova anche le matite. Non si sa mai.
  154. “Vedo l’arancione dei semafori che sembrano i cachi su un albero”. Gocce di atropina negli occhi e pupille dilatate.
  155. Su whatsapp: “Keep calm e buongiorno un ca**o”.
  156. Pollo al forno in un sacchetto magico. Due adolescenti milanesi che giocano nel nostro prato. Delle scarpe da tennis numero 45 sotto al nostro divano. Delle docce fiume. Per qualche ora sono catapultata nel nostro futuro. Non sono pronta.
  157. Io che quasi sempre sto bene dentro le mie giornate con i bimbi addosso. E non è poco.
  158. Ale sulla pista di pattinaggio su ghiaccio in mezzo al centro commerciale.
  159. Un pomeriggio nel camper attorno all’orto sinergico.
  160. Il prezzemolo fresco, dopo anni di prezzemolo surgelato in scatola.
  161. La gambe di Tommi. Prima gambine vuote da polletto spiumato, poi rotoli di grassino che fanno anelli di ciccia.
  162. Michi: “Ma la montagna più alta – l’Everest – tocca il cielo?”
  163. Ale canta la canzone popolare. “Alzati che si sta alzando la bandiera popolare. Se c’è ancora qualcosa da capire, ascolta che lo capiremo, diccelo, che lo capiremo”.
  164. Amici a casa nostra dopo la loro Paratico-Lovere.
  165. Una notte a Magreglio e una polenta uncia d’asporto.
  166. Michi: “Mamma, aiuto. Ale mi vuol fare male con una carota.” Una carota?
  167. La scoperta dei sacchetti sottovuoto dell’Ikea.
  168. Una nuova fila di piastrelle per il nostro portico.
  169. Cuori aperti su un muretto di uno dei chiostri della Cattolica.
  170. In un unico giorno, due montature di occhiali rotte. Sarà felice l’ottico. Noi meno.
  171. Una sera che avrebbe dovuto essere a casa di un amico per chiacchiere e birra passata al pronto soccorso di Niguarda.
  172. Tra i due fratelli, la Schadenfreude di chi non viene sgridato.
  173. Il primo giorno di scuola per Ale. Molte emozioni dentro quella palestra in mezzo a tutti quei bimbi che stanno diventando grandi.
  174. A cinque mesi, Tom scende per la prima volta sotto il 97 percentile di peso. Che ci sia da preoccuparsi?
  175. Le notti in cui Tommi mi dorme spalmato addosso. Puro vizio e grande goduria. Per tutti.
  176. “Uffa, anche quest’anno Gesù bambino è passato mentre facevamo il bagno. Ma sempre quando facciamo il bagno, passa?”.
  177. Il progetto frutta a scuola.
  178. Tirare fuori un vestitino nuovo per Tommi. Se nasce, ci siamo.
  179. In una delle tre prime elementari, “A modo tuo” di Elisa e foto di questo anno scolastico. Lacrime ed emozioni.
  180. Rendersi conto che catalogare libri antichi è come andare in bicicletta. Una volta che hai imparato, non lo dimentichi più.
  181. Ale: “Mamma, tu sei bella. Ma sei grassottina. Hai anche i buchi nelle cosce”. Cellulite mon amour.
  182. A due giorni di distanza dal parto, improvvisamente rendersi conto che adesso abbiamo tre figli. Mi sento un po’ scema, ad averci messo così tanto a esserne consapevole.
  183. Le nuove ruote per il passeggino di Tommi.
  184. Il vostro weekend dei piselli a Varenna e una sorpresa per te dentro quella bella casetta.
  185. Dopo anni, all’Alt Spaur di Spormaggiore con gli amici pellegrini. Ricordi di me ragazzina con mio papà.
  186. Il trasloco in campeggio da una piazzola all’altra. Cuscini, orsi, materassi e polvere.
  187. Per la prima volta Ale da solo alla festa di compleanno di un suo amico.
  188. Prurito infernale alle braccia e terrore-chinces.
  189. Ale: “Guarda. Tommi ride al cielo.”
  190. La cartella nuova, il primo astuccio, i compiti a casa.
  191. Le riunioni del cda della scuola materna.
  192. Ale ha dovuto mettere in castigo la matita rosa. Pare facesse la sciocchina con il blu e il fucsia.
  193. Coperta e cuscino all’oratorio di Nigoline. Minions su un telo bianco.
  194. Le visite dall’oculista a Borgo Wührer.
  195. Ale: “Sai dove mi sono asciugato le mani? Nella carta igienica.” Lo guardiamo perplessi. “Ma era pulita…”
  196. Due gerbere in un vaso in giardino.
  197. Un trucco con le dita per fare i conti con le tabelline del 6-7-8-9.
  198. Michi addosso alla mia pancia che cresce: “Mamma, ma quando tu ti arrabbi, ukka-ukka ha paura?”
  199. Per la prima volta, una torta di pannolini in casa nostra.
  200. Tornare a mangiare sushi dopo nove mesi di pancia e astinenza.
  201. La prima notte in roulotte ai laghi di Lamar sopra a Trento.
  202. Tornare a messa. Dopo anni, la bella luce della veglia pasquale.
  203. Un biglietto di auguri di Natale anche per la nonna Giovanna che abita da Gesù.
  204. L’idea dell’alveare che dice sì.
  205. Quella di Tommi è stata la gravidanza più meditata e più incosciente.
  206. Imparare a contare: quarantotto, quarantanove, quarantadieci.
  207. La firma imperdibile del notaio di Desenzano sugli atti del mutuo rinegoziato.
  208. Dal registro elettronico di Ale: “Attività di oggi: elefanti e topolini con acquarelli”.
  209. Ale davanti al distributore di preservativi di una farmacia: “Mamma, che gioco è questo?”
  210. Al Sacco con Tommi per un’ecografia alla testa.
  211. Tom che fatica a dormire al pomeriggio.
  212. Michi: “San Giuseppe è una parolaccia?”
  213. Un pranzo in cascina e i bimbi sul cavallo.
  214. Michi deve essere crudista. Odia qualunque verdura cotta. Le zucchine in modo particolare.
  215. Michi eroico durante gli esami del sangue. La faccia dice: “Potete farmi quello che volete, ma non mi avrete. Non avrete mie lacrime. Non avrete miei lamenti”. E così è.
  216. Ale: “Ho fatto vedere una castagna alla maestra. Gliel’ho fatta vedere così tanto, che gliel’ho regalata.”
  217. Ale riesce a sentire Tommi che si muove nella pancia. Lo fa con timidezza e ritrosia.
  218. La fascia.
  219. Ale nella cantina in Cattolica vede per la prima volta dei libri antichi.
  220. La piazzola di quest’anno. Passiamo dal people watching attivo a quello passivo.
  221. La tisana alle tre liquerizie.
  222. L’infettivologa per la quinta malattia che mi sono presa all’inizio della gravidanza, tutte le ecografie di secondo livello che ha vinto Ukka-Ukka, noi storditi di percentuali e possibilità.
  223. Una notte a Sesto tra gatti e vita claun.
  224. Tutti i chilometri fatti a piedi spingendo il passeggino.
  225. Ale piccolo censore. Non sopporta le parolacce. Addirittura vengo ripresa per aver usato il termine erculeo che alle sue orecchie contiene troppa volgarità.
  226. Le due settimane di walk-walk-walk su Youtube.
  227. La valigia per il parto di Tommi, fatta di corsa e al volo, una sera che ormai è quasi notte. Brividi. Ma alla fine è un falso allarme.
  228. Piazza Gae Aulenti, Panorama, la Triennale, un pezzo di pizza di Spontini sedute su un marciapiede dietro Piazza San Fedele. Ore con un’amica milanese.
  229. I bimbi degustatori di miele e il miele di melograno.
  230. “Chi è Belen?” “Una ballerina.” “Come te? Tu sei una ballerina, mamma?”
  231. Pigout e truccabimbi.
  232. Quando perde il bagno di sopra e l’acqua arriva fino alle camere.
  233. Una mattinata da Berlucchi per il progetto Colibrì con le prime e le seconde classi della scuola elementare.
  234. Il nostro primo selfie, tutti e cinque in macchina, prima di partire per Genova.
  235. I cagnolini alla baita di Enrico.
  236. Tommi allattato in barca, sopra le rovine romane, sui Floating Piers.
  237. Scoprire che anche Ukka-Ukka è pisello-munito. Da Londra il commento più arguto: “Quattro a uno, sarà facile la votazione su cosa vedere in tv.”
  238. Una pizza a Bergamo con due amici del Gemelli e un piccola principessa.
  239. In un ristorante di un autogrill, una statua di Padre Pio. Imperdibile.
  240. Un sabato in un campeggio sul Garda. Ore con amici marchigiani che non vediamo mai.
  241. Arancio e verde nella nuova cameretta dei bimbi.
  242. Brioche per tutti. Esco dalla panetteria con cinque brioche. Peccato che Tommi abbia due mesi di vita.
  243. Colazione al mattino, niente fuoripasto, frutta e verdura, qualche strappo alle regole quando ne vale la pena e buonsenso. E i chili scendono.
  244. Ale: “Io vorrei non tagliare i capelli perché così poi crescono un sacco e se devo giocare a nascondino, mi nascondo dietro i capelli e non mi trova più nessuno”.
  245. Ale steso all’ombra sotto la pianta, pancia all’aria. Si gode il fresco, il sole che filtra, le foglie, il cielo azzurro.
  246. Michi della minestrina che c’è per cena: “Buona, sembra colla.” Son soddisfazioni.
  247. Io: “Mi fa male lo sterno” Ale: “Ti si sta rompendo il corpo?”
  248. Il vostro nuovo ufficio che progetti tu.
  249. Il dito parolaccia.
  250. Fiori di robinia fritti nel giardino di Erbusco.
  251. Quindi è vero. È possibile leggere al parco mentre i bambini giocano. Finora era solo una leggenda metropolitana.
  252. Michi compie gli anni “tutti aperti meno uno”.
  253. Festa di fine Grest. Caccia al tesoro a piedi per le vie di Nigoline.
  254. Una birra all’Andromeda dopo una riunione alla scuola materna.
  255. Il tappo di scarico del mare. Più volte ne parlano i bimbi. Sono proprio convinti che ci sia, da qualche parte, un tubo di scarico per tutta quest’acqua.
  256. Ale: “Mamma, mi dici quando sono le nove e mezzo?” “Di sera?” “No, mamma. Quando sono le nove e mezzo del pomeriggio.”
  257. Una bella casetta di Sesto appena ristrutturata.
  258. I Floating Piers di Christo. Quel giallo che incanta, emoziona, riempie occhi e cuore.
  259. Quando ci sei tu in piscina. La felicità dei bimbi che possono andare nello spogliatoio dei maschi.
  260. Un messaggio da un’amica marchigiana, prof. di italiano alle medie: “La lepre: veloce, simpatica, buona per il sugo”.
  261. La mostra Wildlife photographer of the year.
  262. Ale che mangia jamon serrano come se non ci fosse un domani.
  263. Ale: “Mamma, ma da quando c’è Tommi, tu hai il cuore più grande di prima? Io sì. E credo anche tutti gli altri che ci conoscono”. E ancora. “A te il cuore è diventato più grande per farci stare Tommaso? A me sì, è diventato bello largo così ci sta comodo.”
  264. Michi: “A me carnevale fa schifo. Vengo alla festa solo per mangiare le frittelle”. Idee chiare.
  265. Gli hamburger fatti in casa partendo dalla farina per i panini.
  266. Il corso di antico in Cattolica.
  267. “Michi, a te piace di più la mela o la pera?” “La banana!”
  268. Una sera milanese all’all-you-can-eat dietro la Stazione Centrale.
  269. Una sculacciata ad Ale mentre gli dico: “Devi smetterla di picchiare tuo fratello”. La coerenza. Mamma orrenda.
  270. Per Michi il cotechino è il cotolino.
  271. I nuvoloni di rabbia che ogni tanto abitano Michi.
  272. Un barattolo di gel entra nel nostro bagno.
  273. L’anello trinity in oro bianco.
  274. La tenerezza che mi fa il nonno quando dice: “Qui da voi ho mangiato proprio bene”. E per pranzo c’erano pane, gorgonzola e insalata.
  275. Michi: “Io ho tre toni di voce: arrabbiato, felice e inglese”
  276. L’uccellino ferito dentro il mio sandalo in camera. Morirà.
  277. Il falò della vecchia. Scintille nella notte.
  278. Mezzo guscio di uovo di merlo trovato in giardino.
  279. Il Lego piccolo.
  280. Ale zinziga e Michi si lagna. Diventerete grandi.
  281. In un sabato d’inizio autunno, arrivare tutti e quattro [cinque, contando anche ukka-ukka] in cima al Monte Alto.
  282. Una mattina di litigi. Secondo me voi siete indolenti e lenti. Secondo te io sono nervosa e fastidiosa.
  283. Io: “Lo gonfi tu, questo palloncino?” Michi: “No, io non sono capace. Non ho abbastanza aria nella mia bocca piccola.”
  284. Per i sei anni di Ale, la sua prima festina con i suoi amici.
  285. Michi seduto lì, sul marciapiede davanti alla posta, con un libro in mano. Aspettiamo che Ale esca da scuola.
  286. Tre mamme con sei bambini alle cascate di Ome. Un set fotografico di liceali e dei nudi di quasi-autore.
  287. Per la prima volta, scrivo un messaggio sul tuo whatsapp per Ale. “Ciao Tato bello. Buona festa. Baci dalla mamma”.
  288. In Brianza, per una volta, un pranzo decisamente americano. Gambo della Lousiana e Cheesecake.
  289. Ale alla mostra di Chagall.
  290. Una pancia in Brianza che mi riempie di infinita felicità.
  291. La scatola del paleontologo.
  292. Due giorni in due tra Cinque Terre e Porto Venere. Zia Manu santa subito!
  293. L’acqua in tenda, la canalina come i veri campeggiatori e i pranzi risolti con taralli o pezzi di focaccia.
  294. Per Ale una risonanza magnetica di controllo dentro una stanza che pare un acquario e un tubo che pare un sottomarino.
  295. Un’esenzione perenne dell’Asl di Iseo scaduta. Ma come fa a scadere una cosa perenne?
  296. La gestione del corso di nuoto e degli spogliatoi della piscina con in giro anche Tom.
  297. Lo scatolotto per vedere i film e youtube in TV.
  298. Tutti i mercoledì con Ale a casa a pranzo. Otto volte su dieci il menù era: uovo al cotonino.
  299. Michi al telefono. Risposta automatica della Vodafone. Lui: “Dove abita quella signora che ha risposto al telefono?”
  300. La bici nuova per Ale.
  301. Una targa nera di famiglia arriva qui. EE.
  302. Michi sul palco per la recita di fine anno, la bella scatola con su e dentro il mare.
  303. Una roulotte per noi.
  304. Uscire da questi primi mesi di Tommi ragionevolmente stanchi, non distrutti.
  305. Ale: “Ma il cavallo fa le uova?”
  306. Per me fa sempre o troppo caldo o troppo freddo. Dici: “Hai una confort zone di 0,5°”. Ecco. Non mi pare sia una cosa di cui andare fieri.
  307. In una piazzola assolata, dire ai bimbi di Ukka-Ukka. La festa che gli fanno. La torta di cioccolato. Tanti auguri cantato in coro.
  308. Un tramonto a Vieste e un arcobaleno tra chiesa e mare.
  309. Un matrimonio oltreoceano in cui ci siamo solo con il cuore.
  310. Aragonese, Somport, Primitivo. Il nonno di nuovo a Santiago. Ed è la quinta volta.
  311. Michi davanti ad un cartello stradale. “Pecché c’è quetto cattello qui che a me non mi interessa niente?”.
  312. Con la pancia delle ultime settimane, cammino lenta. Io quando cammino lenta non mi sopporto.
  313. Michi, dopo anni, finalmente sul tetto del Duomo con il nonno.
  314. Al Muba a Milano. Il mercato delle storie.
  315. Mastite a cinque mesi. Possibile? Fa sorridere, dopo aver spaventato.
  316. Tutte le coccole che Michi ha fatto alla pancia di Ukka-Ukka. Tutti i baci che gli ha dato. Tutte le volte che ha appoggiato le sue manine su questa bella rotondità.
  317. Dopo anni, di nuovo in giro su Internet a confrontare ursidi.
  318. Michi: la rana peccatrice.
  319. Ale a tavola: “Non voglio più mangiare la pancetta perché poveri maiali…”. La deriva vegana a sei anni anche no. Non ce la posso fare.
  320. L’Esselunga nuova.
  321. Per la prima volta da Tiger.
  322. Michi impara ad andare in bici senza rotelle.
  323. Un cartello sulla cucina a gas. “Letto sul sito del Corriere: oggi sciopero dei fornelli. Non si cucina!!!”. Cenetta noi due in hamburgeria.
  324. Il gruppo whatsapp “avi-fauna e castagne” e la giornata al roccolo del Monte Barro.
  325. Una domenica a pranzo noi tre amichette di “Noi del neurone solo”.
  326. Una macchia rossa sulla guancia di Michi. Pareva allergia. Era solo sporco.
  327. Il grande ritorno di Tracy Hogg e del suo “Il linguaggio segreto dei neonati”.
  328. Mercato metropolitano a Milano, la Darsena rifatta e il temporary shop dell’Ikea in via Vigevano.
  329. Spuma e patatine al tavolino del bar dell’oratorio di Milano.
  330. Tutto il Lego di Magreglio.
  331. Di sera, uno spritz al bar dell’Esselunga insieme ad altra mamma del paese. Desperate housewives.
  332. Michi: “Dentro è verde, fuori è come quando si accaressano i capelli tagliati corti.” Il kiwi.
  333. Grandi prestazioni. Tom riesce a infilarsi in bocca l’alluce e a leccarsi la pianta del piede. Provateci voi.
  334. Un tuo nuovo lavoro a Roverbella.
  335. Ale: “Michi, sai che una volta non c’erano le tombe? Le persone morte si mettevano in un tipo di pacco regalo.” Le mummie.
  336. Lezione di inglese. Un caterpillar, due caterpilli.
  337. Tommi secondo Michi sa fare il capitano. Cioè l’occhiolino.
  338. La copertina per Tommi che viene da progetto “Viva Vittoria”, un’opera d’arte e di lana collettiva.
  339. “Come sei bravo, papà, a preparare la pastina”. Per te, da sempre odiatore di minestrina, è un affronto.
  340. Ale: “Mamma, cos’è la coscienza?”
  341. Le nuove cassette dei wc.
  342. Tom arriva a casa dall’ospedale di mattina. Nel pomeriggio tu impasti pizza. Io aiuto Ale a mettersi in pari con i compiti. Michi gioca. Tommi non sconvolge la vita. Pare infilarsi dentro le pieghe libere che ci sono.
  343. Le mongolfiere. E tre.
  344. Pianerottolo, che è uno dei soprannomi di Tommi.
  345. Perdo per strada l’anniversario della mucca guardona. Non va bene.
  346. Le cenette noi due soli quando arrivi tardi dal lavoro.
  347. L’albero di Natale che i bimbi fanno da soli.
  348. Michi: “Sai come ha fatto la pastina, il nonno? Con gli spaghetti e il martello.” Andiamo bene.
  349. Le volte che vado in bici a prendere Ale a scuola.
  350. Tommi piange facendo ll-ä. Da qui il soprannome: signor ll-ä.
  351. L’ultima eco di Tommi. L’ultima eco di un nostro bimbo dentro la mia pancia. Tutte le ultime volte che vivremo con questo nostro bimbo qui.
  352. Un abbraccio e tu che dici: “Adesso arriva prima la tua pancia di te”.
  353. Ale: “Mamma, apri la bocca!”. E i bimbi usano la mia bocca aperta per parlare con Ukka-Ukka e svegliarlo.
  354. Ale, di Tommi: “Mamma mia, com’è bello quando dorme”.
  355. Mi regalo una scatola di pennarelli e un album di figure geometriche da colorare. Dicono sia antistress. Fosse mai.
  356. Io: “Che lagne che siete, che lagne.” Michi: “Lasagne? Buone le lasagne.”
  357. Un cenone a Milano per capodanno che facciamo saltare all’ultimo.
  358. Il primo prosciutto crudo dopo la gravidanza.
  359. Il piedibus.
  360. Il primo incontro tra Tommi e i suoi fratelli.
  361. Il libro “Che rabbia” di Michi. Diventa un mai-più-senza.
  362. Fare UH, che poi sarebbe stendere i panni.
  363. Picnic alla Croce di Zone con amici venuti da Milano.
  364. Michi piange. Si è fatto male ad un dito. Con le mutande.
  365. La collezione dei pippottini di Star Wars.
  366. Ci sono giorni in cui noi siamo solo un ottimo team che gestisce figli. Ci sono giorni in cui noi siamo noi. Uac. Ancora. A distanza di anni. Ed è una bellezza.

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